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Washington’s blog, 16 marzo 2017 (trad.ossin)
 
I media statunitensi lavorano mano nella mano con la CIA dagli anni 1950
Brandon Turbeville
 
Col manifestarsi di frizioni tra due diverse fazioni dello Stato profondo statunitense, oramai davanti agli occhi di tutto il paese, alcuni hanno cominciato a chiedersi se taluni media non siano legati allo Stato profondo, soprattutto alla CIA. Alla luce dell’inimmaginabile ampiezza della disinformazione pubblicata e trasmessa quotidianamente dalle maggiori televisioni, in perfetta sintonia con i desiderata dell’establishment, sembra difficile dubitarne. Tuttavia simili connessioni tra i grandi media statunitensi e la CIA sono qualcosa in più di semplici congetture, sono anzi ben conosciute e documentate da diverso tempo.
 
 
Per esempio, tra la fine degli anni 1940 e l’inizio degli anni 1950, l’operazione Mockingbird, un piano noto oggi a molti ricercatori, ma praticamente sconosciuto all’epoca, consisteva in un impegno segreto della CIA per influenzare e controllare i media statunitensi, per influenzare e controllare le informazioni offerte (oltre che le opinioni) al popolo statunitense. Il primo rapporto su questo programma è apparso nel 1979 nella biografia di Katharine Graham, proprietaria del Washington Post, scritta da Deborah Davis 1.
 
Davis scrive che il programma era stato ideato da Frank Wisner, il direttore dell’Ufficio di coordinamento strategico, un’unità di operazioni segrete posta sotto il comando del National Security Council. Secondo Davis, Wisner affidò a Philip Graham del Washington Post la direzione del progetto nell’industria dei media. Davis dice che «agli inizi degli anni 1950, Wisner ‘possedeva’ giornalisti autorevoli del New York Times, di Newsweek, di CBS e di altri media di comunicazione». Davis scrive anche che Allen Dulles convinse Cord Meyer, che fu uno dei principali agenti operativi di Mockingbird, a entrare nella CIA nel 1951 2.
 
Ma se il libro di Davis è stato il primo a menzionare questo nome Mokingbird, anche Carl Bernstein si è occupato dell’influenza della CIA sui media, nel 1977. Secondo l’articolo di Bernstein pubblicato nel magazine Rolling Stone, a partire dal 1953 il programma di supervisione dei media è stato sotto il diretto controllo di Allen Dulles, il direttore della CIA. Bernstein dice che all’epoca la CIA esercitava la sua influenza su 25 giornali e agenzie di stampa. Bernstein scrive:
 
    «Tra i quadri che hanno collaborato con l’Agenzia, figuravano Williarn Paley del Columbia Broadcasting System, Henry Luce di Tirne Inc., Arthur Hays Sulzberger del New York Times, Barry Bingham Sr. del Louisville Courier-Journal e James Copley del Copley News Service. Tra le altre organizzazioni che hanno collaborato con la CIA, figurano l’American Broadcasting Company, la National Broadcasting Company, l’Associated Press, United Press International, Reuters, i giornali Hearst, Scripps-Howard, il magazine Newsweek, il Mutual Broadcasting System, il Miami Herald e il vecchio Saturday Evening Post, oltre al New York Herald-Tribune.
 
    Le relazioni di gran lunga più proficue, secondo i responsabili della CIA, sono state quelle con New York Times, CBS e Time Inc.
 
   L’utilizzazione da parte della CIA dei media di informazione statunitensi è stata molto più ampia di quanto i funzionari dell’Agenzia abbiano riconosciuto pubblicamente, o anche in occasione di sedute riservate coi membri del Congresso. Se le grandi linee di quanto accaduto sono quindi certe, i dettagli restano più sfumati. Le fonti della CIA dicono che un certo giornalista operava nell’Europa dell’est per conto dell’Agenzia. Il giornalista dice che no, gli capitava solo di pranzare coi capi del settore. Le fonti della CIA affermano categoricamente che un corrispondente molto noto dell’ABC ha lavorato per l’Agenzia fin dal 1973, ma non intendono rivelarne il nome. Un alto funzionario della CIA, dotato di una memoria prodigiosa, dice che il New York Times ha fornito una copertura per una decina di agenti della CIA tra il 1950 e il 1966; ma non sa dire chi fossero gli agenti né chi, nella direzione del giornale, se ne sia occupato.
 
    Le relazioni privilegiate dell’Agenzia con le «major» editoriali e della radiodiffusione hanno consentito alla CIA di sistemare alcuni dei suoi agenti più validi all’estero, con una buona copertura, per più di due decenni. Nella maggior parte dei casi, i dossier dell’Agenzia dimostrano che sono i funzionari di più alto livello della CIA (di solito un amministratore o il direttore aggiunto) ad avere un rapporto personale con un solo individuo designato del top management del media cooperante. L’aiuto fornito spesso ha preso due forme: fornire impieghi e una «copertura giornalistica» (nel gergo dell’Agenzia) per gli agenti della CIA che devono essere inviati nelle capitali straniere; e prestare all’Agenzia dei giornalisti in servizio per particolari missioni, ivi compresi taluni corrispondenti assai noti nel mondo giornalistico.
 
    Sul terreno, i giornalisti sono stati utilizzati per aiutare a reclutare e trattare degli stranieri come agenti; ad acquisire e valutare informazioni e fornire false informazioni a funzionari di governi stranieri. Molti hanno firmato accordi di confidenzialità, impegnandosi a non divulgare mai nulla dei loro rapporti con l’Agenzia. Alcuni hanno firmato contratti di lavoro. Altri sono stati assegnati ad ufficiali dell’Agenzia per occuparsi con loro di casi specifici. Altri ancora intrattenevano relazioni meno strutturate con l’Agenzia, anche se poi assolvevano compiti più o meno simili: venivano informati da personale della CIA prima di un viaggio all’estero, poi interrogati successivamente e utilizzati come intermediari con agenti stranieri. Opportunamente, la CIA usa l’espressione «reporting» per indicare gran parte di quello che i giornalisti cooperanti hanno fatto per l’Agenzia. «Noi chiediamo loro: Vuole farci un favore? -  ha dichiarato un alto responsabile della CIA. Sappiamo che si reca in Jugoslavia. Hanno pavimentato tutte le strade? Dove ha visto degli arerei? C’erano segni di presenza militare? Quanti Sovietici ha visto? Se le capita di parlare con un Sovietico, gli chieda come si chiama e si faccia fare lo spelling […] E’ in grado di organizzare una riunione? O di trasmettere un messaggio?» Molti funzionari della CIA consideravano questi giornalisti assai utili come agenti. I giornalisti tendevano a considerarsi amici di fiducia dell’Agenzia, accordandole favori occasionali, di solito senza remunerazione, ma per l’interesse nazionale.
 
    […]
 
    Durante l’inchiesta del 1976 sulla CIA da parte del Comitato del Senato sui Servizi di informazione, presieduto dal senatore Frank Church, da cui ha preso il nome di Comitato Church, i componenti della commissione e due o tre inquirenti hanno avuto conoscenza di questa liaison con la stampa. Ma gli alti funzionari della CIA, tra cui gli ex direttori William Colby e George Bush, hanno convinto il comitato a non affrontare la questione e di travisarne deliberatamente la portata reale nel rapporto finale. Il rapporto, composto di vari volumi, contiene solo nove pagine in cui si parla dell’utilizzazione di giornalisti, in termini deliberatamente vaghi e talvolta ingannevoli. Non viene fatta alcuna menzione del numero reale di giornalisti che hanno svolto missioni segrete per conto della CIA. Non si descrive in modo adeguato il ruolo giocato dai responsabili dei giornali e della radiodiffusione nell’attività di cooperazione con l’Agenzia.
 
    Questo tipo di relazioni tra la stampa e l’Agenzia è cominciato durante i primi anni della Guerra Fredda. Allen Dulles, che diventò direttore della CIA nel 1953, si preoccupò di stabilire linee di reclutamento e di copertura nelle più prestigiose aziende mediatiche degli Stati Uniti. Operando sotto la copertura di corrispondenti accreditati, Dulles pensava che gli agenti della CIA all’estero avrebbero goduto di livelli di accesso e libertà di movimento impossibili da ottenere sotto quasi ogni altro tipo di copertura.
 
    Gli editori statunitensi, come tanti altri dirigenti istituzionali e del mondo degli affari all’epoca, erano disposti a impegnare le risorse delle loro imprese alla lotta contro il «comunismo internazionale». Di conseguenza, la tradizionale linea di demarcazione tra la stampa statunitense e il governo finì con l’essere spesso indistinguibile. Un’agenzia di stampa era raramente utilizzata per coprire gli agenti della CIA all’estero senza il consenso del suo proprietario, del direttore o dell’editore. Quindi, contrariamente a quanto si pensa circa una insidiosa infiltrazione della CIA nella comunità giornalistica, è largamente provato che i maggiori editori statunitensi e i direttori dei giornali abbiano spontaneamente posto se stessi e le loro organizzazione al servizio delle agenzie di informazione. «Non reclutiamo giornalisti felloni, per l’amor di dio, ha esclamato a un certo punto William Colby, davanti agli inquirenti del Comitato Church. Andiamo dal direttore, ci attendono a braccia aperte». In tutto, circa venticinque strutture mediatiche, ivi comprese quelle citate all’inizio di questo articolo, hanno fornito copertura all’Agenzia.
 
    Oltre alla funzione di copertura, Dulles approntò una procedura di «débriefing» (interrogatorio), nel corso della quale i giornalisti statunitensi di ritorno dall’estero offrivano regolarmente le loro note e le loro impressioni al personale dell’Agenzia. Accordi di questo tipo, perpetuati dai successori di Dulles fino ai nostri giorni, sono stati stretti letteralmente con dozzine di organizzazioni mediatiche. Negli anni 1950, non era raro che giornalisti rientranti dall’estero si incontrassero con ufficiali della CIA ancora a bordo della nave. «C’erano questi ragazzi della CIA con le loro tessere di identità lampeggianti che ti guardavano come se appartenessero allo Yale Club», dichiarava Hugh Morrow, ex corrispondete del Saturday Evening Post, oggi addetto stampa dell’ex vicepresidente Nelson Rockefeller. «Era una cosa talmente abituale che ci si sentiva un po’ delusi se non ti abbordavano».
 
    […]
 
    Fin dall’inizio, l’utilizzazione di giornalisti venne considerato tra le operazioni più sensibili della CIA, con piena conoscenza limitata al direttore della Centrale e a qualcuno dei suoi alti funzionari. Dulles e i suoi successori avevano paura di quel che sarebbe successo se la copertura di un giornalista fosse diventata di dominio pubblico o se i dettagli delle relazioni dell’Agenzia con la stampa venissero conosciuti. Quindi i contatti con i capi delle organizzazioni mediatiche sono state in genere gestite dallo stesso Dulles e dai direttori succedutigli dell’Agenzia, dai direttori aggiunti e dai capi delle divisioni incaricate delle operazioni segrete, Frank Wisner, Cord Meyer Jr., Richard Bissell, Desmond FitzGerald, Tracy Barnes, Thomas Karamessines e Richard Helms, lui-stesso un ex corrispondente dell’UPI [Agenzia di stampa USA, NdT]. E, talvolta, da altri membri della gerarchia dei quali si sapeva che intrattenevano strette relazioni sociali con un certo editore o un dirigente della radiodiffusione.
 
    James Angleton, che da poco è stato dispensato dall’incarico di capo delle operazioni di contro-spionaggio dell’Agenzia, dirigeva un gruppo completamente indipendente di giornalisti-operativi, che effettuavano operazioni delicate e spesso pericolose. Poco si sa su questo gruppo, per la semplice ragione che Angleton teneva degli schedari assai imprecisi.
 
    La CIA ha anche organizzato un programma di formazione ufficiale, negli anni 1950, per insegnare ai suoi agenti il mestiere di giornalista. Gli ufficiali dei servizi di informazione sono stati «formati a confezionare notizie come dei giornalisti», ha spiegato un alto funzionario della CIA, e sono stati poi sistemati nelle principali aziende di informazione con l’aiuto della direzione. «Sono i ragazzi che hanno avuto uno scatto di carriera e a cui è stato detto: voi diventerete giornalisti», ha dichiarato il responsabile della CIA. Tuttavia, assai poche delle 400 relazioni descritte nei dossier dell’agenzia seguivano questa traccia; la maggior parte delle persone coinvolte erano già dei veri giornalisti quando hanno cominciato a svolgere missioni per conto dell’Agenzia.
 
Quaranta anni dopo, l’articolo di Bernstein è ancora l’articolo da leggere per capire le relazioni che vi sono state tra la CIA e i media commerciali.
 
Infatti un memo declassificato nel 1965 conferma gran parte di quel che Bernstein avrebbe poi scritto nel 1977. Il memo era indirizzato al direttore aggiunto della Direzione dei servizi di informazione, Ray S. Cline, e rivela i nomi di diversi giornalisti di fama che «ricevevano informazioni» da parte di Cline. Quando si parla di «informazioni», però, si capisce che i giornalisti ricevevano semplicemente degli ordini di pubblicazione da parte della CIA. Il memo contiene i nomi di Joseph C. Hersch, di Walter Lippmann, di John Scott, di Joseph Alsop, di Wallace Carroll, di Cy Sulzberger, di Henry Gemill, di Charles Bartlett, di Max S. Johnson, di Harry Schwartz, di Bill Shannon, di Jess Cook, di Stewart Alsop, di William S, Chalmers Roberts, Murrey Marder, Charles JV Murphy, Russell Wiggins, Alfred Friendly, Tad Szulc e Kay Graham. Tra i giornali elencati, compaiono il Christian Science Monitor, Los Angeles Times, NBC, TIME, Publishers’ Newspaper Syndicate, New York Times, Wall Street Journal, U.S. News and World Report, Saturday Evening Post, United Features Syndicate, Washington Post, Fortune, e Newsweek.
 
Anche il documento ufficiale del governo degli Stati Uniti sul rovesciamento del presidente legittimo dell’Iran negli anni 1950 ammette che la CIA aveva confezionato e fatto pubblicare delle storie dalla stampa USA. C’è scritto: «In collaborazione col Dipartimento di Stato, la CIA ha fatto distribuire diversi articoli ai principali giornali e magazine statunitensi che, pubblicati in Iran, hanno prodotto l’effetto psicologico voluto in quel paese e hanno contribuito alla guerra di nervi contro Mossadeq».
 
Nel 1975, il Comitato speciale del Senato degli Stati Uniti incaricato di fare un’analisi delle operazioni governative in materia di servizi di informazione ha constatato che l’Agenzia aveva materialmente passato degli articoli alla stampa. Il presidente del Comitato Church, il senatore Frank Church, ha pubblicamente dichiarato: «Ho pensato che fosse reale la preoccupazione che delle bufale costruite nell’interesse nazionale da divulgare all’estero ritornino poi a casa, circolino qui e siano prese sul serio, perché questo significherebbe che la CIA è in grado di manipolare le informazioni negli Stati Uniti, canalizzandole attraverso un paese estero». In altri termini, il tipo di propaganda che si ritiene destinata all’impiego contro i nemici stranieri e a raggiungere gli altri popoli viene attualmente usata anche nel paese.
 
 
Durante una seduta di domande e risposte nel corso dei lavori del Comitato Church, sono state rivolte ad un rappresentante della CIA una serie di questioni relative alla possibilità che la CIA produca bufale per la stampa. Occorre leggere tra le righe nelle risposte, tanto è evidente che essere non contengono una smentita.
 
Domanda: «La CIA ha dipendenti che contribuiscono ad una importante circolazione – nei giornali statunitensi?»
 
Risposta: «Disponiamo di persone che propongono articoli ad alcune riviste statunitensi»
 
Domanda: «C’è gente pagata dalla CIA che lavora per reti televisive?»
 
Risposta: «Penso che così si entri nei… uhm… nei dettagli. Signor Presidente, vorrei rinviarli alla sessione esecutiva».
 
(più tardi)
 
Domanda: «C’è gente pagata dalla CIA e che lavora in qualche modo per le agenzie di stampa nazionale AP e UPI?»
 
Risposta: «Ancora una volta, penso che stiamo entrando in quei dettagli che preferirei trattare nella seduta esecutiva»
 
 
Nel libro di Deborah Davis, Katharine the Great, si racconta che un agente della CIA ha detto un giorno al proprietario del Washington Post, Philip Graham: «Lei potrebbe avere un giornalista più a buon mercato di una buona ragazza squillo, per qualche centinaio di dollari al mese».
 
Che il programma sia proseguito fino a oggi, è oramai più un segreto di Pulcinella che qualcosa di rigorosamente segreto come lo è stato dagli anni 1950 fino agli anni 1970. Però, resta interamente coperta da segreto la misura nella quale le notizie sono prodotte dalla CIA o da altre istituzioni governative. Nel 1975, l’idea che i media commerciali mentissero e che la CIA fabbricasse bufale a scopo di propaganda era scioccante, ma nel 2017 non tanto.
 
Infatti, molte delle cose considerate scioccanti nel 1975 oggi sembrano più o meno normali. Ciò dimostra fino a che punto gli Statunitensi abbiano percorso la strada dell’accettazione della perdita dei diritti e della stessa apparenza di onestà. Ciò è in parte dovuto ai programmi di cui scrivo in questo articolo. E non dice nulla del controllo massiccio che la CIA e altri interessi connessi esercitano sull’industria dell’intrattenimento. L’industria dell’intrattenimento, però, è un soggetto che va ben oltre la portata di questo articolo.
 
Gli Stati Uniti continuano ancora oggi a pagare dei giornalisti per scrivere degli articoli di propaganda che convengono al loro ordine del giorno. Per esempio, lo stesso New York Times ha scritto nel 2006 che l’amministrazione Bush ha pagato un giornalista per creare delle bufale contro Cuba.
 
Ricordate il dottor Udo Ulfkotte, giornalista e politologo tedesco, che ha dichiarato alla televisione pubblica che, mentre lavorava come giornalista, è stato costretto a pubblicare il lavoro dei servizi segreti con il proprio nome. Un eventuale suo rifiuto, ha sostenuto, gli avrebbe fatto perdere il lavoro.
 
Ha dichiarato:
 
    «Io sono giornalista da circa 25 anni e sono stato addestrato a mentire, a tradire e a non dire la verità al pubblico.
 
   Ma guardando adesso, in questi ultimi mesi, come i media tedeschi e statunitensi tentano di spingere i popoli europei alla guerra, alla guerra contro la Russia, è un punto di non ritorno e devo alzarmi e dire che non è bene quel che ho fatto nel passato, manipolare la gente, fare della propaganda contro la Russia, e non è giusto quello che i miei colleghi fanno e io ho fatto nel passato, perché si sono fatti corrompere per tradire la gente, non solo in Germania, ma dappertutto in Europa».
 
Nel 2014 sono apparse altre rivelazioni che approfondiscono i temi del memo del 1965, e che dicono che i giornalisti ricevono ancora regolarmente le «informazioni» della CIA, partecipano ad eventi organizzati dalla CIA e consegnano perfino i loro articoli preventivamente alla CIA per commenti e riscritture. Come Ken Silverstein ha scritto per The Intercept nel suo articolo “L’uomo-cancellino della CIA: il giornalista del LA Times si è fatto correggere i suoi articoli dalla CIA prima della pubblicazione”:
 
    Un eminente giornalista del Los Angeles Times, esperto di sicurezza nazionale, ha sistematicamente sottoposto bozze e sunti dettagliati dei propri articoli ai manipolatori di stampa della CIA prima della pubblicazione, secondo quanto risulta da documenti ottenuti da The Intercept.
 
    Le mail scambiate tra gli agenti degli affari pubblici della CIA e Ken Dilanian, attualmente giornalista dell’agenzia Associated Press e che aveva in precedenza “coperto” la CIA per il Times, rivelano che Dilanian intratteneva una relazione di collaborazione stretta con l’agenzia, promettendo esplicitamente una copertura giornalistica favorevole e trasmettendo talvolta delle bozze da correggere prima della pubblicazione. Almeno in un caso, la CIA sembra avere ampiamente modificato l’articolo che è stato poi pubblicato sul Times.
 
     «Sto lavorando a una storia sulla sorveglianza del Congresso sugli attacchi con droni, che può presentare buone opportunità per voi ragazzi», scrive Dilanian in una mail indirizzata ad un addetto-stampa della CIA, spiegando che quello che aveva intenzione di scrivere sarebbe stato «rassicurante per il pubblico» a proposito degli attacchi con droni effettuati dalla CIA. In un’altra mail, dopo un va e vieni di mail a proposito di un articolo da scrivere sulle operazioni della CIA in Yemen, ha mandato una bozza completa di un articolo non ancora pubblicato con scritto sopra «così va meglio?». In un’altra mail, chiede all’agente: «Non ci metterai della disinformazione, vero?»
 
    Le mail di Dilanian sono parte di centinaia di pagine di documenti che la CIA ha declassificato in seguito a due richieste della FOIA che sollecitava un accesso ai dossier sulle interazioni tra l’Agenzia e i giornalisti. Vi sono anche degli scambi di mail con alcuni giornalisti dell’Associated Press, del Washington Post, del New York Times, del Wall Street Journal e di altri periodici. Oltre alla deferenza di Dilanian nei confronti dei manipolatori di stampa della CIA, i documenti dimostrano anche che l’agenzia invita regolarmente i giornalisti alla sede di McLean, in Virginia, in occasione di briefing e altri eventi. Tra i reporter invitati, figurano David Ignatius del Washington Post, gli ex difensori civici del New York Times, del NPR e del Washington Post, oltre a Brett Baier, Juan Williams e Catherine Herridge di Fox News.
 
    […]
 
    Le mail rivelano anche che la CIA ha chiesto a Ignatius, del Washington Post, di prendere la parola durante una conferenza del maggio 2012 su «Il futuro dell’islam politico: sfide, scelte e incertezze» destinata agli analisti e ai decisori del governo USA. L’invito è stato effettuato a mezzo mail proveniente dall’ufficio stampa, che diceva che gli organizzatori della conferenza «avrebbero piacere che ella tragga spunto dalla sua esperienza sul campo, dai suoi rapporti e dalla vasta rete di contatti durante la primavera araba, per condividere come i giornalisti avvertono che dei cambiamenti politici, sociali o religiosi importanti siano imminenti».
 
    Ignatius ha risposto che sarebbe stato «felice e onorato di farlo», ma purtroppo sarebbe stato in viaggio in Europa il giorno della conferenza. La CIA poi ha proposto «una tavola rotonda più ristretta con in nostri […] ragazzi, successivamente». «Una tavola rotonda più ristretta sarebbe perfetto», ha risposto Ignatius.
 
    […]
 
    Bret Baier, di Fox News, ha tenuto una allocuzione sull’importanza delle opere pie nel 2008 (che è stata all’epoca segnalata), e gli ex difensori civici del NPR, del Washington Post e del New York Times (Jeffrey Dvorkin, Michael Getler e Daniel Okrent, rispettivamente), sono comparsi insieme in un panel della CIA. La presentazione dell’evento sottolineava che il giornalismo «condivide alcune delle missioni degli analisti dei servizi di informazione: presentare l’informazione in modo imparziale e rimettere in discussione le opinioni prevalenti». Gli ombusdmen potrebbero dare una mano alla CIA per «capire come i giornalisti trattano alcune delle nostre difficoltà professionali ed etiche comuni». (La data esatta della riunione non è chiaramente indicata nei documenti, ma potrebbe trattarsi del 2009 o prima),
 
    Nel 2007, Juan Williams, all’epoca alla NPR oltre che a Fox News, ha pronunciato un discorso promosso dall’Ufficio dei piani e programmi di diversità dell’Agenzia. Nel corso del discorso, Williams ha esaltato il personale della CIA come «quanto di meglio e di brillante», e ha dichiarato che gli Statunitensi ammirano l’agenzia e hanno fiducia in essa «nella guida della nazione e per il suo futuro».
 
    Sempre nel 2007, il venerato giornalista John Pilger ha pronunciato un discorso alla Conferenza 2007 sul socialismo, affermando che la propaganda è diventata un fattore importante e onnipresente nella nostra vita. Ha detto:
 
    «Sappiamo oramai che la BBC e altri media britannici sono stati utilizzati dal servizio segreto di informazione britannico MI-6. In quella che hanno battezzato “Operation Mass Appeal”, gli agenti dello MI-6 hanno fabbricato e divulgato bufale a proposito delle armi di distruzione di massa di Saddam, come le armi nascoste nei suoi palazzi e nei sotterranei segreti. Tutte queste storie erano false.
 
    ***
 
    Una delle mie storielle preferite a proposito della Guerra Fredda riguarda un gruppo di giornalisti russi che facevano una tournée negli Stati Uniti. L’ultimo giorno, sono stati invitati dai loro ospiti a esprimere le loro impressioni. «Devo dire, affermò il portavoce, che siamo stupiti di constatare dopo avere letto tutti i giornali e guardato quotidianamente la televisione, che tutte le opinioni su qualsiasi argomento vitale siano identiche. Per ottenere un simile risultato nel nostro paese, noi spediamo dei giornalisti nei gulag. Strappiamo anche loro le unghie. Qui voi non avete bisogno di tutto questo. Quale è il vostro segreto?».
 
Un anno dopo, Nick Davies ha scritto quanto segue sul giornale The Independent:
 
    Per la prima volta nella storia dell’umanità, esiste una strategia concertata per manipolare la percezione globale. E i mass media funzionano come assistenti compiacenti, che contemporaneamente non oppongono resistenza e non denunciano questo fenomeno.
 
    La facilità con cui questa macchinazione ha potuto essere messa a punto riflette una crescente debolezza strutturale che affligge attualmente la produzione delle nostre informazioni. Ho trascorso gli ultimi due anni alla ricerca di un libro sulla menzogna, la distorsione e la propaganda nei media.
 
    La Lettera di Zarqawi, pubblicata sulla prima pagina del New York Times nel febbraio 2004, faceva parte di una serie di documenti molto sospetti che sarebbero stati scritti da, o a, Zarqawi e che sono stati pubblicati dai media di informazione.
 
    Questo materiale è stato prodotto, in parte, dalle agenzie di informazione che continuano a operare senza controlli efficaci; e anche da una struttura nuova e essenzialmente benigna di «comunicazione strategica» che venne inizialmente concepita dalle colombe del Pentagono e della NATO che volevano utilizzare tattiche sottili e non violente per fronteggiare il terrorismo islamista, ma il cui lavoro è mal regolamentato e mal controllato, col risultato che alcuni dei suoi operatori si scatenano e si impelagano nelle arti nere della propaganda.
 
    ***
 
    Il Pentagono ha attualmente designato le «operazioni di informazione» come la propria quinta «competenza di base» al fianco delle forze terrestri, marittime, aeree e speciali. Dall’ottobre 2006, tutte le brigate, divisioni e corpi dell’esercito statunitense hanno un loro ufficio «psyop» (guerra psicologica) che influenza i media locali. Questa attività militare è organizzata nell’ambito della campagna di «diplomazia pubblica» del Dipartimento di Stato che provvede anche a finanziare stazione radio e siti web di attualità. In Gran Bretagna, la direzione Targeting e Information Operation del ministero della difesa collabora con gli specialisti di 15 psyop britanniche, che hanno sede nella scuola per la sicurezza e le informazioni della difesa di Chicksands, nel Bedfordshire.
 
    Nel caso dei servizi di informazione britannici, questa combinazione di propaganda impudente e fallimento nella gestione del lavoro è emersa innoccasione dell’operazione Mass Appeal. L’ex ispettore degli armamenti dell’ONU, Scott Ritter, ha raccontato nel suo libro, Iraq Confidential, come, a Londra nel giugno 1998, egli venne presentato a due «specialisti della propaganda nera» dello MI-6 che volevano consegnargli dei documenti che egli avrebbe potuto divulgare grazie «agli editori e ai giornalisti che lavorano per noi occasionalmente».
 
Nel 2013, un altro evidente collegamento tra il Washington Post e la CIA è emerso quando è stato rivelato che Jeff Bezos, proprietario unico del Washington Post, proprietario di Amazon, aveva concluso un accordo con la CIA concernente l’infrastruttura della tecnologia cloud. Questo mette in discussione l’indipendenza con cui il Washington Post copre le attività della CIA, e la capacità del giornale di opporsi alla pubblicazione di bufale confezionate dalla CIA. Come ha constatato RootsAction.org, «l’accordo Amazon-CIA potrebbe essere solo un inizio». Il gruppo ha risposto: «L’offerta di Amazon non era la più conveniente, ma ha comunque vinto il contratto della CIA offrendo l’avanzata gamma di alta tecnologia del cloud computing.   […] Bezos vanta personalmente e pubblicamente i servizi internet di Amazon e Amazon cercherà di concludere nuovi contratti con la CIA».
 
Robert McChesney è co-autore del libro “Dollarocrazia: come il danaro e i media distruggono il sistema elettorale statunitense”, e autore di “La disconnessione digitale: come il capitalismo utilizza internet contro la democrazia”. E’ anche professore di comunicazione all’Università dell’Illinois. Quando gli hanno chiesto di commentare il rapporto Washington Post-Bezos-CIA-Amazon, ha risposto:
 
    «Quando il principale azionista di una delle maggiori società del mondo stipula un consistente contratto con la CIA, da un lato, e quando questo stesso miliardario è proprietario del Washington Post, dall’altro, questo comporta seri problemi. Il Washington Post è incontestabilmente il giornale politico di riferimento degli Stati Uniti, e il modo in cui decide di coprire l’attività di governo definisce l’agenda per l’equilibrio dei mezzi di informazione. I cittadini dovrebbero essere informati su questo conflitto di interessi nelle stesse colonne del Washington Post».
 
    […]
 
     «Se un nemico ufficiale degli Stati Uniti si trovasse in una situazione simile – poniamo che il proprietario del più importante giornale di Caracas ricevesse 600 milioni di dollari in contratti segreti da parte del governo Maduro, lo stesso Washington Post guiderebbe il coro urlante per denunciare questo giornale e questo governo che si prendono gioco del concetto di stampa libera. Sarebbe tempo per il Washington Post di assumere una dose della sua stessa medicina».
 
Uno dei più recenti esempi di commistione tra CIA e media è stato in occasione del licenziamento di Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Donald Trump. Oltre al fatto che tutti i grandi media si sono istericamente uniti per spingere alle dimissioni di Flynn, ciò che è da sola una ragione sufficiente per suggerire essersi trattato di una campagna coordinata, è anche importante notare che le «fughe di notizie» sulla conversazione sono state pubblicate per primo dal Washington Post, un giornale da tempo noto come «il giornale delle soffiate» della CIA, come si dice in questo articolo. Infatti è stato il procuratore generale supplente ereditato dall’amministrazione Obama, Sally Q. Yates, l’autore dell’avviso all’amministrazione Trump a proposito delle dichiarazioni di Flynn e la conversazione con l’ambasciatore russo.
 
Peggio ancora, l’attacco contro Flynn è stato lanciato prima ancora che Trump assumesse le funzioni. Durante gli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, il direttore della CIA, John Brennan, e James Clapper, il direttore dell’Ufficio dei servizi di informazione nazionali, due persone che hanno contribuito a montare il ridicolo scandalo delle «interferenze russe nelle elezioni», senza essere in grado di fornire alcuna prova, hanno intercettato le conversazioni di Flynn, sostenendo che la sua nomina sarebbe stata un rischio potenziale per la sicurezza nazionale e l’amministrazione Trump. Come ha scritto lo stesso Washington Post.
 
    Negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, James R. Clapper Jr., il direttore dei servizi di informazione nazionali, e John Brennan, il direttore della CIA dell’epoca, condividevano le preoccupazioni di Yates ed hanno sottoscritto la sua raccomandazione di informare la Casa Bianca di Trump. Temevano che «Flynn si fosse messo in una posizione compromettente» e pensavano che Pence dovesse sapere di essere stato indotto in errore, secondo uno dei funzionari che, come altri, hanno parlato in forma anonima per discutere di questioni relative alla intelligence.
 
Come ha sottolineato l’ex deputato dell’Ohio, Dennis Kucinich, è importante ricordare che una telefonata del nuovo consigliere per la sicurezza nazionale del legittimo presidente degli Stati Uniti è stata «intercettata» dalla comunità dei servizi di informazione e poi distribuita ai media per la diffusione. E’ un pezzo incredibilmente importante del puzzle, che dimostra come tutta la vicenda rientra senza alcun dubbio in una operazione dei servizi segreti.
 
«L’essenziale di questa vicenda è l’impegno di alcuni della comunità dei servizi di informazione per bloccare qualsiasi evoluzione positiva delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, ha dichiarato.
 
Ci sono persone che tentano di mettere contro Stati Uniti e Russia per consentire alla mafia dei servizi di informazione, industria e militari di arricchirsi», ha aggiunto.
 
Kucinich ha anche dichiarato; «C’è una partita in corso all’interno della comunità dei servizi di informazione, nella quale taluni vogliono allontanare gli Stati Uniti dalla Russia, per rilanciare la guerra fredda.
 
Quello che sta succedendo nella comunità dei servizi di informazione con questo nuovo presidente è senza precedenti. Fanno di tutto per rovesciarlo. Non si sa più dove sta la verità.
 
C’è qualcosa di pessimo nella comunità dei servizi di informazione» ha concluso.
 
Quando gli hanno chiesto che cosa deve fare Donald Trump, Kucinich ha risposto: «Prima di tutto, deve creare un suo proprio servizio di informazione. Sapete? Non sto scherzando. E’ una cosa seria. Se non è in grado di controllare la fonte dell’informazione, non saprà mai la verità, il popolo statunitense non saprà mai la verità e potrebbe capitare di dover fare la guerra con qualsiasi paese. Siate prudentissimi. E’ il mio consiglio di stamattina».
 
Se dietro la polemica operavano la CIA / la comunità del servizi di informazione, la storia doveva uscire in qualche modo, e in «qualche modo» è il famoso Washington Post della CIA così come altri giornali simili.
 
Per quanto, letteralmente, volumi di documenti potrebbero essere scritti per documentare e spiegare la relazione della CIA con i principali media statunitensi (e stranieri) e la manipolazione delle coscienze che ne deriva, resta un dato incontrovertibile: tutto quanto viene scritto nella stampa commerciale è stato per lo meno approvato e autorizzato da poteri ben superiori a quelli della redazione. E’ importante quindi segnalare come sia sufficiente che una sola agenzia di stampa, di solito Reuters o Associated Press, diffonda una notizia perché tutti gli altri grandi media la pubblichino. Insomma è necessario solo influenzare queste due agenzie di stampa per ottenere una influenza formidabile su tutti i media commerciali (attualmente concentrati nelle mani di sole sei imprese). La CIA però esercita la propria influenza su molti altri media, e non solo su Reuters e AP.
 
Purtroppo gli Statunitensi, vittime della stessa propaganda che li ha persuasi che gli Stati Uniti sono il paese più libero al mondo con la stampa più libera, continuano a prendersela di nuovo con sedicenti «aggressori» e difendono i loro media come se fossero il supremo punto di riferimento. Come ha detto Zbigniew Brzezinski una volta: «In breve tempo il pubblico diventerà incapace di ragionare o di pensare da se stesso. Saranno solo capaci di ripetere a pappagallo le notizie ascoltate nei notiziari delle sera precedente». Queste notizie sono loro fornite dalle api operaie di una élite oligarchica che intende controllare le opinioni, il modo di pensare e gli orientamenti degli Statunitensi, un obiettivo che stanno per raggiungere, se non l’hanno già fatto, in parte perché la CIA ha accesso alle quantità massicce di dati digitali volontariamente forniti dalle imprese e incanalati verso la NSA a fini di sorveglianza, profilatura e manipolazione. Questi dati da soli hanno permesso al Ministero della Difesa di creare avatar individuali che possano predire il comportamento di ciascun uomo, donna, bambino nel paese.
 
Le informazioni fornite in questo articolo costituiscono solo la punta dell’iceberg delle tecniche di fabbricazione del consenso, utilizzate dall’establishment anglo-sassone.
 
 
Note:
 
  1.  Davis, Deborah (1979). Katharine The Great : Katharine Graham e il Washington Post. Harcourt Brace Jovanovich. ISBN 0151467846. ↩
  2.  Idem