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Strategic Culture, 22 marzo 2019 (trad. ossin)
 
La Russia non tollererà un intervento militare USA in Venezuela
Finian Cunnigham
 
Nel corso di una riunione ad alto livello tenutasi a Roma questa settimana, sembra che la Russia abbia reiterato un grave ammonimento agli Stati Uniti – Mosca non tollererà un intervento militare statunitense per rovesciare il governo venezuelano cui è alleata.
 
Il presidente Vladimir Putin e il presidente Nicolas Maduro
 
Nel frattempo, a Washington DC, il presidente Donald Trump ha continuato a vantarsi che l’opzione militare è ancora sul tavolo, durante la conferenza stampa col suo omologo brasiliano Jair Bolsonaro. Trump sta bluffando, o non è stato ancora informato della linea rossa tracciata dalla Russia.
 
L’incontro nella capitale italiana tre l’inviato speciale degli Stati Uniti in Venezuela, Elliot Abrams, e il vice ministro russo degli Affari esteri, Sergei Ryabkov, è stato organizzato in fretta e furia. Il Dipartimento di Stato USA ha annunciato il tête-à-tête solo tre giorni prima. I due responsabili avrebbero discusso per due ore in un hotel di Roma, una location che sembra sia stata scelta ad hoc.
 
Abrams non è un normale diplomatico. Specialista del regime change, con precedenti penali per avere patrocinato operazioni terroriste, in particolare la tristemente celebre vicenda Iran-Contra con l’obiettivo di destabilizzare il Nicaragua negli anni 1980. La sua nomina da parte del presidente Trump nel «dossier del Venezuela» conferma la seria intenzione di Washington di rovesciare il governo di Caracas. Che riesca a realizzarlo è un altro affare.
 
L’interlocutore moscovita, Sergei Ryabkov, è noto per non giocare con le parole, avendo già rimproverato Washington di cercare il dominio militare. E’ abituato a chiamare gatto un gatto, e magari criminale un criminale.
 
L’incontro a Roma in settimana è stato definito «franco» e «serio» – che in linguaggio diplomatico indica una discussione rovente. Il momento è importante, dopo che la scorsa settimana il Venezuela è stato gettato nel caos da continui blackout la cui responsabilità è stata attribuita da molti osservatori, compreso il Cremlino, a un cyber sabotaggio USA. Le interruzioni di corrente elettrica sono venute dopo un tentativo infruttuoso di Washington di organizzare una provocazione contro le forze armate venezuelane, a proposito di aiuti umanitari in provenienza il mese scorso dalla vicina Colombia.
 
Il fatto che i tentativi di Washington di rovesciare il presidente eletto Nicolas Maduro siano falliti fino ad oggi, farebbero pensare che gli Statunitensi stiano intensificando la campagna di destabilizzazione del paese con l’obiettivo di mettere alla presidenza l’esponente dell’opposizione sostenuto dagli Stati Uniti, Juan Guaido. Quest’ultimo si è autoproclamato «presidente ad interim» in gennaio con l’imprimatur di Washington.
 
Giacché anche le interruzioni di elettricità non sono riuscite a provocare una rivolta della popolazione civile o dell’esercito contro Maduro, la prossima opzione di Washington potrebbe essere quella militare.
 
Sembra significativo che Washington abbia recentemente evacuato i suoi ultimi diplomatici dal paese sud-americano. Il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, ha commentato l’evacuazione dichiarando che la presenza di personale statunitense sul campo «limitava» il campo d’azione di Washington. Si aggiunga che American Airlines avrebbe cessato tutte le sue attività in Venezuela la settimana scorsa, ancor più suggerendo che gli Stati Uniti prevedrebbero un intervento militare, o direttamente con proprie truppe, o segretamente armando mercenari locali. Quest’ultima opzione ricade certamente nella competenza di Abrams.
 
Dopo la riunione di Roma, Ryabkov ha dichiarato senza mezzi termini: «Noi supponiamo che Washington prenda sul serio le nostre priorità, e anche il nostro approccio e i nostri avvertimenti».
 
Uno degli avvertimenti consegnati da Ryabkov riguarderebbe il fatto che nessun intervento militare statunitense in Venezuela sarà tollerato da Mosca.
 
Da parte sua, Abrams aveva l’aria di uscire dalla riunione come qualcuno che è stato severamente rimproverato. «No, non siamo giunti ad un’intesa, ma penso che le discussioni siano state positive nel senso che le due parti ne sono uscite con una migliore comprensione del punto di vista dell’altro», ha dichiarato alla stampa.
 
«Una migliore comprensione del punto di vista dell’altro» significa che alla parte statunitense è stata tracciata una linea rossa da non superare.
 
L’arroganza degli USA è stupefacente. Secondo quanto si dice negli Stati Uniti, Abrams sarebbe andato a Roma nella speranza di ottenere da Ryabkov una «transizione» o un «compromesso» nella individuazione del prossimo «presidente» del Venezuela.
 
E’ certamente quello che ha voluto dire quando ha dichiarato, dopo la riunione, «che non c’era stata una convergenza di punti di vista», ma che aveva acquisito «una migliore comprensione» della posizione della Russia.
 
Lo stratagemma di Washington è un remake della Siria. Durante gli otto anni di guerra in questo paese, gli Stati Uniti hanno continuamente reclamato una «transizione politica» che avrebbe dovuto portare alle dimissioni del presidente Bashar al Assad. Al contrario, l’irremovibile posizione della Russia nei confronti della Siria è sempre stata che nessuna ingerenza straniera debba decidere e che spetta al popolo siriano di decidere in autonomia.
 
Quasi tre anni dopo l’intervento militare della Russia in Siria, per salvare il paese arabo da una guerra clandestinamente sostenuta dagli Stati Uniti mirante ad un regime change,  gli USA hanno manifestamente rinunciato alla loro iniziale richiesta imperiosa di una «transizione politica». Il principio della sovranità siriana ha prevalso, in gran parte per merito dell’incisiva difesa del suo alleato arabo da parte della Russia.
 
Adesso Washington, nella sua incorreggibile arroganza, riceve un’altra lezione dalla Russia – stavolta nel suo asserito «cortile di casa» dell’America Latina.
 
Non è questione che la Russia venga coinvolta dagli strateghi del regime change di Washington in discussioni su chi debba essere il presidente del Venezuela e «come si possa gestire una transizione». Mosca ha ripetuto più volte che il presidente legittimo del Venezuela è Nicolas Maduro, per il quale il popolo ha votato l’anno scorso a stragrande maggioranza in elezioni libere ed eque, sebbene boicottate dall’opposizione orchestrata dagli Stati Uniti.
 
Il quadro che Washington tenta di definire tra il loro auspicato «presidente ad interim» e il presidente uscente Maduro è del tutto specioso ed infondato. Non è nemmeno degno di essere discusso, perché sarebbe una flagrante violazione della sovranità del Venezuela. Chi è mai Washington per osare perfino solo tentare di imporre la sua scelta?
 
Per quel che concerne il Venezuela, la Russia deve ricordare – ancora una volta – ai criminali leader statunitensi il diritto internazionale e il rispetto della sovranità nazionale, come Mosca ha fatto in precedenza sulla Siria.
 
E nel caso in cui Washington se ne invaghisse e tentasse l’opzione militare, Mosca ha fatto sapere questa settimana a Abrams, scagnozzo del regime change, che si tratta di una linea rossa. Se Washington conserva ancora un minimo di razionalità, il suo fiasco siriano le suggerirà che il Venezuela è protetto dalla Russia.
 
La forza politica è fuori questione, la forza militare anche. Bisogna rispettare il diritto internazionale e la sovranità del Venezuela, E’ l’ultimatum eminentemente ragionevole della Russia a Washington.
 
Adesso, i disperati Statunitensi potranno sempre mettere in campo altri sabotaggi, cyber o finanziari. Ma le sue opzioni sono limitate, al contrario di quel che pensa Trump.
 
Adesso, i giorni delle fanfaronate imperialiste statunitensi sono contati. C’è stato un tempo in cui potevano distruggere l’intera America Latina. Non più adesso, evidentemente. Grazie, in parte, alla posizione mondiale e alla potenza militare della Russia.