Media camerunesi e imprese: obiettivi strategici, etici e prospettive


Dove il boicottaggio da parte del capitale dell’industria mediatica nazionale rende fragile il tessuto economico e nuoce agli uomini di affari


di Jean Marc Soboth



L’industria mediatica camerunese non produrrà, forse mai prima di un decennio almeno,  un giornale dell’importanza del quotidiano nigeriano This Day (stampato e pubblicato ad Abuja – Nigeria – dal gruppo Leaders & Company). Tirata in un centinaio di migliaia di copie almeno, secondo le indicazioni del NUJ (Nigerian Union of Journalists), la sua edizione domenicale è immediatamente disponibile, appena stampata, negli alberghi e nei viali ancora deserti di Abuja.  Sono 124 pagine, vendute dagli strilloni sulle strade di Nikon, Maitama o Isokoro, i quartieri “americani” della capitale federale. Il tabloid ha, in tutte le edizioni, fotografie a colori ed ospita anche un supplemento-moda in quadricromia e carta patinata destinato al suo pubblico femminile.
Accanto a questo contesto di potenza demografica – tuttavia segnato da governi militari autoritari, ma che conta comunque almeno quaranta quotidiani – si colloca il modello keniota. A Nairobi un presentatore-vedette della KBC (Kenya Broadcasting Corporation) percepisce uno stipendio di 12.000 dollari (circa 5 milioni di franchi Cfa) al mese…
Il Kenya conta in totale una quindicina di quotidiani, come la Costa d’Avorio. Il gruppo keniota Nation pubblica il Daily Nation, considerato il quotidiano più letto di questo paese di più di 26 milioni di abitanti. Vera filiale di multinazionale, il gruppo pubblica sia una edizione in inglese con una tiratura di 175.000 copie, che una in Swahili, dal nome Taifaleo, la cui tiratura si calcola in 34.000 copie, mentre l’edizione domenicale del Sunday Nation ha una tiratura di più di 200.000 copie.
Con un tasso di alfabetizzazione più basso del Camerun (45%) ed una popolazione quasi equivalente, la Costa d’Avorio (14 quotidiani ed una diffusione della televisione senza precedenti in Africa) continua sempre, malgrado l’intermezzo della guerra civile,  ad essere superiore al Camerun in materia di sviluppo dei media, contrariamente a ciò che pensa qualcuno.



Media in difficoltà e senza capitali
In Camerun, e per molte ragioni alle quali occorre anche aggiungere la secolare interclusione regionale e rurale, gli imprenditori non hanno mai avuto una visione regionale o sub regionale di un’Africa dell’ovest, dove un giornale locale può essere distribuito in più paesi in una sola mattinata. Con la notevole eccezione del quotidiano governativo Cameroon Tribune (tiratura in 5000 copie con edizione di 32 pagine), i rari quotidiani (4 in tutto) raggiungono appena una tiratura di 4/5000 copie ciascuno al giorno. Questi tabloid contengono piccoli reportage, tipo verbali di polizia, che sono rinchiusi in una dozzina di pagine, la maggior parte in bicromia.
Il tutto è aggravato da una distribuzione assai laboriosa assicurata dalla società Messapresse, filiale male attrezzata delle NMPP (Nouvelles Messageries de la Presse Parisienne). Questa società altro non è se non una derivazione cooperativa di edizioni francesi che, in Camerun ed in tutta la sottoregione delle ex colonie francesi in Africa, occupa una posizione di quasi monopolio. Con un obiettivo primordiale: promuovere prima di tutto la letteratura della Francia e la lingua francese.
Di fronte all’incapacità degli editori locali di organizzarsi, la società Messapresse non ha potuto fino ad oggi inserire nel suo capitale sociale altro se non il quotidiano pubblico Cameroon Tribune, riservandosi almeno il 40% dei magri incassi degli altri giornali locali.
I media audiovisivi camerunensi non sono messi meglio. La parte del leone viene svolta dalla radio-televisione pubblica, CRTV (Cameroon Radio and Television). Sostenuta da un robusto “canone televisivo”, che pesa sull’insieme dei salari dei Camerunesi, oltre che dagli incassi pubblicitari senza controllo della CMCA (Cameroon Marketing and Communication Agency), e perfino dal ricavato della locazione dei tralicci ai più potenti operatori della telefonia mobile, la “boite grise” di Mballa fattura non meno di 20 miliardi di franchi CFA per anno. Che non hanno tuttavia mai permesso di sanare un deficit cronico di creatività e la problematica di un personale pletorico e nepotista.
Nel settore privato vige una sorta di arte di arrangiarsi, in un clima di mancanza di deontologia e di povertà sociale generalizzata.
Emmanuel Chatué, il proprietario del canale Canal 2 International, populista, “paesano” (per le cattive lingue), è uno dei magnati dei media, vittima di un mercato pubblicitario tra i più modesti dell’Africa francofona  . Trova sempre difficoltà a raggiungere il fine mese per i pagamenti e per i canoni della locazione del satellite presso il comune fornitore di V-Sat, SES New Skies. Il sig. Chatué ha creato una succursale della sua televisione nella Cina continentale per dotare di strumentazione moderna il tele-distributire TV+, una delle sue filiali, specializzata nella fornitura di immagini cablate. Fa il possibile per dotare i suoi studi di buona tecnologia, comunque migliore di quella delle immense e sporche sale della CRTV a Yaoundé.
Il problema è che Canal 2 International non può permettersi di criticare il regime, per poter mantenere aperta la porte delle complesse trattative per il pagamento di piccoli debiti pubblicitari nelle istituzioni statali. E questo la tutela anche da eventuali rappresaglie governative, come è accaduto in altri casi.
Quanto a Spectrum TV, di proprietà di Colin Ebarko Mukete, un imprenditore discreto che vive tra gli USA, l’Africa del Sud ed il Camerun, essa sopravvive a colpi di enormi iniezioni di liquidità. Il suo promotore é figlio di un apparatchik anglofono del regime al potere che in più è capo consuetudinario a Kumba nel Sud – Ovest e dirige il consiglio di amministrazione della Sudafricana MTN (Mobile Telephone Network), della quale detiene il pacchetto di maggioranza. Sembra che rifondi circa 40 milioni di franchi Cfa al mese per mantenere in vita il canale ultramoderno, che nonostante questo fa fatica a rimettersi in discussione. Nonostante il personale per lo più inesperto e senza grande immaginazione, STV, diretto da Mactar Silla, un senegalese che è stato direttore di TV5 Afrique e di RTS (Radiotélévision sénégalaise), è una delle poche ad aver tentato di puntare su veri standard sociali, come fermenti di produttività e di qualità.

I media sono sotto “alta sorveglianza” del governo

Ma nessuno ha dimenticato il precedente più spiacevole. Quello di Equinoxe TV e Radio, che furono sospesi per decisione del Ministro della Comunicazione, Jean Pierre Biyiti bi Essam, il 21 febbraio 2008 “per esercizio illegale della professione di diffusore di comunicazione audiovisiva”.  Il 4 luglio 2008 il provvedimento è stato revocato, ma è stato sufficiente a rovinare l’emittente, lasciandola senza soldi. Una organizzazione di giornalisti,  secondo quanto riportato da RFI (Radio France International), ha osservato che, “malgrado le dette catene televisive abbiano pagato 50 milioni di franchi Cfa, corrispondenti a quasi l’intero ammontare di quanto preteso dalla legge n. 90/052 del 19 dicembre 1990 sulla comunicazione sociale, esse non hanno ancora ottenuto la licenza prevista dal decreto n. 2000/158 del 3 aprile 2000, che fissa le condizioni e le modalità di creazione e sfruttamento delle imprese private di comunicazione audiovisiva”. Questa situazione é una spada di Damocle sul gruppo Equinoxe TV/Radio , ed una ingiustizia nei confronti degli altri media audiovisivi dello stesso gruppo, ai quali il Ministero della Comunicazione aveva già rilasciato una licenza”.
In definitiva, i media del Camerun sono sotto alta sorveglianza governativa. Una vigilanza chiamata “regime di tolleranza” che fu, lo si ricorda, inaugurata nella sua forma più detestabile dalla defunta “censura amministrativa preventiva” prevista dalla legge del dicembre 1990.
Di conseguenza Séverin Tchounkeu, proprietario del gruppo Equinoxe, che controlla anche il quotidiano La Nouvelle Expression (creato nel febbraio 1991) ha ragione di affermare che a causa della chiusura della sua televisione, “sarà ormai difficile che una banca possa dare fiducia ad una impresa giornalistica camerunense”. Sa di cosa parla. I banchieri non fanno credito ai media. Quando Tchounkeu voleva dotare il suo giornale di una rotativa di seconda mano importata dalla Gran Bretagna una decina d’anni fa, non riuscì a convincere il suo banchiere di allora, la Ccei Bank, a seguirlo nell’avventura. Fu infine Amity Bank Plc., un’altra istituzione bancaria “indigena”, a sostenerlo. Con la creazione del suo canale televisivo, due anni fa, dei solidi sostegni spinsero Afriland First Bank – ex Ccei Bank – ad accordargli molto credito. Si può immaginare come tutto sia stato rovinato a causa dei ritardi del governo. Ciò non toglie che l’accettazione del principio del prestito bancario da parte di Afriland First Bank sia stato qualcosa di rivoluzionario, anche se il seguito degli avvenimenti ha sembrato dare ragione all’indecissimmo e nefasto sistema bancario locale…
Non di meno bisogna essere realisti. Se lo si analizza da questo solo punto di vista, il paesaggio mediatico camerunese o sottoregionale sembrerebbe non interessante per tutti gli investitori. E tuttavia lasciarsi frenare da tali scenari catastrofici ci riporterebbe ad inventare il filo per tagliare il burro, vale a dire prendere la strada opposta a quella del progresso del Mondo.

I media, imprese a vocazione strategica
In origine i media non sono imprese finalizzate alla produzione di profitti in senso strettamente capitalista. Non hanno solo il ruolo indispensabile in democrazia che descrisse nel 1787 il presidente nordamericano Thomas Jefferson, l’autore della Dichiarazione di indipendenza – che parlava della stampa nordamericana di allora – vale a dire una trentina di striminzite gazzette settimanali molto di parte.
Il mondo si è evoluto. E molti ritengono già che i media producono molti benefici geostrategici e dunque una redditività che non è sempre astratta. Il movimento di appropriazione strategica dei media da parte del capitale modifica gli standard di vita dei quadri. Ancora meglio. I media nel mondo proteggono per primi i loro promotori, al di là del loro potenziale in dividendi. “Con le loro migliaia di quotidiani e settimanali – rivela un documento ufficiale nord-americano – i loro magazine di interesse più generale o di portata più specializzata, le loro stazioni radio e televisive e le loro case editrici, i media informativi costituiscono ormai la terza grande branca economica (degli Stati Uniti)”, la prima potenza mediatica del mondo, secondo il politologo nordamericano Kevin Philips.
In Francia, ed in Europa in generale, il grande capitale ha rapidamente occupato i media, potente leva di influenza sulle politiche economiche. Eduard de Rothschild è l’azionista di maggioranza del quotidiano Libération. Il magazine Paris Match è di proprietà di Arnaud Lagardère , l’industriale di destra vicino a Nicolas Sarkozy. Questi media sono ormai gestiti come delle vere imprese. Lagardère Active Media, il cui polo Media ha moltiplicato i suoi profitti per dodici tra il 2002 e il 2005.
Le Parisien/Aujourd’hui en France fa parte ormai del gruppo Amaury; starebbe progettando un aumento della produttività dal 15 al 30% per accrescere la sua competitività. Non è da meno Le Nouvel Observateur dove il proprietario, Clause Perdriel, ha designato una nuova direzione editoriale… Infine è stata creato un polo di stampa regionale dal quotidiano Le Monde nel sud della Francia in partenariato con Lagardère. Le Monde ha intrapreso, tra l’altro, la creazione di un giornale gratuito che è stato lanciato in partenariato con Vincent Bolloré.
In Nigeria, il gruppo editoriale appartenente al defunto uomo d’affari yoruba, Moshood K. Abiola, non ha solamente protetto quest’ultimo dai poteri militari, ma l’ha anche lanciato come uomo politico nella stima dei suoi concittadini, alla fine con danno per lui. Le Nouvel Horizon del Front Populaire Ivoirien (FPI) di Laurent Gbagbo ha presto raggiunto le 40.000 copie di tiratura, e soprattutto è servito da trampolino al suo leader che fu esiliato in Francia negli anni ’80.
Il caso della South Media Corporation (SMC), editrice del quotidiano Mutations (che fu fondato negli anni 1995/1996 dall’assicuratore Protais Ayangma Amang  e il presidente Maurice Kamto) non può essere considerato come un cattivo esempio, malgrado i recenti scossoni che hanno interessato la sua equipe. Al di là delle difficoltà di bilancio, di una certa insulsaggine informativa, di un clima societario non sempre al meglio,  addirittura di una attitudine perfino dubitativa dei principali azionisti. La società editrice dei magazine Situations, Ndamba, Cahiers de Mutations, si trova in Africa centrale.

Il caso esemplare della South Media Coorporation, SMC
L’avvenire della SMC, che sarebbe fatta di progetti audiovisivi ambiziosi, si dimostra prima di tutto un mezzo per raggiungere un obiettivo di stabilità “politica” degli affari.
Un noto uomo di affari camerunense, vicino al potere, interrogato in proposito ha recentemente affermato che “nessuno mi accorderebbe una licenza se non proponessi un progetto audiovisivo”. Si deve ricordare allora che un giornale diretto da un autentico cialtrone ha informato in prima pagina, il 28 novembre 2008, che la Commercial Bank of Cameroon (CBC) era in fallimento ed era stata posta in amministrazione provvisoria dalla Commissione Bancaria dell’Afrique Centrale (COBAC). La banca è stata messa alla berlina. Bilancio: non meno di 27 miliardi di franchi Cfa ritirati in 14 giorni, tra cui diverse centinaia di richieste di chiusura dei conti. La CBC è stata salvata in extremis per intervento di banche estere. L’informazione sul fallimento era assolutamente falsa. Ma lo scenario sarebbe stato differente se il gruppo Capital Financial Holding fosse stato “armato” (come una certa opinione africana definisce i gruppi che hanno investito nei media)
Bouygues può discretamente mobilitare il “suo” canale televisivo in Francia per protestare contro ogni intralcio irregolare in una gara d’asta. Prova di influenza sul potere politico, Nicolas Sarkozy ha dovuto reclamare le dimissioni di Alain Genesta,direttore di Paris Match, che aveva pubblicato un articolo su un sex affair americano di Cécilia Sarkozy, l’ex prima donna…
L’uomo d’affari camerunense Baba Ahmadu Danpulo, che vive tra la Nigeria e l’Africa del sud, potrà senza problemi divulgare le sue “idee di progresso” nel suo canale in gestazione, la DBS (Dan Broadcasting System), diretta da un ex del canale pubblico CRTV, Moses Nyoh. Un omologo nigeriano gli avrebbe – si dice – regalato un consiglio prezioso: “Anche se si è multimiliardari, non si è niente se non si posseggono dei media. Si rischia, ogni momento, d’essere ridotti a niente”…
Sarebbe tuttavia illusorio considerare la presente dimostrazione come radicalmente assiomatica, non tenendo conto delle complesse alee del contesto africano: pericoli di una opzione editoriale puramente capitalista, capricci dei poteri pubblici e politici, tentazione di impoverimento del personale (cosa che ha bloccato la maggior parte delle imprese), difficile accesso alle fonti di informazione pubbliche, un sistema di distribuzione mediocre, mercato pubblicitario destrutturato…
In simili affari, occorre tener conto l’insieme dei parametri ambientali.
Lo Stato, all’occorrenza, ha solo un ruolo negativo da giocare. Il potere politico deve considerare come un’opzione programmatica lo sviluppo dei suoi media. Ciò implica che, convinto del ruolo cruciale dei media per la sua crescita, lo stato deve mettere in campo un equipe di esperti per pianificare accuratamente la crescita qualitativa del settore.
In numerosi paesi africani, lo Stato, che è il protagonista più ricco ed influente, stanzia per una tale strategia importanti finanziamenti pubblici, con interventi diretti ed indiretti, per prevenire la proliferazione di anatre zoppe e guarire il giornalismo famelico.  Molto concretamente, il regime dovrebbe dirsi: “Nell’interesse dei cittadini ecco come vogliamo che i media diventino nel giro di tanti anni”.
“I padri fondatori (dello Stato nordamericano) avevano compreso che lo scambio delle idee – anche quelle eccessive – è essenziale alla democrazia; perciò hanno collocato la libertà di stampa nel primo emendamento della Costituzione: Sono passati più di duecento anni e il divieto posto al legislatore di adottare un testo che restringa la libertà di stampa ancor oggi protegge una stampa che pure è ormai ben diversa”.

E’ indispensabile un impegno dello Stato per lo sviluppo dei media
In Camerun, sfortunatamente, non è messo in campo alcun programma di sviluppo dei media, come del resto di ogni altro settore della vita nazionale. Il regime coi media si è sempre comportato come un padre severo, privandoli di capitali pubblici.
D’altro canto, per ragioni di pura stupidità, anche le imprese dei media hanno sempre evitato di confrontarsi con le regole di gestione e management moderni. Hanno anzi disprezzato quegli inevitabili standard sociali “che fanno la differenza”, nascondendosi dietro assordanti borbottii da watch-dogs.
La stampa del futuro deve nascere su veri progetti di affari, con personale competente e ben remunerato, investimenti consistenti, per poter sperare di influenzare il contesto sub-regionale, imitando i media nord-africani.
“Per sopravvivere in un ambiente incredibilmente duro – scrive John Mukela (direttore del Nordic_SADC Journalism Centre di maputo, in Mozambico), i media africani devono cominciare a immaginare, o adottare, delle tecniche e delle pratiche commerciali e gestionali che hanno dato buona prova di sé altrove. Saranno loro indispensabili dei professionisti esperti, che dispongano di solide capacità analitiche e giornalistiche. Le regole di base della gestione sono in larga misura trascurate quando sono i giornalisti esperti, tutto sommato eccellenti redattori ed editori, si misurano anche con il management, spesso con conseguenze disastrose”.
“E’ necessario – prosegue Mukela – formare un certo numero di uomini e donne che sappiano gestire i media. Tale necessità di una generazione di dirigenti e gestori non è mai stata così palese come adesso, con la nascita di nuovi media”.
Al punto in cui siamo, bisogna demolire un paradosso. Per principio, giornalismo e potenza economica non si conciliano. “Dovremmo … sostenere quelli che, in qualche campo, rappresentano degli interessi potenti e che rischiano di voler controllare i flussi informativi”, ammonisce Richard S. Steyn (membro del consiglio di amministrazione dell’Istititute for the Advancement of Journalism di Johannesbourg). Ma questo dibattito, essenzialmente teorico, non porta lontano. “Cosa che, nell’epoca dei multimedia e della televisione satellitare – ammette l’universitario – è d’altronde sempre più difficile fare”.
Il circolo vizioso capitale/giornalismo è secolare. Non potrebbe prosperare se non alla condizione descritta da Steyn stesso. Le imprese devono, fatte le debite proporzioni, rispettare la libertà del giornalista e della stampa in generale. “I giornalisti faranno meglio il loro mestiere se il loro ruolo sarà apprezzato nel suo giusto valore, tanto da parte delle autorità, che dai lettori e dagli ascoltatori”.
Traduzione. Se degli investitori punteranno alla creazione di media dei quali tenteranno di controllare giorno per giorno tutti gli aspetti editoriali, la loro iniziativa sarà un insuccesso.
Giustamente. La libertà del giornalista è la garanzia di un giornalismo schizofrenico, quello vero, quello che sempre coltiva il sogno di una società ideale.
 


 

 

 

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