La scelta di Pepe 
Nicola Quatrano
 
Voglio raccontare una piccola storia, storia vera di un uomo vero che nessuno di voi conosce, neanche io. L’ho sentita raccontare e mi è piaciuta, bevendo vino e Pablito Milanès che cantava in sottofondo, ma questa è ancora un’altra storia, forse la racconterò più tardi. Quella di ora si svolge tra Cuba e Positano, ed è anche la storia di una scelta
 
José Rodriguez Feo, Pepe per gli amici, da giovane
 
José Rodriguez Feo, Pepe per gli amici, ne è il protagonista e prometto di dire solo la verità, con l’unica eccezione di un viaggio, a Positano appunto, che lui non ha mai fatto ma gli sarebbe piaciuto poter fare, e che a me serve per giustificare che ne scrivo su un giornale di Napoli. Diciamo quindi che è stato nel 1990, a settant'anni, poco prima di morire a La Havana nel 1993.
 
A Positano era stato veramente molte volte nel suo mondo di prima, quando giovane e ricchissimo andava in giro per il mondo. E ogni giro terminava lì, in quel gioiello selvaggio che allora era solo un borgo di pescatori e qualche ricco inglese.
 
Anni ’50, affittava una vecchia torre saracena, allora ancora si poteva. Quando aveva voglia di mangiare un coniglio, di cui era ghiottissimo, con un barcone andava a Procida, a Monte Pertuso. E poi la Buca di Bacco, e i pescatori di Positano, splendidi nei suoi ricordi, per poche lire disponibili alla courtoisie, indimenticabili e indimenticati amori mercenari.
 
Chissà non ci sia stato anche lui.. cinquantasei, cinquantasette?… tra quei ragazzi di cui parla La Capria, alla festa sulla spiaggia col falò acceso, organizzata da Lady Turner, ragazza di mezza età arrivata tutta allegra da Bali. Il suo yacht (tre alberi, stanza da bagno in lapislazzuli, Renoir nel salotto, cuoco francese, aria condizionata, piscina, eccetera), avrà forse ospitato anche lui per una o due notti.
 
Il ristorante "La Buca di Bacco" negli anni 1950
 
Pepe nasce all’Avana intorno al 1920, da una ricca famiglia di proprietari terrieri e industriali dello zucchero. Bello, alto, snello, elegante, tennis, vela e per di più bravo negli studi, fatti negli USA ovviamente, come si usava allora, a Harvard. Ma, invece di studiare marketing o medicina, studia letteratura, diventa amico di poeti e grandi scrittori.
 
Quando torna a Cuba, la madre miliardaria gli paga un curioso appartamento ultramoderno nel Nuovo Vedado: una grossa V di cemento regge il piccolo edificio che al pianterreno ospita un ristorante cinese e, sopra, il suo elegante rifugio, arredato modernamente e zeppo di quadri di importanti pittori cubani contemporanei (Portocarrero, Diago, Servando Cabrera, Lam, Mariano) cui la madre, per amore del figlio, fa da mecenate. Sono anni di grande attività e di amicizie intriganti: diventa condirettore e finanziatore della più importante rivista di letteratura cubana, “Origenes”, e viaggia in America e in Europa a caccia di prestigiose collaborazioni. Fonda un’altra rivista, “Ciclon”, che dura poco.
 
Ma ancora altro accade a Cuba in quel periodo ardente, Fidel Castro torna col Granma e inizia coi suoi la guerriglia sulla Sierra Maestra. Nel 1959 vince la revolucion e la ricca famiglia di Pepe abbandona l’isola.
 
Per sua sorella una scelta tragica: non si adatterà mai all’american way of life e, alla morte della madre, finirà in strada, a New York, come una vagabonda senza fissa dimora. 
 
Lui resta a Cuba. Perde ogni sua ricchezza, ma resta, e si impegna nel programma di alfabetizzazione dei contadini, trascorrendo tre mesi sulle montagne della zona orientale. Il 30% della popolazione viveva in condizioni subumane, ma grazie a questa campagna Castro potrà dichiarare Cuba, già alla fine del 1961, “territorio libero dall’analfabetismo”.
 
Volontari impegnati nella "campagna di alfabetizzazione" a Cuba negli anni 1960-1961
 
Collabora ancora con la revolucion come traduttore e critico letterario, tiene aperta e funzionante per decenni la biblioteca dell’Unione degli scrittori, praticando sempre un’orgogliosa umiltà ed esercitando una povertà dignitosa e di straordinaria raffinatezza. Oramai abita in un modesto appartamento del Vedado e non sempre può mangiare coniglio. Però quando ha i soldi, o lo invitano, entra ancora nel ristorante El Conejito con la stessa eleganza e nonchalance di quando era miliardario. E ancora i camerieri lo riveriscono, trattandolo con grande deferenza. 
 
E’ chiaro che questa storia racchiude un mistero, piccolo come può essere la vita di un piccolo uomo, ma importante come Dio: perché José Rodriguez Feo, Pepe per gli amici, ha rinunciato a tutto? Ricchezza, vita mondana, abiti eleganti, piegandosi agli austeri dettami di una revolucion che lo sacrificava?
 
Una domanda che attraversa tutti gli incontri, tutte le serate, durante l’immaginario ritorno a Positano, sullo scorcio della vita.
 
E’ stato certamente invitato da un ricco amico italiano della sua vita di prima, col quale ha mantenuto un rapporto epistolare durato trent’anni, che gli ha pagato il viaggio e il soggiorno, ospite in una bella villa sull’isola dei galli. Ha incontrato Nureiev già sfinito dall’AIDS, è andato a Ravello a trovare Gore Vidal e il suo fedele compagno Howard. Di giorno in gozzo, sole e mare, le fredde acque del Mediterraneo, pranzo a Laurito, pesce alla griglia e mozzarella sulla brace avvolta in foglie di limone.
 
Ma Positano è ormai diversa, piena di case e turisti, un posto esclusivo affollatissimo. C’è gente di ogni risma, sono arrivati pure i camorristi, e gli industriali lombardi, che forse è peggio. La sera c’è ancora la Buca di Bacco sulla spiaggia, molto più grande e anche un night, e ancora tanti ragazzi disponibili, anzi molti di più. Il vecchio amico vorrebbe offrire, ma a Pepe questa bellezza esibita sembra brutta, niente a che vedere con la grazia inconsapevole dei pescatori di trent’anni prima. 
 
Per fortuna riesce ancora a fare qualche partita di canasta, gli piace tanto e in Italia più o meno tutti la conoscono.
 
E nelle serate passate in casa, tra amici, sulla terrazza a picco sul mare, è sempre uguale la domanda che gli viene posta, la stessa che si è posto tante volte anche lui: perché? Perché è rimasto a Cuba, lui che non era neppure comunista?
 
In quell’ambiente disincantato di dandy, Pepe si diverte a dare una risposta bella e intelligente. Dice: per curiosità. Sì, per curiosità è rimasto, per curiosità è andato ad alfabetizzare. Voleva proprio vedere come sarebbe finita quella revolucion nuova e intrigante che la sorte gli aveva messo sulla strada. Un uomo come lui, raffinato e colto, poteva ben rinunciare a una fortuna per una curiosità. 
 
La risposta appaga i suoi amici, che la racconteranno divertiti ad altri amici, in altre serate come quelle.
 
Ma c’è qualcuno con cui Pepe la mette in un altro modo. Parla del periodo in cui era nelle montagne d’oriente ad alfabetizzare. Un bambino stava morendo in uno squallido bohìo, tra i lamenti dei familiari e di tutto il villaggio. Tutto s’era tentato per salvarlo, nulla era rimasto intentato: per giorni e giorni il suono dei tamburi aveva riempito le valli per convocare le divinità e muoverle a pietà, s’erano bruciati semi e incensi, s’erano praticate tutte le fatture conosciute. Nonostante questo, il bambino moriva in un’agonia tremenda e interminabile.
 
La famiglia che lo ospitava chiese a Pepe di andarlo a visitare. Lui veniva dalla città, magari  possedeva un unguento capace di compiere il miracolo, magari conosceva altre fatture, altre divinità più potenti o più generose. Pepe ci andò e il bambino era oramai in punto di morte. Lo strazio di tanti giorni gli dava finalmente un po' tregua negli ultimi respiri tremuli. Pepe lo vide pallido e sfinito: dalle narici gli uscivano i vermi. 
 
Sarebbe bastata una medicina da quattro soldi a mantenere in vita quel bambino, Pepe lo sapeva e seppe anche che un mondo che lascia divorare i bambini dai vermi è un mondo orrendo e insopportabile.  Forse davvero si era fatto coinvolgere nella revolucion solo da una curiosità aristocratica ed elegante, ma quel giorno Pepe capì che aveva fatto bene, ne era valsa la pena.
 
José Rodriguez Feo, Pepe per gli amici, più avanti negli anni
 
Oggi Cuba ha un tasso di mortalità infantile pari a quello del Lussemburgo, il 7,7 (contro il 42,2 del ricco Brasile) e una speranza di vita uguale a quella dell’Europa occidentale, irraggiungibile per gli altri paesi dell’area. Eppure è un’isola povera e senza risorse. Però il miracolo è compiuto, nessun bambino sarà più divorato dai vermi,  e tutto questo è merito anche di  José Rodriguez Feo, Pepe per gli amici, grande cuore di avanero. 
 
A Positano intanto, dall’altra parte del mondo e dei sentimenti, i giorni e le notti continuano a trascorrere sempre uguali. Inutilmente sui gozzi, negli alberghi di lusso, sulle spiagge affollate, nella Buca di Bacco.
 
 
 
 
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