Iran/Israele. Chi vuole distruggere chi?
Azazzello
 
Conosco bene le tecniche della costruzione della propaganda filo-israeliana, perché qui all’Inferno è pieno di lobbisti e giornalisti (di qui a mille anni ospiteremo anche l’attuale direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari). So quindi che una delle sue più efficaci invenzioni è quella del programma iraniano di distruzione di Israele, cui viene abitualmente associata l’idea dell’Olocausto e dello sterminio degli ebrei.
 
In realtà, la Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Khamenei, ha più volte chiarito che l’obiettivo della distruzione dello Stato ebraico (Israele) è cosa del tutto diversa dall’annientamento degli ebrei, che peraltro vivono in gran numero, e in tutta sicurezza, in Iran. Ciò che ci si augura è la fine di uno Stato fatto per soli ebrei, di uno Stato di apartheid e razzista che discrimina la popolazione araba, perfino quella che possiede la cittadinanza israeliana. Un auspicio dunque essenzialmente anti-razzista e non certo genocida. 
 
“L’annientamento del governo israeliano (…) non significa annientamento del popolo ebreo; non abbiamo niente contro questo popolo”, ha più volte dichiarato l’ayatollah Khamenei. L’Iran auspica “la distruzione dello Stato (israeliano) imposto” alla regione e che i Palestinesi possano “scegliere il loro governo e cacciare delinquenti come Benjamin Netanyahu”.
 
Teheran, ovviamente, non riconosce lo Stato di Israele, considerata una entità sionista, così come molti altri paesi arabi.
 
Al periodico strombazzamento di inesistenti “soluzioni finali” propugnate dall’Iran, corrisponde – da parte dei media internazionali – la censura totale sul fenomeno (questo sì, vero e concreto) del diffusissimo razzismo anti-Arabo in Israele, e più in generale anti-Gentile. La parola “Gentile” indica il non ebreo, e il Talmud, il libro-base della cultura ebraica, è impregnato di odio verso di loro. E questa cultura è ampiamente divulgata ancora oggi nelle scuola israeliane.
 
Ricorda (l’ebreo) Israel Shahak, nel suo “Storia ebraica e Giudaismo”, che paragrafi “come quello in cui si prescrive a tutti gli ebrei di recitare una preghiera di benedizione quando passano davanti a un cimitero ebraico e, invece, di recitare una preghiera di maledizione alle madri dei morti se si tratta di un cimitero non ebraico, sono oggi non solo diffusi liberamente, ma addirittura insegnati ai ragazzi delle scuole”.
 
E ricorda anche come, nel 1989, il partito Shass, uno dei tre partiti ultra-ortodossi, un partito Heredi, al governo di Israele, abbia pubblicato in un’edizione speciale delle “Nuovi Dolci Preghiere” la seguente preghiera composta per la festa di Simhat Torah, in cui i bambini vengono portati alla sinagoga. La preghiera era rivolta ai bambini del partito Shass, che è composto prevalentemente da ebrei orientali, e fu pubblicata e condannata da alcuni giornalisti della stampa ebraica, ma mai pubblicata dal Jerusalem Post, il giornale in lingua inglese, che costituisce la vetrina di Israele “aperta al mondo”.
 
In inglese, è apparsa per la prima volta nella Rassegna della stampa ebraica, curata da Israel Shahak.
 
Un giorno di purezza per gli ebrei
Un giorno di Impurità per gli arabi
 
Un giorno di salvezza per gli ebrei
Un giorno di pianto per gli arabi
 
Un giorno di conoscenza per gli ebrei
Un giorno di sporcizia per gli arabi
 
Un giorno di dominio per gli ebrei
Un giorno di peste per gli arabi
 
Un giorno di consolazione per gli ebrei
Un giorno di vendetta contro gli arabi
 
Un giorno di perdono per gli ebrei
Un giorno di lapidazione per gli arabi
 
Un giorno di soccorso per gli ebrei
Un giorno di terrore per gli arabi
 
Un giorno di fiducia per gli ebrei
Un giorno di timore per gli arabi
 
Un giorno di gioia per gli ebrei
Un giorno di lamenti per gli arabi
 
Un giorno di santità per gli ebrei
Un giorno di dannazione per gli arabi
 
Un giorno di favori per gli ebrei
Un giorno maledetto per gli arabi
 
Un giorno di pace per gli ebrei
Un giorno di olocausto per gli arabi
 
Un giorno di liberazione per gli ebrei
Un giorno di sconfitta e di terrore per gli arabi
 
Un giorno di luce per gli ebrei
Un giorno di oscurità per gli arabi
 
Un giorno di benedizione per gli ebrei
Un giorno di disordine per gli arabi
 
Un giorno di redenzione per gli ebrei
Un giorno di esilio per gli arabi
 
Un giorno di esultanza per gli ebrei
Un giorno di declino per gli arabi
 
Un giorno di grandezza per gli ebrei
Un giorno di rovina per gli arabi
 
Un giorno di felicità per gli ebrei
Un giorno di maledizione per gli arabi
 
Un giorno di vendetta per gli ebrei
Un giorno di scorno per gli arabi
 
Un giorno di pietà per gli ebrei
Un giorno di distruzione per gli arabi
 
Il 16 agosto 1989, apparve su Ha’artez, il quotidiano più prestigioso di Israele, la seguente poesia, versione laica di una preghiera che, incorniciata, era esposta nell’edificio della pubblica amministrazione israeliana (eufemismo per “occupazione militare”) della Striscia di Gaza:
 
Sì è vero che odio gli Arabi
E che voglio cancellarli dalla carta geografica.
E’ questo il mio lavoro
E passo la vita piacevolmente:
ogni pallottola che sparo vola via una testa.
Che gioia quando si fa centro!
Entra nella testa e la spacca.
Allora mi sento liberato
E provo grande gioia
A vedere come vola via la testa.
Nei territori ci sono tanti bei posti.
C’è il mare, ci sono le belle spiagge
E tanti palmizi…
Peccato che ci siano anche gli Arabi…
 
Negli Stati Uniti – ricorda Israel Shahak – nessuno, all’infuori di Alexander Cockburn (“The Nation”, 28 agosto 1989) ha parlato di questo episodio gravissimo. Joel Brinkley del New York Times, al quale sicuramente traducono il quotidiano Ha’aretz tutte le mattine quando fa colazione, non ha ritenuto opportuno parlarne, il che vuol dire che più del 90% della stampa statunitense sa che non se ne deve parlare.
 
Ecco, adesso rispondente sinceramente: Chi vuole distruggere chi?
 
 
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