La ballata del Pinelli
(Parole e musica del proletariato)
 
Le stragi di stato, a partire da quella di Piazza Fontana, hanno ovviamente trovato un'eco abbastanza larga nella canzone politica d'autore e popolare negli anni '70 e successivi. Larga, ma forse non abbastanza larga quanto sarebbe lecito attendersi
 
L'anarchico Giuseppe Pinelli (sulla destra)
 
Fra tutte, quella che più ha ispirato canti politici e di protesta è stata senz'altro la prima, quella del 12 dicembre 1969 a Milano. Come tutti sanno, alle 16,45 di quel giorno, una bomba sistemata nella filiale della Banca Nazionale dell'Agricoltura, in Piazza Fontana (nel cuore di Milano, a due passi dal Duomo e dal Teatro alla Scala), scoppia provocando 16 morti e 88 feriti. La strategia della tensione è avviata.
Il periodo storico è quello della contestazione studentesca: tra il 1968 e il 1969 verranno compiuti 140 attentati, quasi tutti da estremisti di destra, variamente manovrati da settori dello Stato Profondo e della NATO. Quello di Piazza Fontana è uno dei più gravi; verrà ricordato insieme alla strage di Bologna come uno dei peggiori eventi della storia italiana.
 
 
Avviate le indagini, il commissario Luigi Calabresi subentra ad un collega che stava battendo la pista degli estremisti di destra (che poi sarà quello giusta, come verrà confermato più tardi). Senza perdere un attimo, vengono indicati come colpevoli gli anarchici del circolo "22 marzo"; viene arrestato un ballerino anarchico, Pietro Valpreda, che non c'entra assolutamente niente con i fatti. 
 
Pietro Valpreda
 
Le indagini e i processi (sei) si susseguiranno nel corso degli anni coinvolgendo sempre più esponenti del neofascismo e dei servizi segreti di Stato. Dopo 50 anni, restano ancora punti assai oscuri nella ricostruzione della trama contro-insurrezionale in cui si inserisce la strage di piazza Fontana.
Negli anni a venire, tantissime manifestazioni si svolgeranno in ricordo di piazza Fontana e di Giuseppe Pinelli, l'anarchico morto in circostanze misteriose tre giorni dopo la strage, durante un interrogatorio di polizia. Il commissario Luigi Calabresi verrà poi ucciso il 17 maggio 1972 a Milano. Per la sua esecuzione sono stati condannati i leader di Lotta Continua Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani.
 
Ancor più della strage stessa e dell'arresto di Pietro Valpreda, è però la morte dell'anarchico milanese Giuseppe Pinelli che trova i maggiori riscontri nella canzone politica e d'autore italiana di quegli anni (e di quelli successivi). Echi non solo nella canzone, ma anche nel teatro (ricordiamo la "Morte accidentale di un anarchico" di Dario Fo) e nella pittura (con la gigantesca opera "I funerali dell'anarchico Pinelli" di Enrico Baj). Ma ripercorriamo brevemente quella vicenda, con un brevissimo ritratto di Giuseppe Pinelli.
 
Enrico Baj: I funerali dell'anarchico Pinelli
 
Giuseppe Pinelli
 
Giuseppe Pinelli (Milano 21 ottobre 1928 - Milano 16 dicembre 1969). Nato a Porta Ticinese, terminate le elementari, lavora come garzone e poi come magazziniere. Nel 1944-45 partecipa alla Resistenza come staffetta in un gruppo di anarchici che opera a Milano. Nel 1954 entra nelle ferrovie come manovratore. Nel 1963 si unisce ai giovani anarchici della "Gioventù Libertaria" iniziando la sua militanza attiva; partecipa alla fondazione del Circolo "Sacco e Vanzetti" (1965), del Circolo "Ponte della Ghisolfa" (1968) e del Circolo di via Scaldasole 5. Nel 1969 si occupa del collegamento con i comitati operai di base e, dal maggio, con l'intensificarsi della repressione antianarchica, della Crocenera, centro di solidarietà anarchica con i perseguitati politici e le loro famiglie.
 
Il 12 dicembre 1969 viene fermato dall'Ufficio Politico della Questura di Milano e, dopo essere stato sottoposto a estenuanti interrogatori, la sera del 16 dicembre "cade" da una finestra del quarto piano della Questura. I poliziotti citati nelle canzoni su Pinelli sono: Luigi Calabresi, allora commissario politico della questura; Antonino Allegra, capo dell'ufficio politico della questura; Antonio Pagnozzi, commissario dell'ufficio politico della questura; Marcello Guida, questore di Milano, già appartenente all'apparato poliziesco del regime fascista; Sabino Lo Grano, tenente del carabinieri, presente all'interrogatorio di Pinelli.
 
L'inchiesta giudiziaria dell'allora Giudice Istruttore Gerardo D'Ambrosio (in seguito uno dei componenti del pool di Mani Pulite) lasciò i più perplessi, tanto che si continua a parlare ancora oggi di un "Pinelli assassinato". Questo il ricordo del cronista giudiziario Frank Cimini: "D’Ambrosio come giudice istruttore decise che Pino Pinelli, fermato per la strage di piazza Fontana, il 15 dicembre del 1969 morì per un “malore attivo” che lo fece cadere da una stanza della questura di Milano, quella del commissario di polizia Luigi Calabresi. Una ricostruzione assurda che servì a cercare di salvare capra e cavoli e a tutelare in sostanza gli uomini in divisa che a verbale avevano messo “nu cuofane e fesssarie”. Ma si sa, il terrorismo di Stato è sempre innocente. A prescindere”.
 
Questura di Milano, 17 dicembre 1969. Foto di gruppo della Squadra Politica. Da sinistra: vicedirigente Vincenzo Putomatti; vicedirigente Beniamino Zagari; dirigente Antonino Allegra (capo ufficio Politico); vicedirigente Marcello Giancristofaro; commissario Luigi Calabresi.
 
La Ballata del Pinelli
 
Su Giuseppe Pinelli e sulla sua morte è stata composta quella che, senz'ombra di dubbio, è la più famosa canzone attorno alle vicende legate alla strage di Piazza Fontana. Si tratta de "La ballata del Pinelli" (nota anche come “Ballata dell'anarchico Pinelli”, o, più raramente, come “Il feroce questore Guida” - titolo più legato alla sua primitiva derivazione, v. infra), una canzone nota anche all'estero come tra i classici del canto anarchico. La storia della composizione della "Ballata del Pinelli" è assai complessa; cercheremo qui di tracciarla per sommi capi.
 
Il punto di partenza della "Ballata del Pinelli" sembrano essere state le strofe improvvisate da Giancorrado Barozzi, Dado Mora, Flavio Lazzarini e Ugo Zavanella nella sede del circolo anarchico "Gaetano Bresci" di Mantova, la sera del 21 dicembre 1969, il giorno dopo i funerali di Giuseppe Pinelli, sulla musica de Il feroce monarchico Bava o Inno del sangue (ovvero la canzone popolare ispirata dai moti di Milano del 1898, repressi nel sangue dal generale Bava Beccaris, cui il Re Umberto I concesse un'onorificenza. Onorificenza che il re scontò il 29 luglio 1900 beccandosi, al parco di Monza, una pallottola da Gaetano Bresci). Furono effettuati tentativi su altre melodie (tra cui quella di “Colours” di Donovan), ma fu scelta poi quella de Il feroce monarchico Bava o Inno del sangue sia per la semplicità degli accordi, sia per il collegamento storico. Le strofe originarie formano comunque l'impianto sul quale si svilupperanno tutte le numerose varianti della ballata.
 
Particolarmente importante, anche dal punto di vista storico, è la variante all'ultima strofa (opera, sembra, di Ugo Zavanella e indicata in nota nel testo che segue), nella quale compare, per la prima volta in assoluto, l'espressione "strage di stato". Tale espressione, poi generalizzatasi a tutti i livelli negli anni successivi, è quindi nata con la "Ballata del Pinelli".
 
La canzone ha poi conosciuto altre edizioni discografiche, ad opera, ad esempio di Lotta Continua, ma con testo diverso, dove vengono espunti alcuni riferimenti all'anarchia ("le nostre bandiere" invece di "le nere bandiere", nonostante al funerale non vi fu nessuna bandiera rossa comunista, ma solo bandiere nere anarchiche). Ci furono anche versioni che nominavano meno il commissario Luigi Calabresi, soprattutto dopo il suo omicidio; alcuni interpreti eliminarono, ad esempio i versi che recitano "Calabresi ritorna in ufficio, / però adesso non è più tranquillo. (...) Gli operai nelle fabbriche e fuori / stan firmando la vostra condanna, / il potere comincia a tremare / la giustizia verrà giudicata. / Calabresi con Guida il fascista / si ricordi che gli anni son lunghi: / prima o poi qualche cosa succede / che il Pinelli farà ricordar." Quasi inalterato invece l'incipit (posto anche alla fine): "Quella sera a Milano era caldo. / Ma che caldo che caldo faceva. / "Brigadiere apra un po' la finestra. / E ad un tratto Pinelli cascò."
 
I poliziotti citati nella versione completa nella canzone sono: Luigi Calabresi, allora commissario di polizia alla questura, Antonino Allegra, capo dell'ufficio politico della questura, Antonio Pagnozzi, commissario dell'ufficio politico della questura, Marcello Guida, questore di Milano (ex funzionario del regime fascista), Sabino Lo Grano, tenente dei carabinieri, presente all'interrogatorio di Pinelli. Viene anche citato Pietro Valpreda, l'anarchico accusato ingiustamente assieme a Pinelli.
 
 
 
Due delle versioni più note della "Ballata"
 
Quella sera a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva
Brigadiere apra un po’ la finestra 
E ad un tratto Pinelli cascò
 
Commissario io glielo già detto
Le ripeto che sono innocente
Anarchia non vuole dir bombe
Ma eguaglianza nella libertà
 
Poche storie indiziato Pinelli
Il tuo amico Valpreda ha parlato
Lui è l’autore di questo attentato
E il suo socio sappiamo sei tu
 
‘Impossibile’ grida Pinelli
Un compagno non può averlo fatto
Tra i padroni bisogna cercare
Chi le bombe ha fatto scoppiare
 
Altre bombe verranno gettate
Per frenare la lotta di classe
I padroni e i burocrati sanno
Che non siam più disposti a trattare
 
Ora basta indiziato Pinelli
Calabresi nervoso gridava
Tu Lo Grano apri un po’ la finestra
Quattro piani son duri da fare
 
In dicembre a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva
È bastato aprir la finestra
Una spinta e Pinelli cascò
 
Dopo giorni eravamo in tremila
In tremila al tuo funerale
E nessuno può dimenticare
Quel che accanto alla bara giurò
 
Ti hanno ucciso spezzandoti il collo
sei caduto ed eri già morto
Calabresi ritorna in ufficio
Però adesso non è più tranquillo
 
Ti hanno ucciso per farti tacere
Perché avevi capito l’inganno
Ora dormi e non puoi più parlare
Ma i compagni ti vendicheranno
 
Progressisti e recuperatori
Noi sputiamo sui vostri discorsi
Per Valpreda,  Pinelli e noi tutti
C’è soltanto una cosa da fare
 
Gli operai nelle fabbriche e fuori
Stan firmando la vostra condanna
Il potere comincia a tremare
La giustizia sarà giudicata
 
Calabresi con Guida il fascista
Si ricordi che gli anni son lunghi
Prima o poi qualche cosa succede 
Che il Pinelli farà ricordare
 
Quella sera a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva
Brigadiere apra un po’ la finestra
E ad un tratto Pinelli cascò
Quella sera a Milano era caldo,
Ma che caldo che caldo faceva,
"Brigadiere, apra un po' la finestra",
Ad un tratto Pinelli cascò.
 
"Signor questore, io gliel'ho già detto,
Lo ripeto che sono innocente,
Anarchia non vuol dire bombe
Ma giustizia, amor, libertà."
 
"Poche storie, confessa Pinelli,
Il tuo amico Valpreda ha parlato,
È l'autore del vile attentato,
E il suo socio, sappiamo, sei tu."
 
"Impossibile!", grida Pinelli,
"Un compagno non può averlo fatto,
E l'autore di questo misfatto
tra i padroni bisogna cercar".
 
"Stiamo attenti, indiziato Pinelli,
Questa stanza è già piena di fumo,
Se tu insisti apriam la finestra,
Quattro piani son duri da far."
 
Quella sera a Milano era caldo,
Ma che caldo, che caldo faceva,
"Brigadiere, apra un po' la finestra",
Ad un tratto Pinelli cascò.
 
L'hanno ucciso perché era un compagno,
Non importa se era innocente
"Era anarchico e questo ci basta",
Disse Guida, il feroce questor.
 
C'è un bara e tremila compagni,
Stringevamo le nere bandiere,
In quel giorno l'abbiamo giurato,
Non finisce di certo così.
 
Calabresi e tu Guida assassini 
Che un compagno ci avete ammazzato,
L'Anarchia non avete fermato
Ed il popolo alfin vincerà. 
 
Quella sera a Milano era caldo,
Ma che caldo, che caldo faceva
"Brigadiere, apra un po' la finestra",
Ad un tratto Pinelli cascò.
 
E tu Guida, e tu Calabresi,
Se un compagno ci avete ammazzato
Per coprire una strage di stato
Questa lotta più dura sarà.
 
Il salone della Banca Nazionale dell'Agricoltura dopo lo scoppio
 
Investig'Action, 12 dicembre 2019 (trad. Ossin)
 
Cinquant'anni da Piazza Fontana. Il terrorismo fascista al servizio delle élite
Atelier Histoire
 
Cinquant’anni fa, il 12 dicembre 1969, una bomba venne fatta esplodere in una Banca a piazza Fontana, in pieno centro di Milano. Poco dopo questo attentato, che provocò diciassette morti e diverse decine di feriti, altre tre bombe esplosero a Roma. Le prime indagini seguirono immediatamente la pista anarchica, e decine di militanti vennero arrestati nel corso delle ultime settimane dell’anno.
 
Nonostante la tenacia di tali investigazioni, le autorità non riuscirono a incastrare l’estrema sinistra e, tre anni dopo, diressero le indagini verso gli ambienti neo-fascisti. Ancor oggi, per quanto la responsabilità dell’organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo sia stata provata, sussistono ancora dubbi sui reali mandanti di questi attentati.
 
La pista più probabile è tuttavia quella dello Stato Profondo (e dell’apparato NATO): strutture informali che non esitarono a ricorrere alle organizzazioni neofasciste per creare un clima propizio alla repressione implacabile delle organizzazioni rivoluzionarie. Insomma, la «mano fascista della direzione democristiana» cui un cineasta come Pier Paolo Pasolini faceva riferimento nei testi scritti poco prima della sua misteriosa morte nel 1975. La Democrazia Cristiana, il partito al governo dell’Italia dal 1945, temeva infatti la crescita dei suoi rivali comunisti, la cui forza elettorale superava il 25% dei suffragi e disponeva di un ampio sostegno della piazza.
 
Il fatto è che l’Italia del 1969 è un vero vulcano sociale. Come altre nazioni europee, il paese ha vissuto una grande mobilitazione nell’anno precedente, e di un’intensità mai vista nel continente. Tra il 1966 e il 1968, quasi 10 000 operai e studenti vengono condannati per motivi politici. Cosa che non scoraggia la mobilitazione, tanto che il 1969 è teatro di un numero impressionante di scioperi operai, di ammutinamenti in carcere e di manifestazioni studentesche che confluiranno in un famoso «autunno caldo», rimasto nella storia. Va detto che alla forza del Partito comunista italiano si aggiunge oramai quella della sinistra extraparlamentare, comparsa negli anni 1960 e che culminerà soprattutto nel corso delle lotte del 1977.
 
Gli attentati del 12 dicembre costituiscono in ogni caso un tornante di questo periodo politicamente effervescente e aprono un nuovo ciclo che le dottrine anti-insurrezionali statunitensi non esitarono a definire «guerra a bassa intensità». La repressione che si abbatte sul movimento popolare, e la manifestazione della violenza dello Stato, provocano infatti una accelerazione nella radicalizzazione di una frangia della sinistra italiana, che porterà alla creazione di diversi gruppi armati, tra cui le celebri Brigate Rosse. Ma gli anni 1970 sono anche quelli dell’autonomia italiana che, attraverso gruppi come Potere Operaio o Lotta Continua, mettono in discussione l’egemonia del Partito comunista nelle fabbriche.
 
Per capire il periodo nella sua globalità, bisogna riferirsi al clima politico internazionale, nel quale pesava la minaccia di una trasformazione rivoluzionaria per le classi dominanti italiane. I movimenti giovanili e la lotta rivoluzionaria in molti paesi europei, la resistenza del Vietnam contro l’imperialismo statunitense, i movimenti di liberazione anticoloniali in Africa e in Asia, parallelamente allo scoppio dell’ennesima crisi sistemica del capitalismo negli anni 1970, sono tutti elementi di uno scacchiere internazionale in ebollizione che spingerà la borghesia italiana – in coordinamento coi servii segreti statunitensi – a lanciarsi in una guerra non dichiarata contro qualsiasi agitazione rivoluzionaria.
 
Un mezzo secolo più tardi, la strategia della tensione ha cambiato volto ma non sostanza. Non deve sorprendere constatare che la crescita dell’estrema destra a livello mondiale dia luogo a un nuovo spazio in cui certe pratiche diventano la regola piuttosto che l’eccezione. Ancora si diffonde un clima di «grande paura», con nuovi nemici come i migranti, i poveri, i lavoratori e i popoli che resistono. In Italia e nel mondo, la pace sociale sembra una chimera lontana, quasi come il 12 dicembre 1969.
 
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"Il feroce monarchico Bava", nella interpretazione di Giovanna Marini e Francesco De Gregori
 
 
 
 
Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura
 
 
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