Orient XX1 magazine, 16 gennaio 2015 (trad. ossin)


Il Marocco, malato di Sahara Occidentale

Khadija Mohsen-Finan


Dal 3 ottobre 2014, un misterioso hacker pubblica centinaia di documenti. Questa abbondante letteratura messa a disposizione di ogni internauta conferma la centralità della questione del Sahara Occidentale nella sfera politica marocchina. La priorità accordata a questo dossier è stata riaffermata nel discorso del re, pronunciato il 6 novembre 2014 in occasione del 39° anniversario della “marcia verde”


Il Sahara occidentale costituisce una vera ossessione per il Potere marocchino. Elevata a “causa nazionale” secondo la fraseologia ufficiale, è al centro delle preoccupazioni politiche del paese da quasi quattro decenni. E, mano a mano che il conflitto si andava impantanando e che il “recupero delle province del Sud” incontrava molteplici ostacoli, di pari passo l’ossessione del regime cresceva ancor più in intensità. Il poeta marocchino Abdellatif Laabi non si è ingannato quando ha definito il suo paese “malato di Sahara”.

Quando scoppia, a metà degli anni 1970, questo “affaire del Sahara” – come lo definiscono i Marocchini – appare piuttosto banale nel contesto dell’epoca. Un po’  in ritardo rispetto all’era delle decolonizzazioni, la rivendicazione di un’ex colonia spagnola da parte del Marocco e di un gruppo di indipendentisti non sorprende. Viene considerata come un conflitto tra Stati-nazione che si costruiscono affermando la loro sovranità su dei territori dalle frontiere incerte e abitati da popolazioni condivise e tutto sommato poco interessate alla questione.

Tenuto conto della sproporzione di forze tra il Marocco e un pugno di guerriglieri del Fronte Polisario, nelle previsioni di Hassan II il conflitto avrebbe dovuto essere di breve durata. Il tempo sufficiente a suscitare un formidabile consenso politico attorno al trono alauita, in un Marocco all’epoca minato da tensioni e divisioni politiche, e dopo due tentativi di colpi di Stato perpetrati dall’esercito contro la persona del re nel 1971 e 1972.

Hassan II, che aveva optato per la strategia di un caso da chiudere in fretta, non immaginava nemmeno che questo conflitto, che si è infilato nella breccia del contenzioso aperto tra il suo paese e il vicino algerino, si sarebbe rivelato lungo e costoso. Il costo è prima di tutto politico, avendo il Marocco ipotecato la vita del paese alla “sacra causa” di ciò che i Marocchini chiamano le “province sahariane”. E’ precisamente questo legame tra successo del regime e il riconoscimento da parte della comunità internazionale della proprietà del Sahara ad essere in gioco. Hassan II, che pensava che il tempo avrebbe giocato a favore del suo paese, amava ripetere che “presto o tardi, bisogna che il nostro titolo di proprietà del Sahara venga depositato alla conservatoria fondiaria delle Nazioni Unite”. La incapacità del governo ad ottenere questo titolo di proprietà ne spiega il nervosismo, palpabile nei documenti rivelati dall’hacker che si fa chiamare Chris Coleman, e anche nel discorso sul Sahara pronunciato da Mohammed VI, il 6 novembre 2014.

Nella sua allocuzione, il monarca annuncia cambiamenti nella sua politica sahariana, punta il dito contro l’Algeria, definendola responsabile dell’attuale stallo e intima ai suoi sudditi di dare prova di patriottismo, difendendo la sacra causa del Sahara considerato marocchino. Quanto agli Stati alleati, in particolare gli Stati Uniti, essi devono necessariamente “uscire dall’ambiguità”. I documenti svelati da quello che chiamano il “Wikileaks marocchino” rivelano i metodi e i mezzi utilizzati da Rabat per perseguire i suoi obiettivi.


Una revisione radicale

“Abbiamo fatto appello ad una revisione radicale nel metodo di governo delle nostre province del Sud”, ha dichiarato il re Mohammed VI nel suo discorso pronunciato in occasione del 39° anniversario della “marcia verde” (1). Se implicitamente queste parole insinuano il fallimento delle precedenti politiche, il re snocciola nonostante tutto le molte azioni del Marocco in Sahara: investimenti massicci e anni di sacrifici da parte dei Marocchini per recuperare “l’integrità territoriale” del loro paese.




Una Saharawi "trattata" dalla polizia marocchina durante una manifestazione



E tuttavia il monarca riconosce delle disfunzioni nella gestione del Sahara – che intende correggere. Ma si tratta più di un mutamento di metodi che di un cambio di rotta, anche se viene chiaramente affermata la “rottura” col modo di governance precedente.

Annunciando l’intento di sostituire una sistema fondato sul “rispetto dell’uguaglianza di occasioni e della giustizia sociale”, ad una “economia di rendita e di privilegi indebiti”, Mohammed VI fa riferimento al programma di integrazione dei Saharawi nella società marocchina adottato dal padre. Hassan II si era appoggiato ad una élite saharawi, per governare questo territorio che amministra dalla metà degli anni 1970, senza che l’ONU abbia mai statuito sulla sua sovranità. In cambio della loro fedeltà, i Saharawi collaborazionisti sono stati associati alle imprese più dinamiche della regione (pesca, costruzioni, commercio). Sono stati loro assegnati dei posti di funzionario o consigliere. In tal modo il sovrano era riuscito a costituire una élite di cooptati, che gli serviva allo stesso tempo come base di consenso e come vetrina, nella misura in cui questi Saharawi scelti con cura simboleggiavano insieme la possibilità di emergere e l’integrazione dei Saharawi all’interno del sistema politico marocchino.

Mohammed VI sa che questi rapporti clientelari, che egli non ha saputo alimentare, non rispondono più alle aspettative delle giovani generazioni saharawi. Influenzati dalla svolta politica iniziata fin dalla fine degli anni 1990 in Marocco, i giovani Saharawi si sono espressi in modo diverso per rivendicare il lavoro, l’accesso alla casa e maggiore giustizia sociale nella redistribuzione delle ricchezze in Sahara. E’ per meglio rispondere a queste domande che emergono da un nuovo sistema di riferimenti, quella dei diritti dell’uomo, delle libertà individuali e politiche e della legalità internazionale, che il sovrano intende modificare la sua offerta, proponendo una regionalizzazione che definisce avanzata. Una regionalizzazione che dovrebbe mettere insieme “delle zone e delle regioni solidari, complementari, che si aiutino e si sostengano mutualmente”. Regolarmente annunciata, questa regionalizzazione, che riguarda prima di tutto il Sahara, non è stata ancora attuata. Il progetto dovrebbe tuttavia, nelle intenzioni, favorire un maggiore coinvolgimento della popolazione locale nella gestione degli affari sahariani.


Diritti fondamentali nel mirino

L’annuncio fatto dal sovrano nel 2014 di una riorganizzazione della politica sahariana intende chiudere con la cattiva gestione della regione, soprattutto in tema di diritti umani. Da quasi dieci anni, infatti, diversi casi attestano l’esistenza di pessimi rapporti tra Saharawi e governo marocchino. Proprio in considerazioni di tali tensioni ricorrenti, gli Stati Uniti hanno, nell’aprile 2013, chiesto l’allargamento del mandato della Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum in Sahara Occidentale (MINURSO) al rispetto dei diritti umani, richiesta poi ritirata. Un documento ufficiale pubblicato dall’hacker Chris Coleman rivela l’accordo segreto intervenuto tra Barack Obama e il re Mohammed VI nel novembre 2013. In base ad esso, gli Stati Uniti avrebbero ritirato la richiesta, ponendo tre condizioni: che i Saharawi non fossero più giudicati da Tribunali Militari (2); che Rabat facilitasse le visite in Sahara dei funzionari dell’Alto Commissariato ai diritti umani e che accettasse di riconoscere le associazioni che rivendicano l’indipendenza del Sahara.




Ennaama Asafari, militante indipendentista condannato
a 30 anni di reclusione dal Tribunale Militare di Rabat



 

Di fronte a queste rivendicazioni, il monarca decide di fissare dei punti fermi. Nel suo discorso, invita all’apertura di un dialogo sui diversi modi con cui è possibile dare risposte alle “preoccupazioni delle popolazione della regione”. L’offerta reale riguarda soprattutto l’ambito di più dignitose condizioni di vita, ma in cambio l’ordine pubblico deve essere rispettato e la sovranità del Marocco sul Sahara non si pone in alcun modo come negoziabile. Il monarca è chiaro: “L’autonomia è il massimo che il Marocco può offrire nell’ambito dei negoziati per trovare una soluzione definitiva a questo conflitto regionale”.


Patrioti o traditori

Più che un quadro di riferimento proposto ai Saharawi, le parole del re assomigliano ad una vera e propria intimazione quando definisce “traditore” chiunque non lo rispetti: “O si è patrioti o si è traditori, non c’è un giusto mezzo”, precisa il sovrano nello stesso discorso. Questo gioco di inclusione e di esclusione non vale solo per i Saharawi e i Marocchini. Il re indica l’Algeria come la principale responsabile dello stallo. Chiede anche agli Stati Uniti, alle Nazioni Unite e alle Potenze internazionali di “uscire dall’ambiguità”. Secondo lui, gli elogi formulati a proposito dei progressi marocchini in materia di apertura politica o del ruolo giocato dal Marocco nella lotta internazionale contro il terrorismo devono necessariamente tradursi in un appoggio incondizionato alle posizioni marocchine sul Sahara.

Questo atteggiamento è una costante nella politica estera del Marocco, in particolare per quel che concerne il Sahara. L’immagine del paese e il ruolo giocato nella geopolitica regionale vengono monetizzati per ottenere alleanze sulla questione del Sahara.  Enumerati minutamente, gli Stati che non riconoscono la Repubblica araba saharawi democratica (RASD), autoproclamata dal Fronte Polisario e riconosciuta dall’Unione Africana, devono anche condannare l’Algeria e sostenere il piano di autonomia proposto da Rabat nel 2007. Chiunque non approvi questa politica si espone ai fulmini del Potere che lo accusa di essere al soldo dell’Algeria. L’accusa, che vale per ricercatori e giornalisti, si rivolge anche ai funzionari delle Nazioni Unite che osino trasgredire le regole dettate da Rabat in tema di intrusione nel conflitto sahariano.


Tensioni con l’ONU

Nell’aprile 2004, Rabat aveva respinto il piano di pace proposto dall’inviato personale del segretario generale delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale, James Baker. L’ex segretario di Stato statunitense aveva in effetti proposto un piano che mantenesse il principio di autodeterminazione con l’elezione di una autorità locale, all’interno di un Marocco sovrano. Ma lo statuto finale del Sahara avrebbe dovuto essere deciso con un referendum da svolgersi nell’arco di 4 o 5 anni. Il Marocco, che aveva scartato qualsiasi progetto di autodeterminazione, ha allora insinuato una vicinanza di Baker al regime algerino.

Il 17 maggio 2012, il Marocco decideva unilateralmente di ritirare la fiducia all’emissario dell’ONU per il Sahara, Cristopher Ross, accusandolo di svolgere un lavoro parziale e non equilibrato. Il mese successivo, il rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite – basato sulle note di Chris Ross – puntava il dito senza riguardi sugli ostacoli posti dal Marocco al buon funzionamento della MINURSO. Il rapporto si interrogava giustamente su ciò che è legittimo e ciò che è legale nell’azione in Sahara e sulla stessa credibilità della MINURSO in Sahara. Nonostante ciò, il diplomatico non è stato disconosciuto dalla gerarchia. Beneficiando apertamente del sostegno di Ban Ki-moon, è stato mantenuto al suo posto.

Questo appoggio, diventato possibile nel contesto regionale del dopo 2011, dava un carattere inedito alle relazioni tra Marocco e ONU. I documenti messi in linea rivelano le strategie messe in atto dalla diplomazia parallela marocchina per emarginare Ross. In un fax del 22 agosto 2014, Omar Hilale, il rappresentante del Marocco alle Nazioni Unite a New York, evoca una strategia per “isolare Ross, indebolirlo e metterlo con le spalle al muro a proposito della sua agenda segreta sul Sahara”.

Su tutte le questioni relative al sensibilissimo dossier del Sahara, i documenti rivelati negli scorsi mesi confermano e coincidono con i discorsi del sovrano sulla politica sahariana del Marocco. Ben più che un protagonista in questo vecchio conflitto regionale, il Marocco stabilisce gli attori, detta la politica delle potenze straniere ed esclude ogni negoziato per la soluzione della questione.

Note:

1.    Il 6 novembre 1975 Hassan II avvia una marcia pacifica di 350.000 uomini per occupare il Sahara Occidentale, territorio che era stato una colonia spagnola

2.    Con riferimento alla condanna a pene pesanti, da parte di un tribunale militare marocchino, di 24 Saharawi accusati senza prove nella vicenda di Gdeim Izik. Nell’autunno 2010, alcuni Saharawi si erano accampati pacificamente in quella località per denunciare le loro condizioni di vita in Sahara Occidentale. Dopo avere formato un comitato misto marocchino-saharawi, le autorità marocchine hanno smantellato il campo con la forza, col pretesto che era caduto nelle mani di gruppi di trafficanti e criminali, che tratteneva una parte della popolazione saharawi contro la sua volontà.

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