Middle East Eye, 10 novembre 2017 (trad. ossin)
 
Dopo l'Africa, il re del Marocco muove le sue pedine diplomatiche nel Golfo Persico
Nabil Ennasri 
 
In viaggio ufficiale negli Emirati arabi uniti, Mohammed VI si recherà subito dopo in Qatar. Mentre la crisi del Golfo va incancrenendosi, Rabat aspira ad usare della sua influenza per fare da mediatore?
 
Il re del Marocco Mohammed VI giunge al Louvre Abou Dabi, negli Emirati arabi uniti, l'8 novembre 2017, per l'inaugurazione del nuovo museo (AFP)
 
Durante un regno che sta per toccare il suo ventesimo anno, il re Mohammed VI si è tenuto per lungo tempo in una posizione ritirata sulla scena internazionale. Spesso assente ai grandi appuntamenti multilaterali dove preferiva inviare suo fratello o il capo del governo, questa situazione è improvvisamente mutata all'inizio degli anni 2010. Da allora il monarca è molto presente sulla scena mondiale, con molti viaggi all'estero e maggiore cura nel rafforzamento della posizione del suo paese nei negoziati.
 
Il risveglio di Rabat si è soprattutto manifestato in due direzioni, il terreno africano e lo spazio arabo che hanno sempre costituito – oltre all'interazione con l'Europa – i due campi prediletti della diplomazia dello sceriffato.
 
Sul piano continentale, Rabat ha recentemente operato un ritorno in forza, rientrando nell'Unione Africana, non senza aver segnato qualche punto e coinvolgendo molti Stati dell'organizzazione nella sua strategia di isolamento del Fronte Polisario, il nemico giurato che rivendica da decenni l'indipendenza del Sahara Occidentale.
 
Sul piano arabo, dopo essersi a lungo sottratto ai summit della Lega araba, il re ha voluto negli ultimi anni riannodare forti legami con alcuni  « paesi fratelli ». E' soprattutto in direzione della regione del Golfo che questo nuovo tropismo si è manifestato.
 
L’atto di nascita di questa ridefinizione deve situarsi ad aprile 2016. Fu allora che Mohammed VI fece un viaggio storico in Arabia saudita, dove era l'invitato d'onore del summit annuale del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG). Lungi dal limitarsi ad un atto di presenza, il sovrano fece un discorso muscolare nel quale riaffermava la sovranità del suo paese su tutto il territorio nazionale  (assestandosi quindi su di una linea dura nel dossier del Sahara), mettendo contemporaneamente in guardia i paesi della regione dalla trappola delle divisioni confessionali che rischiano di incendiare tutto il Medio oriente.
 
Il re dell'Arabia saudita Salman bin Abdelaziz, a destra, riceve il re del Marocco Mohammed VI nel 2015 a Riyadh (AFP)
 
Prolungando il suo viaggio, andò poi negli Emirati arabi uniti, in Bahrein e in  Qatar, firmando decine di contratti in campi diversi, dalla cooperazione agricola, alla collaborazione in materia di sicurezza o le telecomunicazioni.
 
In seguito, gli scambi di ogni tipo tra Rabat e i vari principati del Golfo non hanno fatto che crescere. Oltre a scegliere il regno dello sceriffato come luogo preferito di villeggiatura – il re Salman e l’emiro Tamim vi vanno regolarmente in vacanza – il volume degli scambi commerciali tra i paesi del  CCG e il Marocco ha fatto un balzo di oltre il 100 % in un decennio.
 
 
Nella regione sono in testa gli Emirati arabi uniti, che arrivano a piazzarsi in seconda posizione, dopo la Francia, nella lista dei migliori partner con una percentuale del 13,4 % degli investimenti diretti stranieri (IDE) nel periodo  2008-2015.
 
Assumere il ruolo di mediatore
 
Bisogna dire che, per le monarchie del Golfo, il Marocco è una terra di opportunità: la sua stabilità politica, la costante crescita economica, dell'ordine del 4-5% negli ultimi anni, e il carattere monarchico del suo sistema di governo vengono viste come altrettante risorse che giustificano la costituzione di un rapporto di complicità.
 
Sono stati d'altronde questi solidi fondamentali che spinsero i paesi del CCG a proporre a Rabat una quasi adesione alla loro organizzazione nel 2011. Maturata in un momento in cui le rivolte arabe facevano temere il peggio ai regimi in carica, l'idea di un fronte delle monarchie per fare fronte alle spinte popolari è stata alla fine abbandonata a causa della sua incoerenza geografica. E tuttavia ha dimostrato tutta la fiducia che le capitali del Golfo ripongono in un regno sempre molto apprezzato dai tempi del re Hassan II.
 
L’attuale viaggio di Mohammed VI si colloca dunque nella prosecuzione di questo rafforzamento e persegue principalmente due obiettivi.
 
Su di un piano strettamente diplomatico, Rabat desidera utilizzare tutti i mezzi per raccogliere ogni possibile appoggio nel suo scontro col Fronte Polisario e il suo padrino algerino, considerato come il grande rivale. Anche se il conflitto tra i due pesi massimi del Maghreb non incanta più parte dell'opinione pubblica dei due paesi che la considerano una disputa futile che impedisce una vera cooperazione per lo sviluppo, le tensioni restano vive, come dimostra la recente uscita di un ministro algerino che accusa le banche marocchine di riciclare i soldi della cannabis.
 
In questo clima tempestoso nel quale, inoltre, i rapporti coi grandi partner europei (Francia, Spagna e Olanda) non vanno più molto bene, Rabat cerca potenti alleati di ricambio. E' in questa ottica che il rafforzamento del partenariato strategico coi paesi del Golfo viene visto da parte dello sceriffato, e questo calcolo sembra tanto più fondato se si osservi come l'appoggio di questi ultimi al Marocco non sia mai venuto meno alle Nazioni Unite.
 
Recarsi infine, subito dopo la visita agli Emirati arabi uniti, in Qatar sarà per  Mohammed VI un'occasione di patrocinare una riconciliazione tra due paesi che attualmente sono in disaccordo su tutto. Mentre Rabat aveva inutilmente mandato il suo ministro degli Affari esteri, questa estate, per appoggiare la mediazione kuwaitiana, l'odierno viaggio del re può essere così interpretata come una iniziativa per salvare in extremis la faccia del CCG, più che mai sull'orlo dell'implosione.
 
 
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