CIA in azione, Boeing sotto accusa

di Claudio Gatti

(Fonte: Il Sole 24 ore del 30 maggio 2007)



Oggi a New York l'organizzazione per i diritti civili American Civil Liberties Union  annuncerà la propria intenzione di far causa a una sussidiaria della Boeing per aver partecipato al sequestro di cinque individui, incluso un cittadino italiano, trasportati contro la loro volontà dalla Cia in paesi in cui alcuni di loro sarebbero stati torturati. In una sua inchiesta esclusiva pubblicata simultaneamente anche sul International Herald Tribune, Il Sole 24 Ore è in grado di confermare che i due aerei con cui vennero trasportate quelle cinque persone ricevettero supporto logistico dalla società della Boeing, chiamata Jeppesen Data Planning.



Gli americani le chiamano extraordinary renditions, traducibile in consegne straordinarie, e sono il frutto del programma adottato dalla Cia dopo l'11 settembre che autorizzava la cattura di qualsiasi persona sospettata di avere legami con al Qaida e il suo trasporto nelle carceri di paesi in cui è praticata la tortura. Il caso più noto in Italia è quello dell'imam Abu Omar sequestrato a Milano il 17 febbraio 2003.
Ma ce ne è un altro, di cui non si parla in Italia nonostante interessi un nostro concittadino di origine marocchina, che assieme ad altre sei persone è stato sequestrato e trasportato a bordo di un Gulfstream V e di un Boeing 737 che operavano con il supporto della Jeppesen Data Planning.
 "Senza il supporto della Jeppesen, quegli aerei non avrebbero mai potuto fare quei voli. E se Jeppesen non avesse dato supporto a quel Gulfstream V, il mio cliente non sarebbe mai stato deportato  illegalmente in Marocco, dove ha
subito mesi di torture e anni di detenzione illegale che continua a tutt'oggi," spiega Francesca Longhi, avvocato bergamasco che da anni difende Abu el Kassim Britel, un cittadino italiano di origine marocchina rapito e trasportato dal Pakistan in Marocco nel maggio del 2002.
Gli altri quattro individui deportati dalla Cia sono Khaled al-Masri, un cittadino tedesco di origine libanese rapito in Macedonia perché scambiato per un omonimo legato ad al Qaida, due egiziani che avevano chiesto asilo politico in Svezia, e un etiope con permesso di soggiorno in Gran Bretagna.
"Le prove raccolte fanno pensare ch la Jeppesen abbia giocato un ruolo importante nell'intero programma delle extraordinary renditions. Dati aeronautici dimostrano che nel corso di quattro anni, la Jeppesen ha partecipato attivamente al programma fornendo servizi di supporto logistico ad almeno 15 aerei che inchieste del Parlamento Europeo e del Consiglio d'Europa hanno concluso essere stati usati dalla Cia per le renditions," dice Steven
Watt, avvocato della Aclu.
Contattata per avere un commento, la Jeppesen ci ha riferito alla Boeing. Tim Neale, direttore delle comunicazioni per la Boeing non ha voluto rispondere alle accuse fatte "perché per farlo dovrei violare l'impegno di confindenzialità assunto dalla Jeppesen con i suoi clienti." Ma ha poi aggiunto: "Mi sembra che sia una domanda da rivolgere al governo americano."
Quando abbiamo chiesto del ruolo della Jeppesen nel programma delle renditions, Mark Mansfield, direttore delle comunicazioni della Cia ci ha risposto: "non facciamo commenti su queste questioni."
Da parte sua, Francesca Longhi, avvocato del cittadino italiano el Kassim Britel, è convinta che, fornendo quel supporto logistico, la Jeppesen si sia resa partecipe di un atto che giuristi di vari paesi del mondo, il Ministero
degli esteri britannico e una speciale commissione d'inchiesta del Parlamento europeo hanno definito illegale e in violazione dei trattati internazionali sui diritti umani e contro la tortura.
A mezzanotte del 25 maggio 2002, ammanettato e bendato, Britel fu portato ai piedi di un jet privato in una pista isolata dell'aeroporto di Islamabad.
Undici settimane prima, le autorità pakistane lo avevano arrestato, accusandolo erroneamente di avere in suo possesso un passaporto italiano falso. Quella notte, sulla pista dell'aeroporto di Islamabad, Britel fu consegnato dai pakistani a una mezza dozzina di funzionari americani, con tutta probabilità al servizio della Cia, che lo aspettavano ai piedi  di un Gulfstream V. Raggiunto telefonicamente, Jawed Cheema, direttore del Centro di crisi del Ministero degli Interni pachistano, ha spiegato di non poter fare commenti su casi specifici, ma ha ammesso che la politica del suo paese è di "offrire al paese di origine persone arrestate in pakistan per essere membri di al Qaida o terroristi."
L'aereo con Britel a board atterrò a Rabat, in Marocco, dopo un volo di nove ore no-stop durante il quale il prigioniero fu ininterrottamente tenuto incappucciato e ammanettato.
Accusato di essere un membro di una cellula terroristica locale, nonostante il fatto che, prima del trasporto forzato per opera della Cia, erano 5 anni che non metteva piede in suolo marocchino, Britel è stato condannato a 15 anni (poi ridotti a 9 in appello) grazie anche a una confessione che l'avvocato Longhi dice essere stata strappata con la tortura. Britel è tuttora detenuto nel carcere di Ain Bourja, a Casablanca, uno dei pochi cittadini europei ancora incarcerati in seguito a una extraordinary rendition. Il Sole 24 Ore ha contattato il Ministero della Giustizia e quello delle Comunicazioni del Marocco per chiedere commenti, ma nonostante ripetute richieste non ha ottenuto alcuna risposta alle accuse di ingiustizia subita da Britel.
L'intelligence americana aveva deciso di far ricorso a un'anonima flotta di jet civili piuttosto che velivoli militari perché sarebbe più facilmente passata inosservata e non avrebbe avuto il problema di ottenere i permessi per sorvolare lo spazio aereo  straniero. Gli aerei appartenevano a piccole società di voli charter che in molti casi si sarebbero rivelate delle scatole vuote create per l'occasione dalla Cia stessa. Ma i servizi di supporto, e cioé le previsioni metereologiche, i piani di volo, i permessi di atterraggio o di sorvolo, i rifornimenti di carburante, la manutenzione a terra, il catering, gli alloggi per gli equipaggi e le tariffe aeroportuali, dovevano essere forniti da vere società con una vera infrastruttura.
A dimostrare che questi servizi sono stati forniti da Jeppesen, e in seconda battuta da un'altra società con sede a Houston di nome Air Routing International, sono i dati conservati da diverse authority del settore dell'aviazione civile europeo.
"Ogni singolo piano di volo consiste in una stringa di dati che include il codice del cosidetto originatore, e cioé di chi ha compilato il piano di volo e fornito i servizi di supporto. Normalmente le autorità aeroportuali hanno
l'obbligo di tenere questi dati per un periodo che varia tra i 30 e i 90 giorni. Ma i dati rimangono molto più a lungo nei database interni," spiega il funzionario di un ente europeo che chiede l'anonimato.
Il Sole 24 Ore ha trovato il codice della Jeppesen - KSFOXLDI - nei piani di volo di tre delle cinque extraordinary renditions in questione, di cui la sussidiaria della Boeing risulta conseguentemente essere originatore. 
Il Sole 24 ore ha poi trovato i codici di Air Routing International in 12 piani di volo.
Queste informazioni coincidono perfettamente con quelle trovate negli ultimi anni da giornalisti e investigatori in Spagna, Portogallo e Gran Bretagna. Le prime prove documentali contenenti i nomi di Jeppesen e Air Routing erano state trovate nel giugno 2005 dalla Guardia Civil spagnola nel corso di un'indagine stimolata dalle rivelazioni di Matias Valles, giornalista del Diario de Mallorca.
In Portogallo, il giornalista investigativo del Diario de Noticias, Armando Rafael, aveva trovato documenti contenenti il nome della Jeppesen in messaggi relativi a rendition planes transitati per Porto e Santa Maria delle Azzorre.
La Jeppesen UK, sussidiaria britannica della società Usa, è stata inoltre citata quale società che si è presa cura di un aereo della flotta della Cia nel giugno del 2004.
In tutti questi casi - in Italia, Olanda, Spagna, Portogallo e Gran Bretagna - i nomi di Jeppesen e Air Routing sono risultati associati sempre agli stessi aerei. Il che porta a concludere che ogni aereo veniva affidato a una società per tutti i suoi voli. 
Sebbene non ci sia modo di quantificare i profitti fatti dalla Jeppesen nei voli delle consegne, a far pensare che la Cia non si faceva problemi di costo è la testimonianza di una funzionaria dell'aviazione civile polacca alla commissione del parlamento europeo che ha indagato sulla questione, il cui relatore è stato l'europarlamentare diessino Claudio Fava.  "Erano pronti a pagare più di chiunque altro," ha rivelato Mariola Przewlocka, ex direttrice dell'aeroporto di Szymany, un piccolo scalo polacco nei pressi di uno di quei centri segreti che si sospetta ospiti una prigione clandestina della Cia.
Ma quante "consegne straordinarie" sono state fatte? In "Ghost Planes", un recente libro che ricostruisce con ricchezza di dettagli il programma della Cia, il giornalista Stephen Grey sostiene che "il numero totale è di svariate centinaia." Il che si è probabilmente tradotto in milioni di dollari di profitti  per chi ha fornito i servizi di volo. Adesso però questi profitti potrebbero essere fonte di problemi.
"Atti apparentemente innocui, come il rifornimento di un aereo... possono essere ritenuti in violazione della legislazione internazionale  se facilitano una "consegna straordinaria" e si può dimostrare che, senza quel rifornimento, l'aereo con a bordo un prigioniero non sarebbe stato in grado di raggiungere la destinazione in cui tale prigioniero è stato vittima di torture," si legge in una consulenza legale fornita a una commissione di inchiesta del parlamento britannico dal Centro per i diritti umani e la giustizia globale della Facoltà di legge della New York University.
A Il Sole 24 Ore, l'autrice di quella consulenza, Margaret Satterthwaite, ha detto che "se la società che ha fornito i servizi logistici sapeva quello che sarebbe successo ai prigionieri potrebbe adesso essere ritenuta complice in atti che violano le norme contro la tortura."
La risposta di Tom Balousek, presidente di Air Routing International, è secca: "A me non interessa se qualcuno pensa che abbiamo fatte cose illegali." A sua detta, Air Routing non sarebbe mai stata informata della natura di quei voli e quindi non avrebbe fatto nulla di male.
"Io non sapevo nulla della natura di quei voli. L'ho scoperta perché un ex collega mi ha mandato il collegamento elettronico all'articolo del New Yorker," dice un ex impiegato della Jeppesen che ha gestito almeno una rendition. Il riferimento è all'articolo del settimanale New Yorker del novembre scorso che per la prima volta collegava la Jeppesen alle extraordinary rendition. "Eravamo circa in 30 a pianificare i voli. Sopra di noi c'era un capoufficio, un paio di manager e poi Bob Overby. È lui che dirige tutta la baracca."
Il Sole 24 Ore ha raggiunto telefonicamente Overby e gli ha chiesto se poteva confermare o smentire la citazione attribuitagli dal New Yorker, secondo la quale "facciamo tutte le consegne straordinarie, cioé i voli della tortura... perché, diciamocelo, alcuni di quei voli finiscono così." La sua risposta è stato un laconico "no comment". Secondo l'articolo del New Yorker avrebbe anche detto che  "certamente pagavano bene. Loro - la Cia - non avevano problemi di costi. Quello che occcorreva fare andava fatto." Quando gli abbiamo chiesto di confermare o smentire quest'altra frase, Overby ha di nuovo replicato con un "no comment".
"Nessuno poteva ordinare o forzare società private come la Jeppesen a fornire servizi a quegli aerei. È stata una decisione presa soltanto per far soldi," commenta l'avvocato Longhi.

Claudio Gatti
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Un'odissea iniziata nel 2001


In una perquisizione fatta nella casa di al Kassim Britel a Bergamo nel luglio del 2001, la Digos rinvenne del materiale pro-jihad, incluso il testo di un'intervista concessa da Osama bin Laden alla network araba al Jazeera e un documento elettronico con una dichiarazione di supporto alla decisione del regime talebano di distruggere le famose statue giganti di Buddha.
È questo che tiene Britel in galera da 5 anni. Oltre che le sue idee politiche e religiose. Ma in una democrazia, idee e fede - anche se estremiste e non condivise dai più  - giustificano il carcere solo se violano la legge. E Britel non risulta aver mai violato la legge italiana. 
Dopo mesi di pedinaggi e intercettazioni telefoniche e sei anni di indagini, né la Digos né la Procura di Bergamo hanno mai trovato alcunché  che giustificasse anche solo un'incriminazione. Tant'è che l'estate scorsa la Procura ha chiesto al Gip di archiviare formalmente il caso. Richiesta prontamente accettata. In altre parole, per la giustizia italiana, Britel non solo è innocente ma non è mai neppure stato rinviato a giudizio.
"La realtà è che Britel non ha mai commesso alcun reato. Eppure da 5 anni è illegalmente tenuto prigioniero. Prima in Pakistan e, dal maggio del 2002, in Marocco, dove è stato sottoposto a un processo e a un appello in cui non solo sono stati violati i più elementari diritti della difesa, ma è stato usato materiale frutto di tortura. E ormai abbiamo esaurito ogni possibile via giudiziaria per liberarlo. È rimasta solo la grazia," spiega l'avvocato
italiano di Britel, Francesca Longhi, che da anni, praticamente senza parcella e nel disinteresse generale, combatte una solitaria battaglia per dare giustizia al suo cliente.
Spronato dall'avvocato Longhi, dalla moglie di Britel, Anna Khadija Pighizzini e da un gruppo di parlamentari italiani ed europei, il nostro Ministero degli Esteri ha tentato di intervenire sponsorizzando la grazia presso il governo di Rabat. Ma gli sforzi congiunti della Farnesina e dell'ambasciata italiana a Rabat non hanno finora prodotto alcun risultato. Anche perché sul caso Britel non c'è la pressione della mobilitazione dell'opinione pubblica o dei massmedia.
Non c'è neppure l'interesse che c'è stato per l'imam milanese Abu Omar, che era un cittadino egiziano. Britel, invece, è un italiano, avendo ottenuto la cittadinanza nel 1999. E da anni è oggetto di una traversia giudiziaria senza precedenti nel nostro paese.
"Per qualunque altro cittadino italiano che non avesse il peccato d'origine di essere nato on Marocco  o professasse un'altra religione, i nostri governi - il precedente e l'attuale - si sarebbero mossi con una determinazione che qui non c'è stata," commenta l'europarlamentare Claudio Fava, relatore della Commissone speciale sui voli Cia. "Per Britel invece c'è un'attenzione diplomatica da ordinaria amministrazione, quando trovarsi da anni in una galera marocchina richiederebbe una straordinaria capacità di intervento che fino ad adesso non si è potuta riscontrare."
CG

 

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