L’Expression 24 giugno 2010

Un cappello d’asino per Alain Delon - Accusa l’Algeria di sequestrare i saharawi

di Mohamed Touati

In una dichiarazione rilasciata alla stampa marocchina, sabato a Marrakech, la star invecchiata del cinema francese ha chiesto la liberazione dei Marocchini “prigionieri degli Algerini a Tindouf”

Impegnato in una evidente missione di disinformazione e facendosi portavoce delle autorità marocchine sulla questione del Sahara Occidentale, l’attore francese ha definito i rifugiati dei campi di Tindouf come detenuti marocchini fatti prigionieri dagli Algerini. Sposando così le tesi del governo marocchino che vuole far passare i Saharawi che hanno trovato asilo sul territorio nazionale come dei sequestrati.
“La leggenda vivente e mito del cinema mondiale ha ricordato l’obbligo morale di aiutare questi Marocchini, prigionieri degli Algerini a Tindouf, a riguadagnare la libertà e tornare in Madre-Patria”, hanno riportato quasi tutti i media del Regno. E dunque non sorprende a questo punto che Alain Delon abbia anche espresso il suo sostegno al progetto marocchino di larga autonomia per il Sahara Occidentale. “Avrei voluto partecipare alla Carovana (di sostegno al progetto marocchino di autonomia)… ha permesso a centinaia di persone di difendere la causa del Sahara che è fondamentale nello spirito di tutti i Marocchini”, avrebbe dichiarato l’attore francese all’agenzia di stampa ufficiale, MAP, che l’ha lanciata in un dispaccio trasmesso il 20 giugno 2010.
Che Alain Delon sostenga il progetto di larga autonomia proposto dal Marocco, non deve stupire. Conosciuto per i suoi agganci con la destra francese, non è un segreto per nessuno che l’attore francese non si sia mai distinto per prese di posizione in favore di popoli oppressi , e ancor meno per le idee progressiste. Incarna piuttosto l’immagine di una Francia “franchouillarde” (tipicamente francese e popolare, ndt) e riflette perfettamente le opinioni della Francia ufficiale, soprattutto per quanto riguarda l’autodeterminazione del popolo saharawi.
A riprova di ciò, la voce dell’attore francese non si è affatto levata quando la militante dei diritti dell’uomo, Aminatou Haidar, è stata espulsa verso l’isola di Lanzarote, nelle Canarie, il 13 novembre 2009 dalle forze di occupazione marocchine. Non lo si è sentito parlare quando i sette militanti saharawi dei diritti dell’uomo, di ritorno da una visita nei campi dei rifugiati saharawi, sono stati arrestati l’8 ottobre dell’anno scorso sulla pista dell’aeroporto Mohammed V di Casablanca, poi gettati in prigione senza alcun processo. E allo stesso modo non si è preoccupato di leggere uno degli ultimi messaggi del Presidente della Repubblica saharawi al segretario generale delle Nazioni Unite.
“La difesa dei principi fondamentali della legittimità internazionale non può trasformarsi in un capo di imputazione e non dovrebbe permettere al governo marocchino di procedere alla confisca delle libertà fondamentali delle persone, solo per avere espresso delle idee contro la politica espansionistica del Marocco”, ha scritto Mohamed Abdelaziz in una lettera a Ban Ki-moon, lo stesso giorno (19 giugno) nel quale Alain Delon faceva le sue dichiarazioni alla stampa marocchina. Cosa che aveva il diritto di fare, certamente. Ma di qui ad affermare che i rifugiati saharawi dei campi di Tindouf sono dei Marocchini fatti prigionieri dagli Algerini, oltrepassa i limiti che la star sul viale del tramonto del cinema francese ha allegramente superato.
Cartellino rosso per “Rocco e i suoi fratelli”.


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