Zamane – dicembre 2010

Perché Ceuta e Melilla sono (sempre) spagnole?
di Adnan Sebti

Fenici, Greci, Romani, Vandali, Visigoti, Arabi ecc. Da molti secoli, popoli e Stati si disputano le due città. Oggi enclave spagnole nel nord del Marocco. E non è finita…

La storia delle due enclave spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco si sposa a quella del Mediterraneo. I Fenici cominciano installando una colonia commerciale a Melilla, chiamata allora Rusaddir, e i Greci occupano Ceuta. Più tardi le due città, ognuna delle quali è dotata di un porto naturale, cadranno a volte nelle mani dei Romani, a volte dei Cartaginesi, durante le guerre puniche. A partire dall’anni 40, vi si installano i Romani, e le battezzano con nomi latini: Septem Frates per Ceuta e Flavia per Melilla.

Da un califfato a un altro

Alla caduta dell’impero romano, i Vandali di Genserico prendono il posto dei Romani, e trasformano Ceuta in una piazzaforte dell’impero bizantino, poi le due città passano sotto l’influenza dei Visigoti. E quando i mussulmani si lanciano alla conquista della Penisola Iberica, Ceuta serve loro da trampolino, grazie al tradimento del governatore bizantino Julien, del quale lo scrittore Juan Goytisolo farà l’eroe di uno dei suoi romanzi.  Quanto a Melilla, o “Mlila”,i conquistatori arabi ne faranno un solido punto di partenza per le truppe berbere da inviare a Al-Andalus. Melilla passerà da un califfato ad un altro, fino a quando non sarà occupata dalle truppe spagnole del duca di Medina Sidonia, comandate da Pedro de Estopinan e Francisco Ramirez di Madrid. Siamo giunti al 1497, vale a dire cinque anni dopo la caduta di Granada.
Ceuta, da parte sua, che è passata anch’essa da una occupazione ad un'altra, sceglie la Spagna quando questa si separa dal Portogallo, dopo un fallito matrimonio politico-territoriale. Siamo nel 1640. Da quel momento, se gli Spagnoli non sono riusciti a spingersi di più all’interno del Marocco e sono rimasti confinati dietro le loro mura, sono però riusciti a mantenere sempre Ceuta e Melilla.
E’ a queste due date (1497 e 1640) cui fanno riferimento gli Spagnoli quando si tratta di “accreditare” i loro atti di “proprietà”. Che si fondano sul testamento di Isabella la cattolica, regina di Castiglia, che aveva raccomandato ai suoi successori di invadere l’Africa del nord per convertirne le popolazioni. Per questo le successive dinastie che hanno governato il Marocco non hanno mai naturalmente accettato questo stato di fatto. Uno dei più vigorosi sultani alaouiti, Moulay Ismail, che era riuscito a strappare agli inglesi e agli spagnoli le città di Tangeri, Larache e Asilah, ha posto sotto assedio Ceuta per un quarto di secolo (1699-1724). Invano. Uno dei suoi successori, Mohammed II, ha tentato a sua volta di riprendere Melilla nel 1775, ma senza maggiore successo.

Annus horribilis

Sottoposte da allora a implacabili assedi da parte delle tribù vicine, le due città si sono attrezzate a resistere agli attacchi. Trasformate in presidi dove il regno di Spagna inviava i suoi condannati di diritto comune più refrattari e i suoi rivoluzionari, Ceuta e Melilla hanno resistito agli assalti. Di passaggio a Melilla nella seconda metà del XIX secolo, il rivoluzionario e padre del nazionalismo cubano José Marti se l’è presa contro questa Spagna che ha costruito “un castello per uccidere ed una vecchia chiesa” e spedisce una “milizia viziosa” per reprimere una “razza che difende il suo suolo”.
1860 è sinonimo di anno orribile per il traballante impero dello Sceriffato, che non si è mai ripreso dalla sconfitta di Isly, nel 1844, contro i Francesi. 16 anni più tardi, dunque, subisce un’altra sconfitta da un esercito spagnolo spedito a Tetouan dalla regina Isabella II. Conseguenza del disastro, il sultano Moulay Abderrahmane è costretto, con il trattato di Wad-Ras, a pagare un’indennità astronomica. E anche a cedere il territorio di Sidi Ifni, e soprattutto permettere ai due presidi di accrescere il loro territorio a spese delle terre appartenenti alle tribù vicine.
A partire da questa data, l’impero dello Sceriffato, il “malato” della regione, entra nel suo lungo letargo, dal quale uscirà solo per diventare un protettorato franco-spagnolo (1912-1956), sottomesso ai diktat delle due potenze europee. Durante questa (lunga) parentesi coloniale, le rivendicazioni territoriali marocchine sono messe da parte. Ma dopo l’indipendenza del Marocco nel 1956, le rivendicazioni marocchine su Ceuta e Melilla si sono fatte sempre più pressanti, senza mai diventare prioritarie, a differenza di Sidi Ifni e del Sahara occidentale. Ma in Spagna, la maggior parte delle formazioni politiche sono per il mantenimento dello status quo, salvo qualche eccezione. Tra queste, una frangia minoritaria del partito socialista operaio spagnolo (PSOE) e il Partito comunista spagnolo (PCE) si proclamano fin dal 1924 “contrari alla presenza spagnola in Africa” e dichiarano che “Ceuta e Melilla sono colonie che devono essere restituite al Marocco”.

Il peso dei numeri

Nel 1995, lo Stato spagnolo accelera il passo, accordando a Ceuta (19 km quadrati) e Melilla (12,3 km quadrati) lo statuto di autonomia. In altri termini, i due ex presidi diventano delle entità territoriali, dotate di autonomia legislativa e di larghe competenze esecutive. Nel 2002 l’intervento dell’esercito spagnolo per allontanare le unità delle forze dell’ordine marocchine che si erano impossessate dell’isola Leila costituisce un segnale chiaro per il Marocco: la Spagna non è pronta a lasciarsi sfuggire i due “coriandoli di impero” che occupa da tanti secoli. Salvo che i difensori della “spagnolità” di queste due città non avevano previsto la crescita della popolazione mussulmana.
Secondo i dati dell’Istituto spagnolo di statistica, nel 2008 il 34% dei nuovi nati a Melilla ha una madre mussulmana (un po’ più di un secolo prima, figurava un solo mussulmano, un cameriere originario di Casablanca, nei registri della Municipalità di Melilla). Così il tasso di fecondità a Ceuta e Melilla, con una media di 4,5 figli per donna, è largamente superiore a quello della Spagna (1,4 figli), ma anche a quello del Marocco (2,5 figli). E sui 74.000 abitanti di Melilla, più della metà (37.000) sono mussulmani. Quanto a Ceuta, la percentuale della popolazione mussulmana è del 41% in una città che conta 80.000 anime. In proposito, nel 2005, un reportage del quotidiano spagnolo El Pais ha citato un rapporto segreto elaborato dal Centro nazionale di intelligence (CNI), che pronostica una schiacciante maggioranza di abitanti mussulmani nelle due enclave entro il 2020. Cosa che, secondo il CNI (i cui strateghi militari hanno predisposto un piano di emergenza per rimpatriare 70.000 persone in Spagna in caso di “attacco marocchino”), metterebbe a dura prova la “spagnolità” delle due città. Lo stesso rapporto segnala tuttavia che solo il 10% dei residenti mussulmani delle due città sono filo-marocchini, mentre il 40% dei loro correligionari restano legati alla Corona spagnola. Un segnale incoraggiante per gli Spagnoli.

La fiesta dell’aid El Kébir

Così, dopo decenni di stigmatizzazioni appena velate, le autorità autonomiste di queste due città hanno decretato “giorno festivo” quello della festa mussulmana dell’aid El Kébir. E stanno sul punto di riconoscere, come rivendicato dalla popolazione mussulmana, la darija per Ceuta e l’amazigh per Melilla, quali lingue co-ufficiali insieme allo spagnolo. E le stesse autorità non sarebbero sfavorevoli all’insegnamento dell’arabo e del tamazight nelle scuole. Si tratta di progressi sorprendenti, tanto più che le due città sono governate dal partito Popolare (PP), principale formazione di opposizione in Spagna, non certo conosciuta per la sua “maroccofilia”.

 


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