Irib.fr, 9 novembre 2014 (trad. ossin)


Chi vuole la terza Intifada?

Sami Amin


La delusione e lo scoraggiamento di talune capitali, misurate sull’apatia statunitense, sono tali da rendere la crisi foriera di nuove esplosioni


Ogni giorno, da molti anni, molte centinaia di giovani Palestinesi si scontrano nei territori occupati col la polizia israeliana, usando pietre e petardi contro i gas lacrimogeni, le granate assordanti e altri proiettili letali, in quartieri come Chouafat e Issaouiya, soprattutto.

Ogni giorno la destra israeliana “ultra nazionalista” e gli “estremisti ebrei”, incoraggiati dal governo Netanyahu, moltiplicano le improvvide dichiarazioni e le provocazioni dirette a impadronirsi della Spianata delle Moschee ad al-Quds (Gerusalemme), terzo luogo sacro dell’Islam, con l’obiettivo dichiarato di pregare in un luogo che essi venerano come quello dove sarebbe sorto il Tempio ebraico distrutto dai Romani, nell’anno 70, e la cui unica traccia è il Muro del Pianto, che sorge più in basso.

La verità è che gli Israeliani, tutti, non hanno mai rinunciato al loro obiettivo principale, quello di ricostruire il Tempio, abbattendo la Moschea di Al-Aqsa.

Ogni venerdì, “estremisti” ebraici tentano di stabilirsi nella città vecchia, dominata dalla Spianata, per riprendere il possesso di quello che loro chiamano il Monte del Tempio.

In questo senso, la politica della destra israeliana, non molto diversa, tutto sommato, a quella della sinistra a suo tempo incarnata da Shimon Peres, obbedisce ad alcune certezze, una delle quali è che al-Quds appartenga interamente allo Stato ebraico, sia nella sua componente ashkenazita che in quella sefardita.

Tale idea viene considerata come una provocazione, allo stesso tempo grave e permanente, da parte dei Palestinesi, e specialmente da tutti i mussulmani, e il tentativo di giudaizzare al-Quds, fin dalla occupazione del 1967, è stata una fonte continua di disordini e scontri, che negli ultimi mesi tendono a intensificarsi.

Sordi agli appelli di alcune Potenze occidentali, il cui appoggio costante trova qualche difficoltà a conciliarsi con l’arroganza israeliana e i suoi molteplici sforamenti in materia di diritti dell’uomo, per non parlare che di questi, i leader israeliani usano e abusano della protezione USA e oppongono, alle proposte di mediazione di diversi paesi, disprezzo e rifiuti, ciò che produce un crescente peggioramento delle condizioni di vita, già più che insopportabili, dei Palestinesi.

Quale via d’uscita resta ai Palestinesi? La resistenza può anche essere temperata dai rappresentanti legittimi, convinti che mediazioni e negoziati, sia pure dagli esiti incerti, finiranno presto o tardi per avere ragione dei falchi di Tel Aviv. Ma la delusione e lo scoraggiamento di talune capitali, misurate sull’apatia statunitense, sono tali da rendere la crisi foriera di nuove esplosioni, nei territori occupati, col loro seguito di lacrime e lutti senza fine.

Un esito auspicato dai leader israeliani, in testa da Benjamin Netanyahu, pur proclamando la propria condizionata disponibilità “a discussioni e a proposte”, delle quali gli USA siano intermediari esclusivi.




 

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