In Marocco suscita scandalo il coming out dello scrittore Abdellah Taia. La ragione è semplice: in una società in cui il controllo poliziesco si somma a quello sociale, si può anche essere zemel, ma è severamente interdetto dichiararlo. Così c'è chi invoca il linciaggio dello scrittore, mentre i suoi amici... tacciono. Un articolo apparso su Tel Quel  (traduzione a cura di ossin)

 

Ritratto. Omosessuale di fronte e contro tutti

La storia imbarazzante del primo marocchino che ha avuto il coraggio di manifestare pubblicamente la sua diversità.

 

di Karim Boukhari


 

“Ha accettato di dare il culo per farsi conoscere”, “E’ pubblicato e si parla di lui solo perché è omosessuale”, “Si prostituisce per piacere all’occidente”,  “E’ il suo posteriore che parla, non lui”, “Nuoce all’immagine del Marocco e dell’Islam”, “Se fossimo realmente in terra d’Islam, sarebbe lapidato”. Il nome di Abdel Taia, per quelli che lo conoscono, non lascia per niente indifferenti. Nelle discussioni da caffé come sui forum di internet, scioglie le lingue e scatena discussioni dal contenuto assai poco ameno. Un internauta ha scritto: “In questi tempi cattivi, per essere pubblicati nel mondo occidentale, bisogna scrivere romanzi sulla sessualità. La maggior parte sono autobiografie nelle quali degli omosessuali raccontano con fierezza le loro prodezze. Abdellah Taia è uno di loro. Racconta la sua vita di frocio quando era giovane e viveva a Salé. E’ stato invitato da 2M (il secondo canale della televisione marocchina, ndt) cinque volte, un privilegio mai accordato ad esempio a Mehdi El Menjra (scrittore e futurologo marocchino). Taia è stato invece ricevuto da tutte le case editrici francesi e il suo romanzo sarà tradotto”.
L’omosessualità dichiarata del giovane scrittore marocchino provoca traumi perfino nella cerchia dei letterati, di solito considerati tolleranti e di spirito aperto. Quando Taia ha pubblicato contemporaneamente su Tel Quel e su Le Monde un testo di reazione agli imprevisti attentati kamikaze compiuti in Marocco nel marzo 2007 (v. ossin), un lettore avvertito ha trovato il modo di indignarsi così: “Taia non può mettersi nei panni di un kamikaze perché lui, è il suo culo che si fa esplodere. Allora, se potete, risparmiateci le esibizioni della vostra vedette frocia…” Qualche settimana prima, un ricercatore del quale taceremo il nome ha trovato altre parole, un altro tono, per esprimere la sua collera: “Vergogna a voi che date visibilità a un ricchione!”

 

Domani lo scandalo


Abdellah Taia evidentemente non ha solo detrattori. Ha anche degli amici, dei sostenitori… che stanno zitti. Quelli che non lo amano, al contrario, lo dicono con toni violenti, insopportabili, considerandolo senza mezzi termini una vergogna nazionale. Uno “zamel”, vale a dire un omosessuale, un frocio, un insulto. Il fenomeno non è che agli inizi, perché l’autore, le cui pubblicazioni sono oggi diffuse a una media di circa 10.000 esemplari (ma vendute sia in Marocco che in Francia), è destinato ad affermarsi. Sta per essere tradotto in spagnolo, presto in olandese. Il suo potenziale commerciale è enorme in Francia perché, contrariamente a ciò che ne pensano i numerosi avversari, lo scrittore non fa il giro delle platee televisive. Almeno non ancora. E in Marocco non ha mai capitalizzato sulla sua omosessualità in televisione. Il suo coming out, secondo l’espressione consacrata, lo ha fatto solo attraverso i suoi scritti, oltre che nell’intervista accordata a Tel Quel nel febbraio 2006.
Che succederà domani quando Taia, con la forza del suo talento di scrittore e la sua singolarità d’uomo, diventerà un’autentica star (inter)nazionale?

Al Massae, il quotidiano più diffuso in Marocco, ha già risolto la questione: “Taia, bisognerà bruciarlo!” In una delle sue cronache quotidiane, il direttore Rachid Nini ha praticamente invitato al linciaggio del giovane scrittore, accusando di passaggio lo Stato di “complicità” e trattando più generalmente gli omosessuali come esseri anormali, che non bisognerebbe soprattutto “esibire” in pubblico. Scrive in particolare: “Come si può accettare che un tale individuo passi sul secondo canale della televisione nazionale, che è finanziata dai soldi del contribuente marocchino?”
Abbiamo tentato di capire il punto di vista, per lo meno estremista, del direttore di Al Massae. Raggiunto per telefono, ha prima accettato di discuterne, salvo poi a desistere senza alcuna spiegazione.
Attajdid, il quotidiano ufficiale degli islamisti del PJD è stato appena meno estremista di Al Massae: “Perché Taia beneficia di tutti questi passaggi alla televisione (marocchina) e gli altri no?” Un dirigente del partito ci ha fatto, in forma anonima, il seguente commento: “A noi non piacciono gli omosessuali!” E non bisogna fare l’errore di prenderla come una semplice boutade. Il PJD è perfettamente capace di presentare domani una interrogazione parlamentare per chiedere che lo scrittore venga tratto a giudizio o ne siano interdette le opere. L’offensiva condotta, su di un altro piano, dal partito di Saad-Eddine El Othmani contro il film Marock rischia di ripetersi, questa volta contro una persona: Abdellah Taia. Quello che salva (per il momento) il giovane scrittore che lo ha  spiegato un dirigente del partito islamista nel modo che segue: “Taia non rappresenta una gran cosa, non vende ancora molti libri”: Domani, dunque, tutto può cambiare e tutto cambierà, perché Taia venderà fatalmente più libri, farà più apparizioni in televisione, parlerà di più della sua omosessualità, etc.

 
Un extraterrestre a Parigi


Incontrando Abdellah Taia nella sua nuova vita, a Parigi, non si riesce a credere che quest’uomo fragile, timido, pudico, assai umile nei modi, corrisponda al mostro descritto nei deliri dei suoi avversari. “Io non faccio letteratura, non cerco di imitare nessuno scrittore, non rappresento nessuno, sono soltanto uno straniero che vive da solo in un monolocale di venti metri quadri”. La storia di Taia è quella di un malinteso: figlio di povera gente, ha imparato a padroneggiare la lingua francese mentre molti tra i suoi compagni del derb (il quartiere, ndt) non hanno mai neppure messo piede a scuola. Ha fatto studi di letteratura, ma ha sempre sognato di scrivere per il cinema. E non si è affatto esiliato in Europa per scoprire la mondanità di Parigi o la cioccolata svizzera, ma “per seguire l’uomo della sua vita”. Cosa che sarebbe bello ascoltare dalla bocca di una donna, ma che è imperdonabile per un uomo marocchino.

Nel suo minuscolo monolocale del 19^ arrondissement, quartiere piuttosto “pop” della capitale francese, non c’è al muro alcuna foto del giovane. Lui fa presto il giro della proprietà senza muoversi dal suo posto, solo muovendo l’indice della sua mano: “Qui, su questo materasso, dormo, scrivo, faccio tutto. Là, quelli sono i libri che amo, e poi c’è una vecchia foto di Mohammed V per la quale provo una grande tenerezza, dei dischi, dei film”. Lo scrittore marocchino più denigrato del momento conduce a Parigi una vita quotidiana da persona qualsiasi, un uomo molto solo che deve fare i conti coi suoi fine del mese: “Ho retto per molto tempo grazie a lavoretti abituali. Oggi vendo libri, sì, ma non abbastanza da potermi mantenere, allora faccio lezioni di arabo, faccio traduzioni, scrivo occasionalmente per dei giornali”. Le grandi ristrettezze in cui vive quest’uomo di 34 anni rispecchiano l’intensità della sua vita interiore. Abdellah Taia si fa compagnia con le immagini e le parole del Marocco, spezzoni di vita  ad Hay Salam a Salé dove è cresciuto, decimo di una famiglia di undici figli. Una vita da povero nella quale i corpi, provati dalla indigenza, vivono praticamente gli uni sugli altri, creando alla fine una comunità carnale, perfino sentimentale. “Il soggetto dei miei libri è, e non potrebbe essere altri, che me stesso, ma io non racconto storie, piuttosto frammenti di quello che vivo, di quello che sono”. Che cosa è? “Un marocchino ribelle che crede all’individuo, che rifiuta l’idea che la nostra storia, personale o collettiva, non ci appartenga, che non abbiamo il diritto di riappropriarcene”. Taia è un mosaico umano al centro del quale la parola omosessuale è scritta in lettere d’oro, inevitabile, inaggirabile. “Sono stato sempre omosessuale e non me lo sono mai nascosto. L’omosessualità si vive e non si spiega. Non è uno sballo, è la mia vita. Non posso nasconderlo, lo scrivo, lo racconto insieme ad altre cose”:

Diversamente da Rachid O., il primo scrittore marocchino a dichiarare la propria omosessualità (dal 1994 con “L’elefante sbalordito”, poi “Diverse vite” , pubblicate da Gallimard), ma senza rivelare il suo nome completo, Abdellah Taia ha deciso, fin dal debutto, di firmare col suo vero nome senza nascondersi dietro un diminutivo o uno pseudonimo. “In Marocco succede di tutto, ma nel silenzio. C’è stato un momento per me in cui questo silenzio non è più stato sufficiente. Bisognava che rompessi il tabù, che parlassi. di me”. Fino al 2005 lo scrittore si limita a fare allusione alla sua omosessualità alla maniera di “Alfahem yfhem”, per i soli iniziati, prima di rivelarsi apertamente, senza giri di parole, con “Le rouge de tarbouche” (il suo primo romanzo, ndt). Nel febbraio 2006, compie un passo supplementare dalle colonne di Tel Quel: “Ho provato un nodo allo stomaco durante l’intervista. Era suonata l’ora del mio coming out.. Nei libri si può dire quello che si vuole, ma è nel momento che lo si racconta ai giornali che diventa affare di tutti, si oltrepassa il punto di non ritorno”. Altri giornali francofoni (Le Journal, il defunto Maroc-Soir, Maroc Hebdo) hanno ripreso il coming out dello scrittore. “La mia famiglia, i miei vecchi amici hanno preferito ignorarlo, per loro io ero sempre nella mia hmaq (follia, ndt) di gioventù, qualcosa di riparabile e comunque camuffabile nell’immediato. Non mi hanno comunque preso sul serio se i vicini sono andati da mia madre a dire: “Abbiamo visto tuo figlio alla televisione”. Una volta mio fratello maggiore mi ha perfino telefonato per dirmi, tutto fiero: “Ti ho visto alla televisione, molto bene, ma dimmi, quando passerai alla fiction? Voleva sicuramente dire: sì, si sa di cosa sei fatto, ora bisogna smetterla con queste confessioni per pensare a diventare finalmente scrittore”. Un altro dei suoi fratelli si va a lamentare direttamente con la madre: “Di’ a tuo figlio di smetterla di raccontare il suo n’importa cosa e di tornare alla ragione!” La rottura e  il “maskhout Al walidine” (fare del male ai propri genitori, ndt), chi ha osato rompere la legge del silenzio rischia.


Coming out e lacerazione familiare


Il coming out di Taia ha preso un’altra dimensione, molto più drammatica, quando lo scrittore ha rivelato la sua omosessualità nei giornali arabofoni (AlAyyam e Al Jarida Al Oukhra). “Questo fatto ha cambiato tutto perché si è passati dalla lingua dei ricchi (il francese) alla lingua di tutti (l’arabo). Un po’ come se si fosse nella teoria pura e che di colpo si atterrasse nel reale”, ricorda lo scrittore. Questa volta sicuramente il giovane è diventato “l’altro”, l’extraterrestre, il barbone mostrato a dito dai ragazzi di Hay Salam, l’eroe mostruoso delle storie raccontate dalla nonne ai nipotini. La vita di Taia resta sconvolta.

A Salé le novità arrivano prestissimo e i Taia, al gran completo, sono costretti a tenere un consiglio di famiglia. Abdellah Taia ricorda: “il nipote tale non aveva più il coraggio di mettere i piedi fuori di casa per paura di essere preso in giro dai ragazzetti del quartiere, la sorella tale aveva problemi sul lavoro perché suo fratello era frocio (e non aveva alcun pudore a scriverlo e dirlo)”. Catastrofe. Finalmente la madre dello scrittore, 74 anni, capo della famiglia dopo la morte del padre,  prende l’iniziativa  e telefona al figlio in Francia. Piange, piange anche suo figlio. Queste le sue parole: “Ach derti lina, ach derna lik, wach nta khrej lik la’akel, wach hadak klam kaytgal (Hai perso la testa per farci tutto questo? Per dire tutte queste cose che non si devono dire)?” Abdellah ha ancora oggi le lacrime agli occhi quando rievoca questo ricordo doloroso: “Per quanto mi riguarda, io soffrivo per avere involontariamente fatto del male ai miei, mi sentivo anche un po’ vigliacco perché io stavo lontano da Salè, ma soffrivo soprattutto perché mi rendevo conto che nessuno, in questo momento di sconforto, pensava a me, a tutto quello di cui mi ero per tanto tempo caricato ridotto al silenzio come ero, a tutto quello che avrei dovuto ancora sopportare per seguire la mia naturale inclinazione”.

La madre ignora il contenuto dei suoi libri più espliciti (“Le rouge du tarbouche” e “L’armée du salut), si preoccupa solo dell’intervista rilasciata dal suo figlio scrittore al settimanale Al Jarida Al Oukhra. “E’ crollata davanti all’annuncio della mia omosessualità e, più ancora, del mio definitivo ripudio dell’idea di matrimonio”. “Non dirmi che mio figlio non si sposerà mai – piange l’anziana donna – che non andrà mai al Haj (pellegrinaggio alla Mecca, ndt), che non potrò mai prendere i suoi figli tra le braccia. Io voglio solo il tuo bene”. Taia tenta di spiegare, cerca parole che possano rassicurarla (almeno un po’) tra i singhiozzi: “Non si tratta solo di me, io sono parte di un movimento più grande di me, che attraversa tutto il Marocco”.
Lo scrittore si aggrappa al sogno di essere se stesso e la madre si aggrappa al sogno che suo figlio sia come lei lo desidera. Che chiuda la parentesi omosessuale per tornare alla normalità.
Nessun altro dei familiari lo contatta nell’immediatezza, è la madre a rappresentare da sola tutto il malcontento, di giorno in giorno più grande, più difficile da contenere, più difficile da vivere. E Abdellah Taia, nel suo minuscolo monolocale parigino, vive nel nero più assoluto, tagliato fuori dal mondo, riflettendo sulla svolta che va prendendo la sua vita. Fino al giorno in cui una delle sorelle, analfabeta, gli manda un sms che arriva come una zattera di salvataggio: “Mia sorella non mi aveva mai né telefonato né scritto. Ha chiesto alla figlia di scrivermi, in un arabo a caratteri francesi: il messaggio non diceva niente di particolare ma dichiarava in qualche modo uno straordinario sostegno. Diceva: “Khouya Abdellah, wach nta labas? Wach mazal d’aif oula s’hahiti chouiya? Rah koulna kansalimou alik”: Traduzione: “Fratello mio Abdellah, stai bene? Sei sempre magro o ti sei messo un po’ in carne? Ti salutiamo tutti”.


Come voltare pagina


Abdellah Taia non è ancora passato alla pagina seguente. Non più i suoi familiari. Dopo l’ultimo episodio di questo coming out che non è finito ancora, coronato dall’intervista rilasciata a Al Jarida Al Oukhra nel maggio 2006, lo scrittore non è tornato a casa di sua madre e della sua famiglia a Salè: ”Non oso, perché è troppo presto, troppo caldo. Io non so quale sarà il mio atteggiamento, né il loro, non ho voglia di riaprire tutte le nostre ferite, né voglio aprirne di nuove, non ancora. Voglio che ci diamo il tempo, io e loro, di digerire tutto questo”. Gli ultimi soggiorni in Marocco, Taia li ha passati a Casablanca, Tangeri o Rabat, in camere d’albergo o da coppie di amici. Rifugi anonimi e bozzoli protettivi. Il solo vero legame che lo unisce al suo paese è restato lo stesso: una conversazione telefonica scambiata ogni due o tre settimane con la madre. “Io non provo risentimento per nessuno, perché la mia strada mi conduce fino al fondo: dell’esilio, della scrittura, dell’omosessualità, di me stesso. Ho scelto la strada della libertà, devo seguirla fino in fondo”. E lo scandalo? “Ma quale scandalo? E’ solo nella propria individualità che si possono fare avanzare le cose ed essere se stessi, non certo domandando la benedizione di chicchessia. Perché dal momento che tu domandi un’opinione a qualcuno, hai già perso l’occasione: lui si ispirerà al pensiero medio, condiviso, che non è il suo ma che servirà solo a distruggerti”.
 Lo scrittore, così umile quanto convincente, ne ha ancora di cose sullo stomaco. Si è nutrito per molto tempo dello spettacolo degli umili e degli anonimi, i vicini di quartiere o gli uomini e le donne di passaggio, dai percorsi personali così semplici… in apparenza. “Potrei scrivere libri interi sugli scandalosi costumi degli uni e degli altri, perfino tra i più conservatori del mio entourage. La trasgressione si pratica nel quotidiano su larghissima scala, viene uccisa solo per salvare le apparenze. Io, se riesco a rompere il clichè del frocio effeminato, prostituto, depravato, già questo sarà un bene”.

All’infuori di Rachid O., l’altro scrittore omosessuale col quale è in contatto, Abdellah Taia non frequenta alcun circolo letterario. Né marocchino né francese. Sta solo nel suo angolo. Qualche contatto (Frédéric Mitterrand, il cineasta Faouzi Bensaidi), qualche discussione con un pugno di vecchi compagni che hanno fatto il suo stesso salto sociale, il giro delle relazione mondane e sociali è presto fatto. “Ma quando mi sento soffocare, apro il mio balconcino sui tetti di Parigi”, sospira lo scrittore, mai a corto di idee per evitare di cadere nel patetico o di lamentarsi per la sua sorte.

L’atteggiamento attuale del ragazzo di Hay Salam è quello che ha assunto un giorno nello studio di una trasmissione letteraria di 2M: testa bassa, fianco destro, l’aria più semplice, più timida della media degli scrittori dall’ego ipertrofico. Era fedele a se stesso, senza artifici intellettuali, evitando di teorizzare o di ergersi a profanatore di tabù. Un po’ la posizione che assumeva qualche volta, le sere di cattivo umore, il suo idolo di sempre: l’autore del memorabile “Pain nu”, lo scrittore Mohamed Choukri (“Lui sì era qualcuno, ha fatto capire a noi miserabili che tutto era possibile, che tutti potevano fare o essere quello che vogliono. Perché è stato il primo a raccontare la realtà, la sua, quella di tutti i giorni, ivi compresa la dimensione sessuale”). Strizzata d’occhio del destino: la traduzione olandese di “L’armée du salut”, attesa per il prossimo settembre, uscirà dall’editore olandese… di Mohamed Choukri.


 

 
 
 
  
 
 

   
     
  
 
 

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