Nawaat, 21 gennaio 2016 (trad. ossin)
 
Reportage da Kasserine: “nessuno può calmare la rabbia della fame”
Henda Chennaoui
 
“La rivoluzione dei giovani è stata confiscata dai vecchi!” si legge su un foglio levato in alto da un giovane silenzioso, in mezzo alle centinaia di diplomi branditi dai disoccupati di Kasserine. E’ mercoledì 20 gennaio 2016, sei giorni dopo la morte di Ridha Yahyaoui, “martire della disoccupazione”
 
 
Quasi 1500 persone gridano con una sola voce: “Lavoro! Libertà e dignità!” nei giardini del governatorato. Un’atmosfera che ha qualcosa del dicembre 2010, quando i giovani di Kasserine riaccesero, col loro coraggio e la loro determinazione, la fiamma della rivolta.
 
 
Il sit-in dei giovani disoccupati di Kasserine prosegue davanti alla sede del governatorato, nonostante la repressione poliziesca. Mercoledì mattina centinaia di giovani continuano l’occupazione. Wahida Zidi, 34 anni, originaria di Foussana, si è laureata in psicologia alla facoltà del 9 aprile. Dopo 6 anni di lavoro precario in un call center di Tunisi, è tornata alla sua città natale nella speranza di trovare un lavoro decente. Sulla scalinata del grande edificio disertato dal governatore e dai funzionari, Wahida ripete con insistenza:
“Non rinunceremo ai nostri diritti! I decisori che ci prendono in giro con promesse non mantenute! E’ finita! I responsabili che fanno orecchi da mercante! E’ finita! Noi dobbiamo restare qui, solidali e determinati, finché non ci ascolteranno!"
 
 
"Mentre noi tentiamo di far sentire la nostra voce, il governatore si nasconde dietro le forze armate. Questi poliziotti d’acciaio che hanno formato un muro di apartheid” ironizza Wajdi Khadraoui, trent’anni, non diplomato, disoccupato dalla rivoluzione.
 
“Noi faremo cadere questo muro, ne svelleremo le porte e ci prenderemo le chiavi. La nostra lotta non è più contro il governatore, responsabile della morte di Ridha Yahyaoui e della nostra povertà. La nostra lotta è anche contro il governo centrale, che continua ad impoverire le zone marginalizzate”, afferma Wajdi.
 
Ricorda che la discriminazione positiva nei confronti delle zone più povere, stabilita dalla nuova costituzione, non è all’ordine del giorno del governo. “La nostra manifestazione non è solo per i disoccupati, ma per tutta la regione. No, per tutto il paese! Noi vogliamo delle riforme economiche reali, una nuova politica di sviluppo e che venga immediatamente affrontato il problema della corruzione”, spiega il ragazzo, circondato dai suoi compagni.
 
Il giorno prima, due giovani hanno tentato di suicidarsi dall’alto della sede del governatorato. “Noi eravamo terrorizzati, ma anche furiosi perché le forze dell’ordine non si sono mosse per salvare i due aspiranti suicidi. Poco dopo ci hanno caricato con gas lacrimogeno e colpi di manganello per disperderci”, testimonia Yamina Ferchichi, 29 anni, diplomatasi nel 2012 in arti e mestieri. Con cinque altri giovani, Yamina ha sfidato il coprifuoco e la repressione poliziesca nella notte di martedì, per continuare il sit-in. “Noi contestiamo l’assenza dello Stato durata cinque anni, e non intendiamo andarcene prima di aver ricevuto precisi segni di una reale volontà politica di sradicare la corruzione, il nepotismo e l’incompetenza dei responsabili regionali”, prosegue Rafik Rezgui, 34 anni, manifestante, laureato in lingua francese.
 
 
In mezzo al sit-in, si improvvisa una riunione, quella del servizio d’ordine.
 
“Tentiamo di organizzarci per mettere in sicurezza il sit-in e l’edificio. Le autorità dichiarano ai media che tra noi ci sono dei vandali. E’ assolutamente falso. Le manifestazioni sono pacifiche. Il sit-in è fatto dai disoccupati e dalle loro famiglie, Degli atti vandalici conosciamo gli autori. Sono sempre gli stessi, dal 2011”, spiega Wajdi.
 
Nel centro cittadino, gli abitanti delle città martiri di Ennour e di Ezouhour continuano a manifestare. I più giovani marcano il territorio con pneumatici bruciati e pietre. L’atmosfera è tesa, preludio visibile di ennesimi scontri ad alzo zero. I furgoni della polizia corrono a tutta velocità. La folla dei manifestanti converge verso la piazza principale di Ennour: “Nessuno può calmare la rabbia della fame! E’ finito il tempo dell’obbedienza, noi non abbiamo paura della polizia”, dice con aria di sfida un giovane del quartiere di Ennour, per poi aggiungere: “Noi rispondiamo solo alle aggressioni della polizia. Ridha Yahyaoui non è morto invano. Noi gli diamo il cambio”.
 
A 300 chilometri, le misure “urgenti” e anestetizzanti di Tunisi alimentano la rabbia dei dimenticati di Kasserine. “Il siluramento del primo delegato non è sufficiente. Le riunioni tra governo e deputati della regione a porte chiuse non servono a niente. Mance e altre sovvenzioni improvvisate non serviranno a niente senza reali riforme e un vero piano di sviluppo. Noi vogliamo decisori che pensino e sappiano trovare delle vere soluzioni” spiega Sami Mnasri, che era già sulle barricate nel gennaio 2011.
 
 
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