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ProfileLe schede di ossin, 23 novembre 2021 - Per capire chi è perché abbia ucciso il presidente John Fitzgerald Kennedy, bisogna non tanto esplorare movente e passato del suo presunto assassino, Lee Harvey Oswald, quanto quelli dell'assassino di quest'ultimo, l'ebreo Jacob Leon Rubenstein, che cambiò il suo nome in Jack Ruby...   

 

Unz Review, 13 novembre 2021 (trad.ossin)
 
JF Kennedy, la pistola fumante di Israele
Laurent Guyénot
 
Per uno strano paradosso, la maggior parte dei ricercatori del caso Kennedy che credono che Oswald fosse "solo un pasticcione", si concentrano soprattutto nello studio della sua biografia. La cosa appare tanto utile quanto lo sarebbe indagare su Osama bin Laden per risolvere il caso dell'11 settembre. Qualsiasi seria ricerca dei veri assassini di JFK dovrebbe invece partire dall'uomo che ha sparato allo stomaco di Oswald, a bruciapelo, alle 11:21 del 24 novembre 1963 nella stazione di polizia di Dallas, sigillando così la possibilità che un'inchiesta giudiziaria potesse attirare l'attenzione sulle incongruenze dell'accusa contro di lui, e forse smascherare i veri colpevoli. Dovrebbe essere il proprietario dello strip club di Dallas, Jack Ruby, il personaggio su cui si concentra l’attenzione dei ricercatori del caso Kennedy. Ma non è così
 
 
Ovviamente, è assolutamente normale che il giudice supremo Earl Warren, quando Ruby gli disse il 7 giugno 1964: "Sono stato usato per uno scopo", non gli abbia chiesto chi lo avesse usato e per quale scopo.[1] Ma gli investigatori indipendenti? Sono solo i lettori del Forward ("Notizie che contano per gli ebrei statunitensi") degni di essere informati che "Jack Ruby', killer di Lee Harvey Oswald, ha un forte background ebraico", e che confessò al suo rabbino Hillel Silverman di "averlo fatto per il popolo ebraico”? Ecco il passaggio rilevante dell'articolo di Steve North del 2013, relativo alla reazione di Silverman dopo aver sentito alla radio che un certo "Jack Rubenstein" aveva ucciso l'assassino:
 
"Sono rimasto scioccato", ha detto Silverman. “Il giorno dopo sono andato a trovarlo in prigione e gli ho detto: 'Perché, Jack, perché?' Ha risposto: 'L'ho fatto per il popolo statunitense'". Ho interrotto Silverman, obiettandogli che in altri resoconti si diceva che Ruby avesse detto che lo aveva fatto "per dimostrare che gli ebrei hanno fegato". Il rabbino ha sospirato. "Sì, ne ha parlato", ha detto Silverman. “Ma non mi piace menzionarlo. Penso che abbia detto: "L'ho fatto per il popolo ebraico". Ma ho cercato di cancellare quell'affermazione dalla mia mente".[2]
 
Anche l'avvocato difensore di Ruby, William Kunstler, afferma nelle sue memorie che Ruby gli disse: "L'ho fatto per gli ebrei", ripetendo in diverse occasioni: "Ho fatto questo perché gli ebrei non fossero coinvolti". Durante l'ultima visita di Kunstler, Ruby gli ha consegnato una nota in cui ha ribadito che il suo movente era quello di "proteggere gli ebrei statunitensi dal pogrom che avrebbe potuto essere scatenato dalla rabbia per l'assassinio (del presidente Kennedy)".[3] C'è solo una possibile interpretazione delle parole di Ruby: deve aver saputo, e quelli che lo hanno incaricato di uccidere Oswald dovevano saperlo, che se Oswald fosse stato processato, la mano ebraica nell'assassinio di JFK sarebbe emersa probabilmente con tutta evidenza.
 
Perché queste informazioni cruciali non si trovano in nessun libro sull'assassinio di Kennedy, tranne che in quello di Michael Collins Piper (e ora nel mio )? James Douglass, per fare l'esempio più significativo, insiste, senza uno straccio di prova, sul fatto che Ruby, oltre ad essere "legato alla mafia di Chicago", era "collegato alla CIA".[4] Non una volta Douglass menziona il background ebraico di Ruby, e il suo vero nome ebraico viene menzionato solo in una singola nota di chiusura nella quale si cita un altro autore. La strana omissione da parte di Douglass potrebbe avere lo stesso movente dell'uccisione di Oswald da parte di Ruby, vale a dire "proteggere gli ebrei statunitense dal pogrom che potrebbe essere scatenato dalla rabbia per l'assassinio (del presidente Kennedy)"?
 
Ruby non è l'unica persona collegata a Oswald le cui confuse parole che coinvolgono "gli ebrei" sono state accuratamente nascoste al pubblico. Il 29 marzo 1977, George DeMohrenschildt, un geologo russo che aveva stretto amicizia con Oswald a Dallas nel 1962 su richiesta dell'agente della CIA J. Walton Moore, fu trovato morto con una pallottola in testa. La sua morte fu attribuita a suicidio, ma il rapporto dello sceriffo fa cenno del fatto che, nei suoi ultimi mesi, si lamentava che "gli ebrei" e "la mafia ebraica" gli davano la caccia.[5] Sua moglie ha confermato a Jim Marrs, autore di Crossfire: The Plot that Killed Kennedy (1989), che suo marito pensava che "la mafia ebraica e l'FBI" volessero prenderlo.[6] La maggior parte delle persone moderatamente interessate all'assassinio di JFK conoscono la relazione di DeMohrenschildt con Oswald, ma quanti hanno mai sentito questo intrigante, persino incriminante, dettaglio?
 
Dopo che DeMohrenschildt si trasferì da Dallas nel giugno 1963, Oswald ebbe un nuovo chaperon: Ruth Paine, che gli trovò un lavoro al Texas School Book Depository, dove iniziò a lavorare il 16 ottobre.[7] Viene ripetuto in tutti i libri che Ruth Paine si occupava di Oswald per conto della CIA, ma non viene mai fornita alcuna prova. Personalmente, sono rimasto sorpreso quando ho letto, nella sua testimonianza dinanzi alla Commissione Warren, che negli anni '50 Ruth Paine era stata "una leader della comunità ebraica di Indianapolis", lavorando con immigrati ebrei che "parlavano yiddish nella conduzione dei loro incontri d’affari". .”[8] Jack Ruby fece qualcosa anche con lo yiddish, come vedremo. È infatti si intrufolò nella stazione di polizia di Dallas con la scusa di dover tradurre per i giornalisti yiddish (quali giornalisti yiddish hanno bisogno di un traduttore negli Stati Uniti?).
 
Questa informazione proviene dall'unico libro utile scritto su Ruby nel 1978: Who Was Jack Ruby? di Seth Kantor, re-intitolato The Ruby Cover-Up nel 1980. Kantor era un giornalista che, nel 1963, lavorava per il Dallas Times Herald. Conosceva Ruby e si trovava a meno di tre metri da lui quando sparò a Oswald. La meticolosa indagine di Kantor è un importante contributo alla ricerca della verità sull'assassinio di Kennedy. Nel resto di questo articolo, attingerò principalmente dal suo libro, così come da Final Judgment di Michael Collins Piper e da alcune altre fonti.
 
Jack Ruby davanti al suo strip club Carousel
 
 
Gangster per Sion
 
Nel suo rapporto finale, la Commissione Warren ha dichiarato di non poter "stabilire un legame significativo tra Ruby e la criminalità organizzata", perché "Ruby ha negato di essere associato ad attività criminali organizzate, e le forze dell'ordine hanno confermato tale smentita".[9] Ma ci sono molte prove dei legami di Ruby con il crimine organizzato. Robert Blakey, consigliere capo dell'House Select Committee on Assassinations dal 1977 al 1979, ha dichiarato: "La spiegazione più plausibile per l'omicidio di Oswald da parte di Jack Ruby è che Ruby lo abbia commesso per conto della criminalità organizzata, avendo cercato di avvicinarlo almeno tre volte nel giro di quarantotto ore, prima di riuscire a zittirlo per sempre».[10] Incolpare il "crimine organizzato" dell'assassinio di JFK, e di quello immediatamente successivo di Oswald, era ovviamente la conclusione più innocua che l'HSCA potesse trarre, a meno di non voler sfidare il ridicolo, confermando la storiella della Commissione Warren di due pazzi solitari. E così il Washington Post poté titolare: "MAFIOSI COINVOLTI NELL’OMICIDIO DI JFK".[11]
 
La parola che manca, qui, è “ebreo”. La maggior parte degli statunitensi, scoprendo che Jack Ruby era un mafioso, deve aver pensato che fosse italiano, come i gangster di Hollywood. Non è mai stato detto loro che il suo vero nome era Jacob Leon Rubenstein, che era figlio di immigrati ebrei polacchi, che era andato alla sinagoga poco prima di sparare a Oswald, e che in seguito aveva confessato al suo rabbino di "averlo fatto per gli ebrei".
 
Jacob Rubenstein apparteneva alla mafia ebraica, nota anche come Yiddish Connection. Si era trasferito da Chicago a Dallas nel 1947, sulle tracce di altri 15 mafiosi di Chicago (3 italiani e 9 ebrei) che vi si erano stabiliti per rilevare il business della prostituzione. Fu allora che cambiò il suo nome da Rubenstein in Ruby. Il mentore e il modello di Ruby era Mickey Cohen, che aveva operato a Chicago durante il proibizionismo, ma si era poi trasferito ad Hollywood. Durante il suo processo, il team legale di Ruby era guidato da Melvin Belli, un amico di lunga data e avvocato di Cohen (la tesi difensiva di Belli era che Ruby aveva subito una pazzia temporanea a causa di un attacco di "epilessia psicomotoria").[12] Nel 1947, Cohen era succeduto a Benjamin Siegelbaum, alias Bugsy Siegel (romanticizzato da Hollywood nel 1991) a capo della “Murder Incorporated”. Cohen e Siegelbaum erano responsabili nei confronti di Meyer Lansky (nato Suchowljansky), il più potente boss mafioso ebreo, che aveva costruito parte della sua fortuna con i suoi casinò e bordelli dell'Avana, che gli furono espropriati da Castro nel 1959. Il biografo di Lansky, Hank Messick, lo descrive come capo del National Crime Syndicate. “Grazie soprattutto a Lansky, la criminalità organizzata si è trasformata da una brutta escrescenza sul corpo politico che può essere rimossa chirurgicamente, in un cancro del nostro sistema economico e politico”.[13]
 
Meyer Lansky in Israele, 1971
 
 
Mickey Cohen afferma nelle sue memorie che, negli anni '40 e '50, era "impegnato per Israele" e si vanta dei suoi contributi finanziari e criminali alle operazioni di contrabbando di armi dell'Haganah. Gary Wean, un sergente investigativo del dipartimento di polizia di Los Angeles, afferma nel suo libro There's a Fish in the Courthouse (1987) di aver visto Ruby due volte a Hollywood nel 1946 e nel 1947 in presenza di Cohen.[14] Scrive anche che Cohen ebbe frequenti contatti con Menachem Begin,[15] e che condivideva la sua ragazza, la spogliarellista Candy Barr, con Menachem Begin e Ruby.[16]
 
Cohen non era l'unico mafioso che lavorava per Israele. Era stato siglato un patto tra eminenti sionisti e boss mafiosi ebrei intorno al 1945, quando l'Haganah organizzò un mercato nero molto efficente di armi ed esplosivi dagli Stati Uniti alla Palestina. L'operazione fu gestita da un gruppo di circa 40 ricchi ebrei statunitensi che si erano impegnati ad aiutare David Ben-Gurion, quando quest'ultimo visitò New York nel luglio 1945. Diretto da Rudolf Sonneborn, il gruppo agiva sotto la copertura legale di un ente di beneficenza, il Sonneborn Institute, la cui storia è raccontata da Leonard Slater in The Pledge (Simon & Schuster, 1970).[17] Il gruppo operò in autonomia rispetto all'Agenzia Ebraica, per proteggerla dal coinvolgimento diretto in attività illecite. Tra i suoi membri attivi, c'era il futuro sindaco di Gerusalemme (1965-93) Teddy Kollek, che svolse anche un ruolo chiave nel forgiare l'alleanza CIA-Mossad. Robert Rockaway ha documentato il contributo della malavita ebraica a questa operazione nel suo articolo “Gangsters for Zion: How Jewish mobsters helped Israel gain its independence” (Gangsters per Sion: come mafiosi ebrei hanno aiutato Israele a ottenere la sua indipendenza). Scrive:
 
Nel 1945, l'Agenzia Ebraica, il governo israeliano pre-statale guidato da David Ben-Gurion, creò una vasta rete clandestina di acquisto e contrabbando di armi in tutti gli Stati Uniti. L'operazione venne posta sotto l'egida dell'Haganah, il precursore clandestino delle forze di difesa israeliane, e coinvolse centinaia di statunitensi di ogni ceto sociale. Tra essi, milionari, studenti rabbinici, commercianti di rottami metallici, ex soldati, studenti universitari, scaricatori di porto, industriali, chimici, ingegneri, protestanti e cattolici, oltre agli ebrei. Un gruppo, che è rimasto anonimo, e di cui si è parlato raramente, era composto da uomini duri, intelligenti, senza paura e che disponevano di pronti contanti: i gangster ebrei.
 
Inviato da Ben-Gurion negli Stati Uniti per acquistare armamenti pesanti, l'agente dell'Haganah Yehuda Arazi contattò Meyer Lansky e incontrò i membri della Murder Incorporated. Anche un altro emissario dell'Haganah, Reuvin Dafni, che sarebbe diventato console israeliano a Los Angeles e New York, aveva rapporti con gangster ebrei. “Quando ho intervistato Dafni”, scrive Rockaway, “mi ha raccontato dei suoi incontri con mafiosi ebrei. I suoi incontri sono stati organizzati da membri della comunità ebraica locale. Il suo primo incontro è stato a Miami con Sam Kay, un importante gangster ebreo di Miami". Dafni ha anche incontrato Bugsy Siegel.
 
Come riferisce Dafni, “Gli ho raccontato la mia storia, come l'Haganah stava raccogliendo fondi per comprare armi con cui combattere. Quando ebbi finito, Siegel chiese: "Vuoi dirmi che gli ebrei stanno combattendo?" Sì, ho risposto. Poi Siegel, che era seduto dall'altra parte del tavolo, si sporse in avanti fino a toccare quasi il mio naso. "Vuoi dire combattere, come uccidere?" Sì, ho risposto. Siegel si appoggiò allo schienale, mi guardò per un momento e disse: 'OK, sono con te'”. “Da quel momento in poi”, ricorda Dafni, “Ogni settimana ricevevo una telefonata per andare al ristorante. E ogni settimana ricevevo una valigia piena di banconote da $ 5 e $ 10. I pagamenti sono continuati fino a quando ho lasciato Los Angeles". Dafni stima che Siegel gli abbia dato un totale di $ 50.000.[18]
 
Alcuni di quei "gangster per Sion", scrive Rockaway, "lo hanno fatto per lealtà etniche" o perché "si consideravano difensori degli ebrei, combattenti quasi biblici. Faceva parte della loro immagine di sé".[19]
 
Tale era anche il background e l'immagine di sé di Jack Ruby. Le sue attività di contrabbando di armi sono ben documentate, sebbene il fatto che sia stato a beneficio di Israele emerge spesso confusamente. In Coup d'État in America: The CIA and the Assassination of John F. Kennedy (1975), Allan Weberman fa riferimento alle attività di traffico di armi di Ruby e di altri mafiosi, ma non fa menzione della sua ebraicità (a meno che dire che Ruby " era fortemente antinazista" sia un eufemismo per dire che era ebreo), e afferma che tutti costoro stavano in effetti armando Castro, mentre contemporaneamente partecipavano ai complotti della CIA per ucciderlo.[20]
 
Ruby conosceva Lewis McWillie, il manager del casinò Tropicana dei fratelli Lansky all'Avana. Dopo il rovesciamento di Batista da parte di Castro nel gennaio 1959, Meyer Lansky si trasferì a Miami, ma Jake Lansky fu arrestato e confinato in una prigione di lusso, il campo di detenzione di Trescornia, insieme a un'altra figura mafiosa, Santo Trafficante, Jr. Sebbene non ebreo, Trafficante aveva giurato fedeltà ai fratelli Lansky e controllava porzioni sostanziali del racket del gioco d'azzardo e della prostituzione dell'Avana. Mentre erano in prigione, Jake Lansky e Trafficante ricevevano spesso la visita di Lewis McWillie, che stava negoziando con Castro il loro rilascio. Ruby disse alla Commissione Warren il 7 giugno 1964 della visita fatta a Lewis McWillie nel 1959 a L'Avana, e disse anche di conoscere i capi di McWillie, che, per paura di pronunciare il loro nome, chiamò "i fratelli Fox,[21] (McWillie avrebbe poi riconosciuto all'HSCA che "Jack Ruby avrebbe potuto in una occasione essersi trovato là fuori [L'Avana] con me.") Ruby ha aggiunto alla Commissione Warren che McWillie e uno dei fratelli in seguito gli fecero visita a Dallas.[22]
 
Seth Kantor cita un messaggio riservato inviato dal quartier generale della CIA al consigliere per la sicurezza nazionale McGeorge Bundy, il 28 novembre 1963, nel quale si conferma che, mentre Santo Trafficante viveva "nel relativo lusso in una prigione cubana" nel 1959, ricevette frequenti visite da parte di "un gangster statunitense di nome Ruby".[23]
 
Nel settembre 1962, si dice che Trafficante abbia detto a José Alman, un membro di spicco della comunità di esiliati cubani a Miami, che "il presidente Kennedy avrebbe avuto quello che si meritava". Aleman non era d'accordo e sosteneva che Kennedy sarebbe stato rieletto. «No, José», disse Trafficante. "Sta per essere ucciso".[24] Quando a Trafficante è stato chiesto da Richard Sprague dell'HSCA, "hai mai discusso con qualcuno dei piani per assassinare il presidente Kennedy prima del suo assassinio?" Trafficante ha rifiutato di rispondere.[25]
 
Come Kantor dimostra in modo estremamente dettagliato, Jack Ruby ebbe ripetuti contatti con membri della malavita ebraica nel 1963. L'8 giugno, "un folto gruppo di malviventi di Chicago ha cominciato a frequentare il Ruby's Carousel e gli altri due club di strip-show vicini", secondo a un rapporto confidenziale diretto al capo della polizia di Dallas, Jesse E. Curry, scritto dal tenente Robert L. May Jr., che era stato capo della “buoncostume”.[26] I contatti di Ruby con la malavita si sono intensificati durante gli 11 giorni che hanno preceduto l'assassinio del presidente Kennedy, “quando Ruby ha improvvisamente firmato una procura, rinunciando a determinati diritti di controllo dei propri guadagni. All'improvviso acquistò e installò anche una cassaforte, per la prima volta nei suoi 16 anni di attività come operatore di un nightclub di Dallas, per custodire somme extra di denaro".[27] Durante questo periodo, "Ruby riceveva una serie di telefonate al Carousel da un uomo non identificato che non lasciava mai messaggi quando Ruby non c’era".[28] L'11 novembre Ruby incontrò a Dallas Alexander Philip Gruber, noto per i suoi legami con Mickey Cohen. Gruber, che non vedeva Ruby da anni, disse all'FBI che, trovandosi a Joplin, Missouri, aveva deciso di fare un salto da Ruby "perché Dallas, in Texas, è a circa 100 miglia da Joplin" (la distanza è di 360 miglia).[29] Nel pomeriggio del 22 novembre, Ruby telefonò ad Alex Gruber a Los Angeles. "In seguito Gruber ha detto all'FBI che non sapeva davvero perché Ruby avesse chiamato".[30] Questo è successo molto probabilmente quando Ruby ha ricevuto l'offerta che non poteva rifiutare.
 
 
Ruby era stato certamente informato del momento preciso in cui Oswald sarebbe stato trasferito dalla stazione di polizia di Dallas al carcere della contea. Secondo l'ex ufficiale dell'intelligence britannico, colonnello John Hughes-Wilson, fu Sam Bloom, il presidente ebreo del "comitato di ospitalità" che aveva invitato Kennedy a Dallas, a suggerire alla polizia "di trasferire il presunto assassino [Oswald] dalla stazione di polizia di Dallas alla prigione della contea di Dallas, per dare ai giornalisti una buona storia e delle immagini. E "quando in seguito la polizia ha perquisito la casa di Ruby, ha trovato un foglietto con il nome, l'indirizzo e il numero di telefono di Bloom".[31]
 
In qualcosa che sembra essere stato un tentativo di rendersi impossibile l'adempimento dell’impegno assunto, Ruby cercò di avvertire la polizia di Dallas in modo anonimo: il tenente Billy Grammer, del dipartimento di polizia di Dallas, la cui dichiarazione può essere ascoltata qui, ricevette una telefonata anonima alle 3 del mattino del 24 novembre da un uomo che conosceva il suo nome. Il chiamante disse a Grammer di essere al corrente del piano di trasferire Oswald dal seminterrato e che, a meno che i piani per il trasferimento di Oswald non fossero cambiati, "lo uccideremo". Dopo che Oswald venne colpito, Grammer, che conosceva Ruby e aveva trovato la voce familiare al momento della chiamata, identificò Ruby come il chiamante.[32]
 
Ruby e la polizia di Dallas
 
Quando Ruby ha sparato a Oswald domenica 24 novembre, non era la prima volta che gli era stato permesso di entrare nella stazione di polizia di Dallas. Conosceva tutti i poliziotti della città, ed era quasi altrettanto di casa nella stazione di polizia di quanto non lo fossero i poliziotti nel suo strip club Carousel. "Sono sempre stato molto vicino al dipartimento di polizia, non so perché", ha detto alla Commissione Warren. Più plausibilmente, essere in rapporti amichevoli con i poliziotti di Dallas era il suo incarico speciale per conto della mafia, ed è certamente il motivo per cui è stato scelto per mettere a tacere Oswald: poche persone avrebbero avuto altrettanta facilità di accesso alla stazione di polizia di Dallas.
 
Ruby ha trascorso molto tempo lì, da venerdì 22 a domenica 23, facendo diversi tentativi di entrare nella stanza 317 al terzo piano, dove Oswald veniva interrogato. Venerdì sera presto, il giorno in cui Kennedy fu assassinato e Oswald arrestato,
 
poco prima delle 19:00, John Rutledge, un giornalista veterano di cronaca nera del Dallas Morning News, vide Jack Ruby, che riconobbe facilmente di vista, uscire da un ascensore al terzo piano. / Ruby era tra due uomini che portavano credenziali che li identificavano come giornalisti di fuori città. I tre passarono rapidamente davanti a un agente di polizia che stazionava davanti agli ascensori per tenere lontani tutti coloro che non avessero incarichi ufficiali. Ruby era curvo, scriveva qualcosa su un pezzo di carta e poi lo mostrava a uno dei giornalisti mentre si dirigevano verso la stanza 317, dove Oswald veniva interrogato dal capitano Fritz e da altri. … Una guardia dello FBI era di guardia per impedire ai giornalisti di entrare e usare i telefoni, ma Ruby non ebbe problemi ad entrare. Conosceva la guardia. Ruby entrò e strinse la mano a Eberhardt, che gli chiese cosa stesse facendo. Ruby aveva carta per appunti in mano e disse che faceva da traduttore per la stampa estera.[33]
 
Ecco le parole esatte della deposizione del detective August M. Eberhardt alla Commissione Warren (online qui):
 
Il signor EBERHARDT. È entrato e mi ha salutato, mi ha stretto la mano. Gli ho chiesto cosa stesse facendo. Mi disse che era un traduttore per i giornali. Certo, sapevo che conosceva l’yiddish. Aveva un quaderno in mano...
 
Signor GRIFFINO. Sapete se c'erano giornalisti israeliani o yiddish—
 
Il signor EBERHARDT. C'era un gruppo di loro che correva lì intorno parlando quella lingua sconosciuta. Non so cosa stessero dicendo.
 
Peccato che questi giornalisti di lingua yiddish non siano mai stati rintracciati e identificati. Anche Victor R. Robertson Jr., un giornalista della radio e della TV WFAA di Dallas che conosceva Ruby, ha testimoniato di averlo visto nella stazione di polizia, mentre tentava di entrare nella stanza 317, quando Oswald era lì. Nonostante queste testimonianze, la Commissione ha negato che Ruby sia mai stato al terzo piano venerdì sera.
 
Più tardi quello stesso giorno, dopo una breve visita alla sinagoga, Ruby comprò una dozzina di panini con carne in scatola e "telefonò al detective della Omicidi Richard M. Sims, offrendosi di portargli qualcosa da mangiare gratis, direttamente in ufficio. Sims lo ringraziò ma disse che la giornata di lavoro era finita e che non avrebbero avuto bisogno di niente da mangiare. Ruby trovò comunque un altro motivo per andare e, verso le 23:30, uscì di nuovo dall'ascensore al terzo piano.[34] A mezzanotte, Ruby si recò alla conferenza stampa nella sala riunioni della polizia nel seminterrato, quando Oswald venne mostrato alla stampa. Il rapporto della Commissione Warren ammette la presenza di Ruby, ma lo considera come uno spettatore casuale. "Da nessuna parte nel suo rapporto di 888 pagine, la Commissione ha inserito l'ammissione fatta da Ruby all'FBI, un mese dopo il crimine, di avere avuto una pistola carica nella tasca destra durante la conferenza stampa alla presenza di Oswald in sala riunioni». Ruby non poteva avvicinarsi abbastanza a Oswald da sparargli, dato che la stanza era piena di giornalisti e fotografi.[35]
 
Sabato 23, Ruby portò i panini ai giornalisti nella sala stampa della polizia; “Testimoni esterni affidabili hanno riferito di aver visto Ruby o di aver parlato con lui a intervalli durante il sabato pomeriggio, testimoni come Jeremiah A. O'Leary Jr. di The Washington Star e Thayer Waldo, un giornalista di The Fort Worth Star-Telegram. Eppure, osserva Kantor,
 
la Commissione Warren ha affermato di non poter raggiungere "nessuna conclusione definitiva sul fatto che Ruby abbia visitato o meno il dipartimento di polizia di Dallas sabato" perché "nessun agente di polizia ha segnalato la presenza di Ruby quel giorno" e perché "Ruby non ha menzionato tale visita". / In altre parole, la Commissione Warren ha deciso che non c'era stata connivenza tra gli agenti di polizia di Dallas e Jack Ruby, perché nessuno di loro l’aveva denunciata in quel momento.[36]
 
Domenica mattina si organizzò il trasferimento di Oswald al carcere della contea. Poco dopo le 10:30, ipotizza Kantor, “è stata fatta una telefonata al numero - non presente nell’elenco - dell’appartamento di Ruby; è stato detto a Ruby da che parte avrebbe potuto entrare nella stazione di polizia e che il furgone col quale Oswald sarebbe stato trasferito era in viaggio.[37] Ruby si è recato dapprima in una agenzia della Western Union nell'isolato vicino, ed è giunto appena in tempo per vedere Oswald in procinto di essere trasferito. Questa tempistica ristretta è stata addotta come prova che non c'era premeditazione e quindi nessuna cospirazione. Ma Kantor teorizza che proprio l'ingresso di Ruby all’interno della stazione di polizia attraverso la scala pubblica che portava nel seminterrato della prigione "potrebbe essere stato il segnale che ha dato il via all’operazione", e produce prove plausibili che sia andata proprio così.[38] Il modo in cui Ruby è entrato nella stazione non è stato chiarito, ma il comitato della Camera ha affermato nel 1979 che "c’erano meno probabilità che Ruby fosse entrato nella stazione di polizia senza l’aiuto di qualcuno".[39]
 
Jack Ruby dopo la sua udienza preliminare nel febbraio 1964
 
 
La connessione Johnson-Ruby
 
Oltre a Ruby, sappiamo di un’altra persona che ha fatto qualcosa per assicurarsi che Oswald fosse messo a tacere per sempre. Siccome Ruby potè sparare solo un proiettile - disse che aveva progettato di spararne tre -, Oswald era ancora vivo quando arrivò al Dallas Parkland Hospital. Il dottor Charles Crenshaw ricorda nel suo libro JFK, Conspiracy of Silence (1992) che, mentre operava Oswald con altri chirurghi, notò che uno sconosciuto somigliante ad Oliver Hardy, con una pistola nella tasca posteriore, era entrato nella sala operatoria. Pochi minuti dopo, fu avvertito di una telefonata urgente, e si allontanò dalla sala operatoria per rispondere. La chiamata proveniva dal nuovo presidente che aveva appena prestato giuramento, Lyndon Johnson, che per prima cosa gli chiese "Dr. Crenshaw, come sta il sospetto omicida?» Crenshaw rispose: “Signor Presidente, al momento se la sta cavando". Allora Johnson disse con fermezza: “Dr. Crenshaw, voglio una confessione in punto di morte del sospetto omicida. C'è un uomo in sala operatoria che prenderà la dichiarazione. Mi aspetto piena collaborazione su questo". Il dottor Crenshaw rispose "Sì, signore" e riattaccò. Trent'anni dopo, commenta: “Mentre ero lì in uno stato di incredulità, la mia mente correva. Primo, 'confessione in punto di morte' implica che qualcuno sta per morire. Se Oswald non fosse morto sul tavolo operatorio, "Oliver Hardy" o qualcun altro lo avrebbe ucciso?" Dal momento che il dottor Crenshaw aveva appena detto a Johnson che Oswald "se la stava cavando", parlare di "confessione in punto di morte" suonava come un ordine implicito che Oswald non doveva lasciare vivo la sala operatoria. Sembrava davvero che Johnson volesse che il lavoro di Ruby fosse completato. Pochi istanti dopo il rientro del dottor Crenshaw in sala operatoria, il battito del cuore di Oswald si fermò: "Oliver Hardy" era scomparso e nessuno lo ha mai più rivisto. “Quanto accaduto”, ha scritto Crenshaw, “sembrava privo di logica. Non si capiva perché il presidente degli Stati Uniti avrebbe dovuto interessarsi personalmente delle indagini sull'assassinio, o perché avrebbe dovuto esautorare le autorità del Texas". [40]
 
Ci sono molte prove del ruolo centrale svolto da Johnson nell'assassinio di Kennedy. E si dà il caso che Jack Ruby lo abbia direttamente indicato come la mente dell’operazione. Alla fine di una breve conferenza stampa filmata nella prigione della contea di Dallas nel marzo 1965, Ruby disse: "Quando ho parlato di Adlai Stevenson, se fosse stato lui il vicepresidente, non ci sarebbe mai stato l'assassinio del nostro amato presidente Kennedy". Quando gli fu chiesto di spiegare cosa intendesse, Ruby continuò: "Beh, la risposta è il vicepresidente".[41]
 
Come poteva Ruby sapere della colpevolezza di Johnson? L'ex agente di Nixon, Roger Stone, afferma che, in sua presenza, Nixon ha riconosciuto Ruby come uno dei "ragazzi di Johnson".[42] Non mi fido di questa storia; Stone avrebbe potuto inventarsela per contraddire un’altra voce che correva sui rapporti di Ruby con Nixon, fondata su un falso memo dell'FBI del 1947 che affermava che "un certo Jack Rubenstein di Chicago […] sta svolgendo funzioni informative per lo staff del membro del Congresso Richard Nixon".[43] Ma c'è un'altra cosa che collega Ruby a Johnson.
 
Nella sua testimonianza al capo della giuria Earl Warren, e agli altri componenti della Commissione il 7 giugno 1964, Ruby supplicò di avere la possibilità di parlare direttamente con Johnson, altrimenti "capiterà la cosa più tragica che possa accadere", aggiungendo che "forse qualcosa può essere salvato... se il nostro presidente, Lyndon Johnson, verrà a sapere da me la verità”.[44] La si può interpretare come una velata minaccia rivolta a Johnson. Ruby, che nel frattempo era stato condannato a morte, potrebbe aver cercato di ricordare a Johnson che il suo contratto includeva un perdono presidenziale (aveva sparato a Oswald per amore dei Kennedy, vero?). Ancora più curiosamente, Ruby accennò al fatto che, se avesse parlato, avrebbe potuto risentirne la reputazione di Israele: “Capiterà qualcosa di tragico se voi non crederete alle mie parole e non mi giustificherete in una maniera o nell’altra, così che il mio popolo non debba soffrire a causa di ciò che ho fatto". Temeva, disse, che il suo atto sarebbe stato usato "per diffondere delle falsità sul conto di qualcuno di fede ebraica". Ruby ha anche dichiarato a Warren: "Sono stato usato per uno scopo", ma nessuno nella Commissione si è preso la briga di chiedergli chi lo avesse usato e per quale scopo.[45] Tutto ciò che Ruby ottenne dalla sua confusa testimonianza fu un secondo inutile interrogatorio nell’ambito dei lavori della Commissione Warren un mese dopo (18 luglio 1964), questa volta nientemeno che da parte di Arlen "Magic Bullet" Spectre (trascrizione qui ). La frustrazione che dovette ricavarne spiega forse perché, nel marzo 1965, alla fine accusò Johnson. Poco dopo, scrisse una lettera di sedici pagine che riuscì a far uscire clandestinamente di prigione, che accusava Johnson dell'omicidio di Kennedy, definendolo "un nazista della peggiore specie".[46] Così facendo, probabilmente affrettò la propria morte, il 3 gennaio 1967.
 
Le prove contro Johnson
 
Un commentatore del mio precedente articolo su Kennedy ha sostenuto che la tesi del movente di Israele non è convincente perché il Deep State israeliano aveva altre opzioni, oltre a quella di uccidere Kennedy, per poter proseguire il suo progetto Dimona. Ho risposto che raramente il movente di un assassino è quello di non avere altra scelta, e che di solito è quello di prospettarsi importanti vantaggi da quella uccisione. Ho anche osservato che, chiunque siano stati gli assassini, il loro scopo non era ovviamente solo quello di sbarazzarsi di Kennedy, ma anche quello di fargli succedere Johnson alla presidenza. E bisognava farlo in fretta, perché i Kennedy erano impegnati a distruggere la reputazione di Johnson e presto lo avrebbero sostituito alla vicepresidenza. Secondo Horace Busby, collaboratore di lunga data di LBJ e autore di The Thirty-First of March (2005), Johnson aveva scoperto che, all'inizio di novembre 1963, Robert Kennedy aveva inviato una squadra di giornalisti nazionali in Texas per distruggerlo completamente. "Siamo qui per fare un lavoro su Lyndon Johnson", confidò uno dei giornalisti a un avvocato che credeva erroneamente essere un nemico di Johnson. "Quando avremo finito con quel figlio di puttana, Kennedy non potrà più avere niente a che fare con lui nel 1964" [47] (citato in questo articolo di Robert Morrow, che ha scritto molto su Johnson e la sua "psicopatia omicida"). Richard Nixon, che si trovava a Dallas il giorno prima di Kennedy, fece trapelare questa voce al Dallas Morning News, che ne scrisse il 22 novembre col titolo “Nixon predice che in maggio JFK silurerà Johnson.” Invece, Johnson divenne presidente proprio quel giorno (e Nixon sapeva che c'era dietro la manina di Johnson).[48]
 
 
Quindi, dal momento che l'assassinio di Kennedy era un colpo di Stato per mettere Johnson alla presidenza - che altro, sennò? - non c'era tempo da perdere: doveva essere fatto prima che iniziasse la nuova campagna elettorale e che trapelasse la notizia della sostituzione alla vicepresidenza (la previsione di Nixon è stata la prima e l'ultima). Se ora vogliamo conoscere il motivo del colpo di Stato, dobbiamo solo chiederci: quale importante cambiamento è avvenuto nella politica degli Stati Uniti con Johnson? Il cambiamento non era visibile al pubblico statunitense dell’epoca, ma adesso è assolutamente vibile, almeno ai lettori della stampa ebraica e israeliana. "Lyndon Johnson: Israele non ha mai avuto un amico migliore", titolava Haaretz il 9 maggio 2018.
 
"Gli storici generalmente considerano Johnson come il presidente più costantemente amichevole con Israele", ci viene detto dall'Agenzia Telegrafica Ebraica .
 
Johnson è stato il primo presidente a invitare un primo ministro israeliano, Levi Eshkol, in visita di Stato. Andavano così d'accordo - entrambi gli uomini erano agricoltori - che Johnson fece a Eshkol il raro onore di invitarlo nel suo ranch.
 
LBJ pose subito fine alle pressioni su Israele affinché dicesse la verità sul reattore di Dimona. Aumentò le vendite di armi a Israele e, nel 1968, dopo che il principale fornitore di Israele, la Francia, aveva imposto un embargo per migliorare le relazioni col mondo arabo, gli Stati Uniti divennero il principale fornitore di armi di Israele, avviando in particolare i colloqui che avrebbero portato alla vendita di caccia Phantom a Israele.
 
Johnson voleva impegnarsi maggiormente per la causa di Israele in vista della guerra dei sei giorni del 1967, ma si sentiva limitato dalla drammatica dimostrazione di impotenza militare fornita dai fallimenti della guerra nel Vietnam che gettavano ombre sulla sua presidenza. Ordinò comunque alle navi da guerra di raggiungere le 50 miglia dalla costa siriana, come un avvertimento rivolto ai Sovietici perché non intervenissero.
 
In un discorso all'indomani della guerra, Johnson escluse nettamente qualsiasi possibilità che gli Stati Uniti esercitassero pressioni su Israele perché restituisse i territori che aveva occupato. Non solo fu lui a patrocinare la formula "terra in cambio di pace" che sarebbe stata recepita dalle successive risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU, ma chiarì che qualsiasi ipotesi di pace avrebbe dovuto garantire il libero accesso degli ebrei alla Città Vecchia di Gerusalemme.
 
È un bene che Johnson venga elogiato dalla stampa israeliana come il presidente degli Stati Uniti che "ha fermamente orientato la politica statunitense in senso filo-israeliano", perché, d'altra parte, anche il suo ruolo cruciale nel golpe di Dallas sta diventando mainstream, attenzione ! Come dimostra il numero del 2 dicembre 2019 del National Enquirer. Chiunque potrà fare uno più uno, e anche trarre delle conclusioni logiche.
 
 
Guarda il film di Laurent Guyénot "Israele e l'assassinio dei fratelli Kennedy" e condividilo:
 
https://www.youtube.com/watch?v=a_kh5tb7PtA
 
 
 
 
Leggi anche:
 
L'assassinio di Robert Kennedy e la falsa pista palestinese
 
Pravda statunitense: Gli omicidi del Mossad - parte prima
 
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Quindici anni prima di Kennedy, i sionisti ammazzavano Forrestal
 
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L'assassinio di JF Kennedy e la bomba atomica israeliana
 
57 anni fa l'assassinio di John F: Kennedy
 
 
Note:
 
[1] Seth Kantor, The Ruby Cover-Up, Zebra Books , 1980, p. 49.
 
[2] Steve North, “Lee Harvey Oswald’s Killer ‘Jack Ruby’ Came From Strong Jewish Background,” The Forward, 17 novembre 2013, in forward.com
[3] William Kunstler, My Life as a Radical Lawyer, Carol Publishing, 1994, p. 158.
 
[4] James Douglass, JFK and the Unspeakable: Why He Died and Why It Matters, Touchstone, 2008, p. 357.
 
[5] Douglass, JFK and the Unspeakable, p. 47; Sheriff’s Office report on mcadams.posc.mu.edu/death2.txt
 
[6] Jim Marrs, Crossfire: The Plot that Killed Kennedy, Carroll and Graf, 1989, p. 285.
 
[7] Douglass, JFK and the Unspeakable, pp. 169-171.
 
[8] In https://mcadams.posc.mu.edu/russ/testimony/paine_r3.htm
 
[9] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 48.
 
[10] https://en.wikipedia.org/wiki/Jack_Ruby#Ruby’s_motive
 
[11] Gaeton Fonzi, The Last Investigation: A Former Federal Investigator Reveals the Man Behind the Conspiracy to Kill JFK, 1993, Skyhorse, 2013, p. 405–76.
 
[12] Michael Collins Piper, Final Judgment: The Missing Link in the JFK Assassination Conspiracy, American Free Press, 6th ed. 2005, p. 239.
 
[13] Hank Messick, Lansky, Putnam’s Sons, 1971, p. 9.
 
[14] Michael Collins Piper, Final Judgment, p. 222.
 
[15] Gary Wean, There’s a Fish in the Courthouse, Casitas Books, 1987, p. 681, quoted by Piper, Final Judgment, op. cit., p. 219-27, 232-7.
 
[16] Michael Collins Piper, Final Judgment, p. 224.
 
[17] Read Ricky-Dale Calhoun, “Arming David: The Haganah’s illegal arms procurement network in the United States 1945-1949,” Journal of Palestine Studies Vol. XXXVI, No. 4 (Summer 2007), pp. 22–32, online qui.
 
[18] Robert Rockaway, “Gangsters for Zion. Yom Ha’atzmaut: How Jewish mobsters helped Israel gain its independence”, 19 aprile 2018, in tabletmag.com
 
[19] Robert Rockaway, “Gangsters for Zion,” in tabletmag.com
 
[20] Alan J. Weberman and Michael Canfield, Coup d’État in America: The CIA and the Assassination of John F. Kennedy, Quick American Archives, 1975, pp. 151-180 (p. 178). Michael Piper fa cenno del fatto poco noto ( Final Judgment, p. 232), rivelato dal ricercatore di JFK Alan J. Weberman, che Ruby si sia recato in Israele nel 1955, ma il link al sito Web di Weberman è adesso inattivo, e ritengo Weberman una fonte molto inaffidabile
 
[21] Bernard Fensterwald, in Coincidence or Conspiracy (quoted by Piper, Final Judgment, pp. 228-229).
 
[22] Richard Gildbride, Matrix for Assassination: the JFK Conspiracy, Trafford, 2009.
 
[23] Kantor, The Ruby Cover-Up, pp. 255-256.
 
[24] Kantor, The Ruby Cover-Up, pp. 259-264.
 
[25] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 402.
 
[26] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 53.
 
[27] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 48.
 
[28] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 104.
 
[29] Kantor, The Ruby Cover-Up, pp. 56-59.
 
[30] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 91.
 
[31] John Hughes-Wilson, JFK-An American Coup d’État: The Truth Behind the Kennedy Assassination, John Blake, 2014.
 
[32] Menzionato in questo commento.
 
[33] Kantor, The Ruby Cover-Up, pp. 96-97.
 
[34] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 98.
 
[35] Kantor, The Ruby Cover-Up, pp. 100-101.
 
[36] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 116.
 
[37] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 132.
 
[38] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 141.
 
[39] Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 409.
 
[40] Charles A. Crenshaw, JFK, Conspiracy of Silence, Signet, 1992, pp. 185-189, 5, and
 
[41] Questa sequenza può essere vista nel documentario del 1988 “The day the dream died” al minuto 38:20; per ulteriori informazioni sulle dichiarazioni di Ruby su Johnson e sugli ebrei, controlla questa pagina web 
 
[42] Patrick Howley, “Why Jack Ruby was probably part of the Kennedy conspiracy,” The Daily Caller, March 14, 2014, in dailycaller.com
 
[43] Copia su www.jfkmurdersolved.com/nixonruby.htm. La contraffazione è provata da diverse incongruenze: in primo luogo, Nixon nel 1947 era un semplice assistente legale, e iniziò a sostenere l’accusa contro Alger Hiss (l'unico riferimento possibile per questo memo) solo l'anno successivo. In secondo luogo, si fa riferimento a "Jack Rubenstein" che viveva a Chicago nel novembre del 1947, quando Ruby in realtà a quell’epoca aveva già cambiato nome e si era trasferito a Dallas. Infine, il documento riporta un codice postale, quando all'epoca non esisteva ancora.
 
[44] Leggi la deposizione di Ruby qui.
 
[45] Seth Kantor, The Ruby Cover-Up, p. 49.
 
[46] Phillip Nelson, LBJ: The Mastermind of JFK’s Assassination, pp. 604-607.
 
[47] Horace Busby, The Thirty-First of March: An intimate portrait of Lyndon Johnson’s final days in office, Farrar, Straus and Giroux, 2005, pp. 129-130.
 
[48] “Nixon jokes about LBJ killing JFK,” in YouTube.

 

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