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ProfileLe schede di ossin, 19 novembre 2023 - Il monoteismo ebraico fu un inganno fin dall'inizio. Solo quando questo imbroglio biblico verrà smascherato, Sion inizierà a perdere il suo potere simbolico. Perché è la fonte originale del legame psicopatico con cui Israele controlla il mondo...  

 

Unz Review, 8 aprile 2019 (trad.ossin)
 
Sionismo, cripto-giudaismo e imbroglio biblico
Laurent Guyénot
 
 
 
 
Papà, cos'è un neoconservatore?
 
George W. Bush, che non sapeva niente di niente, chiese una volta a suo padre nel 2003: “Cos’è un neoconservatore?”. "Vuoi dei nomi o una descrizione?" rispose Bush 41 (il 41° presidente degli USA, ndt). “Descrizione”. “Bene”, disse 41, “te lo dirò in una parola: Israele”
 
Vero o meno che sia, questo colloquio citato da Andrew Cockburn [1] rende benissimo questa realtà: i neoconservatori sono cripto-israeliani. La loro vera lealtà va a Israele – Israele nel senso indicato dal loro mentore Leo Strauss nella sua conferenza del 1962 “Perché restiamo ebrei”, che include cioè anche un’indispensabile diaspora.[2]
 
Nel suo volume Cultural Insurrections, Kevin MacDonald ha accuratamente descritto il neoconservatorismo come “un complesso intreccio di reti professionali e familiari incentrata su giornalisti e organizzatori ebrei, che si impegnano in vari modi ad accrescere le simpatie sia degli ebrei che dei non ebrei, per sfruttare la ricchezza e il potere degli Stati Uniti al servizio di Israele”.[3] La prova del cripto-israelismo dei neoconservatori sta nella loro agenda di politica estera statunitense:
 
“La loro capacità di costruire interessi statunitensi che siano convergenti con quelli dell’ala destra israeliana consente loro di nascondere, o addirittura negare, la rilevanza della loro identità ebraica, e di fingersi patrioti statunitensi. […] In realtà, giacché il sionismo neoconservatore nella versione del partito Likud tende notoriamente a promuovere il conflitto tra gli Stati Uniti e l’intero mondo musulmano, le loro raccomandazioni politiche sono più espressione della loro lealtà verso il proprio gruppo etnico, che non verso gli USA”.[4]
 
 
La politica estera statunitense dei neoconservatori ha sempre coinciso con il miglior interesse di Israele, per come essi lo vedono. Prima del 1967, l'interesse di Israele si incentrava fortemente sull'immigrazione ebraica dall'Europa orientale. Dal 1967, quando Mosca bloccò l'emigrazione ebraica per protestare contro l'annessione dei territori arabi da parte di Israele, l'interesse di Israele diventò che gli Stati Uniti vincessero la Guerra Fredda. Fu allora che il comitato editoriale di Commentary, la rivista mensile dell’American Jewish Committee, avviò la conversione al “neoconservatorismo” e Commentary divenne, secondo le parole di Benjamin Balint, “la rivista controversa che trasformò la sinistra ebraica nella destra neoconservatrice”. [5] Irving Kristol spiegò all’American Jewish Congress nel 1973 perché l’attivismo contro la guerra non era più positivo per Israele: “ora è interesse degli ebrei che gli Stati Uniti abbiano una struttura militare ampia e potente. […] Gli ebrei statunitensi che hanno a cuore la sopravvivenza dello Stato di Israele devono dire: no, non vogliamo tagliare il budget militare, è importante mantenerlo elevato, in modo da poter difendere Israele”.[6] Questo ci rivela a quale “realtà” si riferiva Kristol, quando definì un neoconservatore come “un liberal che è stato aggredito dalla realtà” (Neoconservatism: the Autobiography of an Idea, 1995).
 
Con la fine della Guerra Fredda, l’interesse nazionale di Israele è cambiato ancora una volta. L'obiettivo primario divenne la distruzione dei nemici di Israele in Medio Oriente, trascinando gli Stati Uniti in una terza guerra mondiale. I neoconservatori hanno subito la loro seconda conversione, da guerrieri freddi anticomunisti a paladini dello “scontro di civiltà”, islamofobici e crociati nella “guerra al terrorismo”.
 
Nel settembre del 2001 ottennero quella “Nuova Pearl Harbor” che avevano auspicato in un rapporto del PNAC un anno prima.[7] Due dozzine di neoconservatori erano stati piazzati da Dick Cheney in posizioni chiave, tra cui Richard Perle, Paul Wolfowitz e Douglas Feith al Pentagono, David Wurmser al Dipartimento di Stato e Philip Zelikow ed Elliott Abrams al Consiglio di Sicurezza Nazionale. Abrams aveva scritto tre anni prima che gli ebrei della diaspora “devono restare distinti dalla nazione in cui vivono. È nella natura stessa dell’essere ebreo il fatto di mantenersi separato – tranne che in Israele – dal resto della popolazione”.[8] Perle, Feith e Wurmser avevano co-firmato nel 1996 un rapporto segreto israeliano intitolato A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm, esortando il primo ministro Benjamin Netanyahu a rompere con gli accordi di Oslo del 1993 e a riaffermare il diritto di prelazione di Israele sui territori arabi. Sostenevano anche il rovesciamento di Saddam Hussein come “un obiettivo strategico israeliano importante in sé”. Come ha notoriamente osservato Patrick Buchanan, la guerra in Iraq del 2003 dimostra che il piano era “stato ora imposto da Perle, Feith, Wurmser & Co. agli Stati Uniti”.[9]
 
Non è chiaro come questi artisti neoconservatori siano riusciti a costringere il Segretario di Stato Colin Powell a sottomettersi, ma, secondo la sua biografa scritta da Karen DeYoung, Powell si è mobilitato privatamente contro questo "piccolo governo separato" composto da "Wolfowitz, Libby, Feith e l'ufficio della Gestapo di Feith". [10] Il suo capo di stato maggiore, il colonnello Lawrence Wilkerson, dichiarò nel 2006 alla PBS di essere stato complice di "una truffa contro il popolo statunitense, la comunità internazionale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite"[11], e nel 2011 denunciò apertamente la doppiezza di neoconservatori come Wurmser e Feith, che considerava “membri tesserati del partito israeliano Likud”. “Mi sono spesso chiesto”, ha detto, “se la loro fedeltà principale fosse verso il loro Paese o verso Israele”. [12] Vero è che qualcosa non suona del tutto vero quando i neoconservatori dicono “noi statunitensi”, ad esempio Paul Wolfowitz che dichiara: “Dall’11 settembre, noi statunitensi abbiamo una cosa in più in comune con gli israeliani”.[13]
 
La capacità dei neoconservatori di ingannare il pubblico statunitense atteggiandosi a patrioti statunitensi piuttosto che israeliani richiedeva che la loro ebraicità fosse considerata un tabù, e Carl Bernstein, sebbene lui stesso ebreo, provocò uno scandalo citando alla televisione nazionale la responsabilità dei “neoconservatori ebrei” per la Guerra in Iraq.[14] Ma il fatto che la distruzione dell’Iraq sia stata effettuata per conto di Israele è ormai ampiamente accettato, grazie in particolare al libro del 2007 di John Mearsheimer e Stephen Walt, La Lobby israeliana e la politica estera americana. E anche i migliori bugiardi a volte si tradiscono. Philip Zelikow lasciò cadere brevemente la maschera durante una conferenza all'Università della Virginia il 10 settembre 2002:
 
“Perché l’Iraq dovrebbe attaccare gli USA o usare armi nucleari contro di noi? Vi dirò quale penso sia la vera minaccia e in realtà lo sia dal 1990: è la minaccia contro Israele. E questa è la minaccia che non osa pronunciare il suo nome, perché agli europei non importa molto di questa minaccia, ve lo dirò francamente. E il governo USA non vuole appoggiarsi troppo retoricamente su questo argomento, perché non è popolare”.[15]
 
Dal cripto-giudaismo al cripto-sionismo
 
Norman Podhoretz, redattore capo di Commentary (e suocero di Elliott Abrams), ha affermato che, dopo il giugno 1967, Israele è diventata “la religione degli ebrei statunitensi”.[16] Questo è, almeno, l’obiettivo per il quale lui ha iniziato a lavorare. Ma, naturalmente, tale religione sarebbe meglio non venga troppo pubblicizzata al di fuori della comunità ebraica e, se possibile, che resti addirittura segreta e mascherata da patriottismo statunitense. I neoconservatori hanno perfezionato questo falso patriottismo statunitense, tutto a vantaggio di Israele e, in definitiva, disastroso per gli statunitensi: uno pseudo-statunitentismo che in realtà è un cripto-israelismo o cripto-sionismo.
 
Questo cripto-sionismo quasi religioso è paragonabile al cripto-giudaismo che ha svolto un ruolo determinante nella cristianità del tardo Medioevo. Dalla fine del XIV secolo, sermoni, minacce di espulsione e opportunismo fecero convertire al cattolicesimo oltre centomila ebrei in Spagna e Portogallo, molti dei quali continuarono a “giudaizzare” segretamente. Liberati dalle restrizioni imposte agli ebrei, questi “nuovi cristiani”, chiamati Conversos o Marranos, sperimentarono una fulminea ascesa socio-economica. Nelle parole dello storico del marranismo Yirmiyahu Yovel:
 
“I conversos si sono precipitati nella società cristiana e si sono infiltrati nella maggior parte dei suoi interstizi. Dopo una o due generazioni, riuscirono ad entrare nei consigli di Castiglia e Aragona, esercitando le funzioni di consiglieri e amministratori reali, comandando l'esercito e la marina e occupando tutti gli uffici ecclesiastici dal parroco al vescovo e cardinale. […] I Conversos erano preti e soldati, politici e professori, giudici e teologi, scrittori, poeti e consulenti legali – e ovviamente, come in passato, medici, contabili e mercanti di alto livello. Alcuni si allearono attraverso il matrimonio con le più grandi famiglie della nobiltà spagnola […] La loro ascesa e penetrazione nella società furono di grandezza e velocità sorprendenti.[17]
 
 
Non tutti questi Conversos erano cripto-ebrei, cioè cristiani non sinceri, ma la maggior parte rimase orgogliosamente fedele all’etnica ebraica, continuando a sposarsi tra di loro. Solomon Halevi, rabbino capo di Burgos, convertito nel 1390, prese il nome di Pablo de Santa Maria, divenne vescovo di Burgos nel 1416, e gli successe il figlio Alonso Cartagena. Sia il padre che il figlio non vedevano alcuna contraddizione tra la Torah e il Vangelo e credevano che gli ebrei fossero cristiani migliori, in quanto appartenenti al popolo eletto e alla razza del Messia.[18]
 
 
Una nuova situazione si creò dopo il Decreto dell'Alhambra (1492) che obbligò gli ebrei spagnoli a scegliere tra la conversione e l'espulsione. Quattro anni dopo, coloro che erano rimasti fedeli alla propria fede ed erano emigrati in Portogallo si trovavano di fronte alla scelta tra la conversione e la morte, senza alcuna possibilità di lasciare il Paese. A questo punto, nel Portogallo, il 12% della popolazione fu composta da cosiddetti Nuovi Cristiani, profondamente risentiti nei confronti del cattolicesimo. Essi impararono dunque e perfezionarono l'arte di condurre una doppia vita. Quando alla fine fu loro permesso di lasciare il paese e impegnarsi nel commercio internazionale nel 1507, “presto iniziarono a salire in prima linea nel commercio internazionale, monopolizzando virtualmente il mercato di alcune materie prime, come lo zucchero, partecipando in misura minore al commercio di spezie, legni rari, tè, caffè e trasporto di schiavi.[19] Quando nel 1540, il nuovo re portoghese introdusse l'Inquisizione seguendo il modello spagnolo, rintracciando i giudaizzanti portoghesi in tutta Europa e persino nel Nuovo Mondo, i marrani accrebbero il loro risentimento nei confronti della fede cattolica, alla quale dovevano fingere fedeltà, e si circondarono di segretezza. Avrebbero svolto un ruolo importante nel movimento calvinista o puritano che, dopo aver minato la dominazione spagnola nei Paesi Bassi, conquistò l'Inghilterra e infine costituì il fondamento religioso degli Stati Uniti.
 
I monarchi cattolici sono responsabili di aver arruolato con la forza nella cristianità un esercito di nemici che avrebbe contribuito in gran parte alla rovina dell’impero cattolico. Nel complesso, la Chiesa romana ha fatto molto per promuovere la cultura ebraica del criptismo. Tuttavia, non tutto si spiega con la segregazione e le conversioni forzate. I cripto-ebrei avevano dalla loro anche la Bibbia ebraica, in cui si legge:
 
“Rebecca prese i vestiti migliori di suo figlio maggiore Esaù che aveva in casa, e con essi vestì suo figlio minore Giacobbe. […] Giacobbe disse a suo padre: 'Io sono Esaù, il tuo primogenito'” (Genesi 27:15–19).
 
Se Giacobbe aveva derubato suo fratello Esaù del suo diritto di primogenitura prendendone le sembianze, perché essi non avrebbero dovuto fare lo stesso (Giacobbe essendo, ovviamente, Israele, ed Esaù o Edom essendo nomi in codice per indicare la Chiesa cattolica tra gli ebrei medievali)? I cripto-ebrei trovarono conforto e giustificazione anche nella figura biblica di Ester, l'ebrea clandestina che, giacendo col re persiano, lo influenzò in modo favorevole verso il suo popolo. Per generazioni, i marrani spagnoli e portoghesi hanno pregato “santa Ester”.[20] Ciò è significativo perché la leggenda di Ester è una pietra miliare della cultura ebraica: ogni anno gli ebrei ne celebrano il lieto fine (il massacro di 75.000 persiani da parte degli ebrei) con la festa di Purim.[21] Un altro fattore da considerare è la preghiera rituale di Kol Nidre recitata prima dello Yom Kippur almeno a partire dal XII secolo, con la quale gli ebrei si assolvevano in anticipo da “tutti i voti, obblighi, giuramenti o anatemi, impegni di tutti i tipi”, compreso, ovviamente, il battesimo .
 
I marrani e i loro discendenti hanno avuto un'influenza profonda e duratura nella storia economica, culturale e politica del mondo, e la loro cultura della criptica è sopravvissuta all'Inquisizione. Un esempio calzante è la famiglia di Benjamin Disraeli, primo ministro della regina Vittoria dal 1868 al 1869, e ancora dal 1874 al 1880, che si definì “anglicano di razza ebraica”.[22] Suo nonno era nato da marrani portoghesi convertitisi di nuovo al giudaismo a Venezia, e si era trasferito a Londra nel 1748. Il padre di Benjamin, Isaac Disraeli, scrisse un libro su Il genio dell'ebraismo, ma fece battezzare tutta la sua famiglia quando Benjamin aveva tredici anni, perché all’epoca, in Inghilterra, le carriere amministrative erano precluse agli ebrei.
 
Benjamin Disraeli è stato definito il vero inventore dell'imperialismo britannico, per aver fatto proclamare la regina Vittoria imperatrice delle Indie nel 1876. Egli orchestrò la conquista britannica del Canale di Suez nel 1875, grazie al finanziamento del suo amico Lionel Rothschild (un'operazione che consolidò anche il controllo dei Rothschild sulla Banca d'Inghilterra). Ma Disraeli può anche essere considerato uno dei principali precursori del sionismo; ben prima di Theodor Herzl, cercò infatti di introdurre la “ricostruzione di Israele” nell’agenda del Congresso di Berlino, sperando di convincere il sultano ottomano a concedere la Palestina come provincia autonoma.
 
Cosa ha motivato Disraeli nel promuovere una politica estera imperiale britannica? Credeva nel destino della Gran Bretagna di controllare il Medio Oriente? Oppure vedeva nell'impero britannico lo strumento per realizzare il destino di Israele? Ancorando il Canale di Suez agli interessi britannici, cercava semplicemente di fare concorrenza ai Francesi, oppure stava gettando le basi per la futura alleanza tra Israele e l’impero anglo-statunitense? Nessuno può rispondere con certezza a queste domande. Ma i contemporanei di Disraeli ci riflettevano. William Gladstone, suo rivale di lunga data per la carica di primo ministro, lo accusò di “tenere la politica estera britannica in ostaggio delle sue simpatie ebraiche”.[23] Vediamo quindi che la lealtà dei neoconservatori verso Israele e il loro controllo sulla politica estera dell’Impero non sono una questione nuova. Il caso di Disraeli evidenzia l’eredità tra il cripto-giudaismo premoderno e il cripto-sionismo moderno.
 
La dialettica tra nazione e religione
 
Nella sua prospettiva darwiniana, Kevin MacDonald vede il cripto-giudaismo come “un autentico caso di criptica del tutto analogo ai casi di camuffamento mimetico nel mondo naturale”.[24] Ma lo stesso giudaismo, nella sua forma moderna, rientra nella stessa categoria, secondo MacDonald. Nel XVIII secolo, affermando di essere adepti di una confessione religiosa, gli ebrei ottennero la piena cittadinanza nelle nazioni europee, pur rimanendo etnicamente endogamici e sospettosamente disinteressati a convertire chicchessia. Gilad Atzmon sottolinea che il motto dell’Haskalah, “Sii un ebreo in casa e un uomo per la strada” è fondamentalmente disonesto:
 
“L’ebreo Haskalah inganna il suo Dio quando è a casa e inganna i goy una volta per strada. In effetti, è questa dualità di tribalismo e universalismo che è al centro stesso dell’identità ebraica secolare collettiva. Questa dualità non è mai stata adeguatamente risolta”.[25]
 
Il sionismo era un tentativo di risolverlo. Moses Hess scrisse nel suo influente libro Roma e Gerusalemme (1862):
 
"Quelli dei nostri fratelli che, allo scopo di ottenere l'emancipazione, cercano di persuadere se stessi, così come gli altri, che gli ebrei moderni non possiedono alcuna traccia di sentimento nazionale, hanno davvero perso la testa."
 
Per lui, un ebreo è ebreo “in virtù della sua origine razziale, anche se i suoi antenati potrebbero essere diventati apostati”.[26] Rivolgendosi ai suoi compagni ebrei, Hess difese il carattere nazionale del giudaismo e denunciò le "belle frasi sull'umanità e l'illuminismo" usate dall'ebreo assimilazionista come un velo per nascondere il suo tradimento.[27]
 
In cambio, il giudaismo riformato si oppose alla versione nazionalista dell’ebraicità che sarebbe diventata il sionismo. In occasione della Conferenza di Pittsburgh del 1885, i rabbini riformati statunitensi rilasciarono la seguente dichiarazione:
 
“Non ci consideriamo più una nazione, ma una comunità religiosa, e quindi non ci aspettiamo né un ritorno in Palestina, né il ripristino del culto sacrificale sotto i Figli di Aronne, o di qualsiasi legge riguardante lo Stato ebraico”.[28]
 
Eppure l’ebraismo riformato promosse una teoria messianica che continuava ad attribuire un ruolo elevato a Israele come popolo, nazione o razza eletta. Il rabbino tedesco-statunitense Kaufmann Kohler, una stella della Conferenza di Pittsburgh, nella sua Teologia ebraica (1918) riciclò il mito della speranza messianica nella “credenza che Israele, il Messia sofferente dei secoli, alla fine dei giorni diventerà il Messia trionfante delle nazioni”.
 
“Israele è il campione del Signore, scelto per combattere e soffrire per i valori supremi dell’umanità, per la libertà e la giustizia, la verità e l’umanità; l'uomo della sofferenza e del dolore, il cui sangue deve fecondare il terreno con i semi della rettitudine e dell'amore per l'umanità. […] Pertanto, l’ebraismo moderno proclama con più insistenza che mai che il popolo ebraico è il Servo del Signore, il Messia sofferente delle nazioni, che ha offerto la sua vita come sacrificio espiatorio per l’umanità e ha fornito il suo sangue come cemento per edificare il regno divino della verità e della giustizia”.[29]
 
È facile riconoscere qui un'imitazione del cristianesimo: la crocifissione di Cristo (da parte degli ebrei, come dicevano i cristiani) viene trasformata in un simbolo del martirio degli ebrei (da parte dei cristiani). È interessante notare che il tema della “crocifissione degli ebrei” fu ampiamente utilizzato anche dagli ebrei sionisti laici come argomento diplomatico.
 
Ma ciò che è più importante capire è che l’ebraismo riformato ha rifiutato il nazionalismo tradizionale (la ricerca di uno Stato) solo per professare un tipo di nazionalismo superiore e metafisico. In questo modo, l’ebraismo riformato e il sionismo, pur affermando la loro reciproca incompatibilità e competendo per conquistarsi il cuore degli ebrei, si integravano perfettamente: il sionismo interpretava la retorica dei movimenti nazionalisti europei per rivendicare “una nazione come le altre” (per gli israeliani), mentre l’ebraismo riformato mirava a dare potere a una nazione come nessun'altra e senza confini (per gli israeliti). Ciò spiega perché nel 1976 i rabbini riformati statunitensi elaborarono una nuova risoluzione affermando: “Lo Stato di Israele e la Diaspora, in un dialogo fruttuoso, possono mostrare come un popolo trascende il nazionalismo pur affermandolo, stabilendo così un esempio per l’umanità”.[30] In un meraviglioso esempio di sintesi dialettica hegeliana, sia il volto religioso che quello nazionale dell’ebraismo contribuirono al risultato finale: una nazione che possiede sia un territorio nazionale che una cittadinanza internazionale, esattamente ciò che Leo Strauss aveva in mente. Ad eccezione di pochi ebrei ortodossi, la maggior parte degli ebrei oggi non vede alcuna contraddizione tra il giudaismo come religione e il sionismo come progetto nazionalista.
 
La questione se tale macchina dialettica sia stata progettata da Yahweh o dai B'nai B'rith è aperta al dibattito. Ma può essere vista come una dinamica intrinseca dell’ebraicità: le élite intellettuali ebraiche possono trovarsi divise su molte questioni, ma poiché le loro scelte sono in definitiva subordinate alla grande domanda metafisica: “È un bene per gli ebrei?”, si arriva sempre ad un punto in cui le loro opposizioni vengono risolte in un modo che rafforzi la loro posizione globale.
 
 
Se l’obiettivo è “ciò che è bene per gli ebrei”, le contraddizioni si risolvono facilmente. Gli intellettuali ebrei, ad esempio, possono essere nazionalisti etnici in Israele e multiculturalisti a favore dell’immigrazione ovunque. Un esempio di questa contraddizione fu Israel Zangwill, l'autore di successo dell'opera teatrale The Melting Pot (1908), il cui titolo è diventato una metafora della società statunitense, e il cui eroe ebreo si fa bardo dell'assimilazione attraverso i matrimoni misti: "Gli USA sono i crogiolo di Dio, il grande Crogiolo in cui tutte le razze d’Europa si fondono e si riformano”. Il paradosso è che quando scriveva queste parole, Zangwill era una figura di spicco del sionismo, cioè di un movimento che affermava l’impossibilità per gli ebrei di vivere insieme ai gentili e chiedeva che fossero separati etnicamente. (Zangwill è l’autore di un’altra famosa formula: “La Palestina è una terra senza popolo per un popolo senza terra.”)
 
Sebbene sembri contraddittorio ai non ebrei, questo doppio standard non lo è necessariamente dal punto di vista degli intellettuali ebrei. Potrebbero credere sinceramente nel loro messaggio universalistico rivolto ai goy, e allo stesso tempo credere sinceramente che gli ebrei dovrebbero rimanere un popolo separato. La logica implicita è che è positivo che gli ebrei rimangano ebrei per insegnare al resto dell’umanità ad essere universale, tollerante, antirazzista, immigrazionista e a prendersi cura delle minoranze (specialmente gli ebrei). Questa logica rientra nella “teoria della missione”, la versione secolare della teoria della “nazione messianica”: gli ebrei, che hanno inventato il monoteismo, i Dieci Comandamenti e così via, hanno l’obbligo morale di continuare a educare il resto dell’umanità. Ciò che la “missione” comporta è aperto a interpretazioni reversibili. Rabbi Daniel Gordis, in Il mondo ha bisogno degli ebrei? sostiene che “gli ebrei devono essere diversi affinché possano svolgere un ruolo quasi sovversivo nella società [ . . . ] l'obiettivo è quello di essere una "spina nel fianco" della società, rispettosa e collaborativa."[31] Ciò naturalmente tende a turbare i goy, ma è per il loro bene. È per liberarli dai loro “falsi dei” che gli ebrei sono “una forza corrosiva”, insiste anche Douglas Rushkoff, autore di Nothing Sacred: The Truth About Judaism.
 
Predicare l’universalismo ai Goyim per strada mentre si enfatizza il nazionalismo etnico in patria è il grande inganno. È l’essenza del cripto-giudaismo nella sua forma moderna del cripto-sionismo. È qualcosa di così profondamente radicato da essere diventato una sorta di istinto collettivo tra molti ebrei. Può essere osservato in molte situazioni. La seguente osservazione dello storico Daniel Lindenberg dimostra che la relazione degli internazionalisti ebrei con Israele nel 20° secolo somigliava fortemente alla relazione dei marrani con l'ebraismo in tempi premoderni:
 
“Chiunque abbia conosciuto gli ebrei comunisti, gli ex kominternisti o anche alcuni rappresentanti di spicco della generazione del 1968, saprà cosa significa cripto-ebraismo frustrato: qui ci sono uomini e donne che, in linea di principio, secondo il dogma “internazionalista”, hanno soffocato in sé ogni traccia di “particolarismo” e di “sciovinismo ebraico piccolo-borghese”, che sono nauseati dal sionismo, sostengono il nazionalismo arabo e la grande Unione Sovietica – e che tuttavia, segretamente, si rallegrano delle vittorie militari di Israele, raccontano barzellette antisovietiche e si commuovono ascoltando una canzone yiddish. E questo fino al giorno in cui, come un Leopold Trepper, potranno far emergere la loro ebraicità repressa, diventando talvolta, come i marrani di un tempo, i più intransigenti dei neofiti.[32]
 
Sion e il Nuovo Ordine Mondiale
 
Se gli ebrei possono essere alternativamente, o addirittura simultaneamente, nazionalisti (sionisti) e internazionalisti (comunisti, globalisti, ecc.), ciò accade, in ultima analisi, perché questa dualità è inerente alla natura paradossale di Israele. Non dimentichiamo che, fino alla fondazione dello “Stato ebraico”, “Israele” era una denominazione comune per la comunità ebraica internazionale, ad esempio quando il 24 marzo 1933 il British Daily Express stampò in prima pagina: “Tutto Israele in tutto il mondo è unito nel dichiarare una guerra economica e finanziaria alla Germania”.[33] Fino al 1947, la maggior parte degli ebrei statunitensi ed europei erano soddisfatti di essere “israeliti”, membri di un Israele mondiale. Vedevano il vantaggio di essere una nazione dispersa tra le nazioni. Organizzazioni ebraiche internazionali come B'nai B'rith (in ebraico “Figli dell'Alleanza”) fondata a New York nel 1843, o l'Alliance Israélite Universelle, fondata a Parigi nel 1860, non avevano alcuna pretesa sulla Palestina.
 
 
Anche dopo il 1947, la maggior parte degli ebrei statunitensi rimasero ambivalenti nei confronti del nuovo Stato di Israele, sapendo perfettamente che sostenerlo li avrebbe esposti all’accusa di doppia lealtà. Fu solo dopo la Guerra dei Sei Giorni che gli ebrei statunitensi iniziarono a sostenere Israele in modo più attivo e aperto. C'erano due ragioni per questo. In primo luogo, il controllo sionista sulla stampa era diventato tale che l’opinione pubblica statunitense era stata persuasa che Israele fosse stata la vittima e non l’aggressore nella guerra che pure le consentì di triplicare il suo territorio. In secondo luogo, dopo il 1967, lo schiacciante dispiegamento della potenza israeliana contro l’Egitto, una nazione sostenuta diplomaticamente dall’URSS, permise all’amministrazione Johnson di elevare Israele al rango di risorsa strategica nella Guerra Fredda. Norman Finkelstein spiega:
 
“Per le élite ebraiche statunitensi, la subordinazione di Israele al potere degli Stati Uniti è stata una manna dal cielo. Adesso gli ebrei erano in prima linea a difendere gli USA – anzi, la “civiltà occidentale” – contro le orde arabe retrograde. Mentre prima del 1967 Israele evocava lo spauracchio della doppia lealtà, ora è sinonimo di super-lealtà. […] Dopo la guerra del 1967, lo slancio militare di Israele poté essere celebrato perché le sue armi puntarono nella giusta direzione: contro i nemici degli USA. La sua abilità militare poteva persino facilitare l’ingresso nei santuari più interni del potere statunitense”.[34]
 
I leader israeliani, da parte loro, hanno smesso di criticare gli ebrei statunitensi per non essersi stabiliti in Israele e hanno riconosciuto la legittimità di servire Israele pur risiedendo negli Stati Uniti. In termini molto rivelatori, Benjamin Ginsberg scrive che già negli anni Cinquanta “fu raggiunto un accordo tra lo Stato ebraico in Israele e lo Stato ebraico in USA”; ma fu dopo il 1967 che il compromesso divenne un consenso, poiché gli ebrei antisionisti furono emarginati e messi a tacere.[35] Nacque così un nuovo Israele, la cui capitale non era più solo Tel Aviv ma anche New York; un Israele transatlantico, una nazione senza confini, delocalizzata. Non si trattava propriamente di una novità, ma piuttosto di un nuovo equilibrio tra due realtà inseparabili: la diaspora internazionale degli israeliti e lo Stato nazionale degli israeliani.
 
Grazie a questa potente diaspora di israeliani virtuali ora radicati a tutti i livelli di potere negli Stati Uniti, in Francia e in molte altre nazioni, Israele è davvero una nazione molto speciale. E tutti possono vedere che non ha intenzione di essere una nazione qualunque. Israele è destinato a diventare un impero. Se il sionismo è definito come il movimento per la fondazione di uno Stato ebraico in Palestina, allora ciò che vediamo all’opera oggi può essere chiamato meta-sionismo, o super-sionismo. Ma non vi è alcuna reale necessità di un termine così nuovo, poiché il sionismo, infatti, ha sempre progettato un nuovo ordine mondiale, sotto la maschera del “nazionalismo”.
 
David Ben-Gurion, il “padre della nazione”, credeva fermamente nella teoria della missione, dichiarando: “Credo nella nostra superiorità morale e intellettuale, nella nostra capacità di servire da modello per la redenzione della razza umana". [36] In una dichiarazione pubblicata sulla rivista Look il 16 gennaio 1962, predisse che nei successivi 25 anni:
 
“Tutti gli eserciti saranno aboliti e non ci saranno più guerre. A Gerusalemme, le Nazioni Unite (una vera organizzazione delle Nazioni Unite) costruiranno un Santuario dei Profeti per servire l'unione federata di tutti i continenti; questa sarà la sede del Tribunale Supremo dell’Umanità, per dirimere tutte le controversie tra i continenti federati, come profetizzato da Isaia”.[37]
 
Quella visione è stata trasmessa alla generazione successiva. Nell’ottobre del 2003, il simbolico King David Hotel ospitò un “vertice di Gerusalemme”, i cui partecipanti comprendevano tre ministri israeliani ad interim, tra cui Benjamin Netanyahu, e Richard Perle come ospite d’onore. Firmarono una dichiarazione che riconosceva “la speciale autorità di Gerusalemme di diventare un centro di unità mondiale” e professavano:
 
“Crediamo che uno degli obiettivi della rinascita divinamente ispirata di Israele sia quello di renderlo il centro della nuova unità delle nazioni, che porterà a un’era di pace e prosperità, predetta dai Profeti”.[38]
 
I sionisti e la Bibbia
 
Sia la profezia di Ben-Gurion che la Dichiarazione di Gerusalemme evidenziano il fatto che il sionismo è un progetto internazionale basato sulla Bibbia. Il fatto che il sionismo sia biblico non significa che sia religioso; per i sionisti, la Bibbia è sia una “narrativa nazionale” che un programma geopolitico piuttosto che un libro religioso (in realtà non esiste una parola che designi la “religione” nell’ebraico antico). Ben-Gurion non era religioso; non andava mai alla sinagoga e mangiava carne di maiale a colazione. Eppure era intensamente biblico. Dan Kurzman, che lo definisce “la personificazione del sogno sionista”, intitola ogni capitolo della sua biografia (Ben-Gurion, Profeta del Fuoco, 1983) con una citazione biblica. La prefazione inizia così:
 
“La vita di David Ben-Gurion è più che la storia di un uomo straordinario. È la storia di una profezia biblica, di un sogno eterno. […] Ben-Gurion era, in senso moderno, Mosè, Giosuè, Isaia, un messia che si sentiva destinato a creare uno stato ebraico esemplare, una 'luce per le nazioni' che avrebbe aiutato a redimere tutta l'umanità.
 
Per Ben-Gurion, scrive Kurzman, la rinascita di Israele nel 1948 “corrispondeva all’esodo dall’Egitto, alla conquista della terra da parte di Giosuè, alla rivolta dei Maccabei”. Lo stesso Ben-Gurion sottolineò: “Non può esserci alcuna valida conoscenza politica o militare di Israele senza una profonda conoscenza della Bibbia”.[39] Dieci giorni dopo aver dichiarato l'indipendenza di Israele, scrisse nel suo diario: "Distruggeremo la Transgiordania [Giordania], bombarderemo Amman e distruggeremo il suo esercito, e poi la Siria cadrà, e se l'Egitto continuerà ancora a combattere, bombarderemo Port Said, Alessandria e Il Cairo”. Poi aggiunse: “Questa sarà una vendetta per ciò che essi (gli Egiziani, gli Arami e gli Assiri) fecero ai nostri antenati durante i tempi biblici”.[40] Si può essere più biblici di così? 
 
Ben-Gurion non era affatto un caso speciale. La sua infatuazione per la Bibbia era condivisa da quasi tutti i leader sionisti della sua generazione e di quella successiva. Moshe Dayan, l'eroe militare della Guerra dei Sei Giorni, scrisse un libro intitolato Living with the Bible (1978) in cui giustificò biblicamente l'annessione dei territori arabi da parte di Israele. Anche Naftali Bennet, ministro israeliano dell'Istruzione, ha recentemente giustificato l'annessione della Cisgiordania richiamandosi alla Bibbia.
 
Un cristiano penserebbe che i sionisti non leggono correttamente la Bibbia. Ovviamente non la leggono attraverso i filtri rosei dei cristiani. In Isaia, ad esempio, i cristiani trovano la speranza che, un giorno, gli uomini “trasformeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci” (Isaia 2:4). Ma i sionisti iniziano giustamente dai versetti precedenti, che descrivono questi tempi messianici come una Pax Judaica, quando “tutte le nazioni” renderanno omaggio “al monte del Signore, alla casa del dio di Giacobbe”, quando “la Legge sarà imposta da Sion e la parola di Yahweh da Gerusalemme”, così che Yahweh “giudicherà tra le nazioni e farà da arbitro tra molti popoli”. Più in basso nello stesso libro si legge:
 
«A te affluiranno le ricchezze del mare, a te verranno le ricchezze delle nazioni» (60,5); “Poiché la nazione e il regno che non ti serviranno periranno, e le nazioni saranno completamente distrutte” (60:12); «Succhierai il latte delle nazioni, succhierai le ricchezze dei re» (60:16); «Ti nutrirai delle ricchezze delle nazioni, le soppianterai nella loro gloria» (61,5-6);
 
Il sionismo non può essere un movimento nazionalista come gli altri, perché è in sintonia con il destino di Israele delineato nella Bibbia: “Yahweh tuo Dio ti innalzerà più in alto di ogni altra nazione del mondo” (Deuteronomio 28:1). Solo prendendo in considerazione le radici bibliche del sionismo si può capire che il sionismo ha sempre portato con sé un’agenda imperialista nascosta. Può essere vero che Theodor Herzl e Max Nordau desiderassero sinceramente che Israele fosse “una nazione come le altre”, come spiega Gilad Atzmon.[41] Tuttavia, quando chiamarono il loro movimento “sionismo”, usarono il nome biblico di Gerusalemme, preso in prestito dalle profezie più imperialiste, e in particolare da Isaia 2:3 sopra citato.
 
Le profezie bibliche delineano il destino ultimo di Israele (meta-sionismo), mentre i libri storici, e in particolare il Libro di Giosuè, stabiliscono il modello per la prima fase (sionismo), la conquista della Palestina. Come ha scritto Avigail Abarbanel in “Perché ho lasciato il culto”, i conquistatori sionisti della Palestina “hanno seguito abbastanza da vicino il dettato biblico dato a Giosuè di entrare e prendere tutto. […] Per un movimento apparentemente non religioso è straordinario quanto il sionismo […] abbia seguito da vicino la Bibbia”.[42] In un medesimo stato d'animo, Kim Chernin scrive:
 
“Non riesco a contare il numero di volte in cui ho letto la storia di Giosuè come il racconto del nostro popolo che entra in legittimo possesso della terra promessa, senza fermarmi a dire a me stesso: 'ma questa è una storia di stupri, saccheggi, massacri, invasione e distruzione di altri popoli.” [43]
 
Non sarebbe esagerato dire “una storia di genocidio”, se si considera il trattamento riservato ai Cananei: “imposero la maledizione della distruzione su tutti nella città: uomini e donne, giovani e vecchi, compresi i buoi, le pecore e gli asini, massacrandoli tutti” (Giosuè 6:21). La città di Ai subì la stessa sorte. I suoi abitanti furono tutti trucidati, dodicimila, «finché non rimase più nessuno in vita e nessuno che fuggisse. … Quando Israele ebbe finito di uccidere tutti gli abitanti di Ai in aperta campagna e nel deserto dove li avevano inseguiti, e quando tutti furono caduti di spada, tutto Israele tornò ad Ai e massacrò la popolazione rimasta” (8:22–25). Le donne non furono risparmiate. “Israele prese come bottino soltanto il bestiame e le spoglie di questa città” (Giosuè 8:22-27). Poi venne il turno delle città di Makkeda, Libna, Lachis, Eglon, Hebron, Debir e Hazor. In tutto il paese, Giosuè «non lasciò alcun sopravvissuto e sottopose ogni essere vivente sotto la maledizione della distruzione, come il Signore, Dio d'Israele, aveva comandato» (10:40).
 
 
Gaza, novembre 2023
 
 
Certamente aiuta a comprendere il trattamento riservato da Israele ai Palestinesi sapere che il Libro di Giosuè è considerato un capitolo glorioso della narrativa nazionale di Israele. E quando i leader israeliani affermano che la loro visione del futuro globale si basa sulla Bibbia ebraica, dovremmo prenderli sul serio e studiare la Bibbia. È utile, ad esempio, essere consapevoli che Yahweh ha designato per Israele “sette nazioni più grandi e più potenti di te”, che “tu devi distruggere completamente” e “non mostrare loro alcuna misericordia”. Quanto ai loro re, «farai sparire il loro nome sotto il cielo» (Deuteronomio 7:1-2, 24). La distruzione delle "Sette Nazioni", menzionata anche in Giosuè 24:11, è considerata un mitzvah nel giudaismo rabbinico e dal grande Maimonide nel suo Libro dei Comandamenti,[44] ed è rimasto un motivo popolare nella cultura ebraica. Sapere questo aiuterà a comprendere l’agenda neoconservatrice per la Quarta Guerra Mondiale (come Norman Podhoretz chiama l’attuale conflitto globale).[45]
 
Il generale Wesley Clark, ex comandante supremo della NATO in Europa (vent'anni fa guidò l'aggressione della NATO contro la Serbia), scrisse, e lo ripeté in numerose occasioni, che un mese dopo l'11 settembre 2001, un generale del Pentagono gli mostrò un promemoria “che descriveva come avremmo eliminato sette paesi in cinque anni, iniziando dall’Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia e Sudan e finendo con l’Iran”.[46] Wesley Clark è riuscito a passare per una “gola profonda”, ma credo che appartenga piuttosto a quella che Gilad Atzmon considera l'opposizione controllata dagli ebrei, insieme ad Amy Goodman di Democracy Now che lo ha intervistato.[47] Solo nel 1999 ha rivelato di essere figlio di Benjamin Jacob Kanne e fiero discendente di una stirpe di rabbini Kohen. È difficile credere che non abbia mai sentito parlare delle “sette nazioni” della Bibbia. Clark è un cripto-sionista che cerca di scrivere la storia in termini biblici, mentre incolpa di queste guerre i guerrafondai del Pentagono WASP? 
 
È interessante notare che nel suo discorso del 20 settembre 2001, il presidente Bush ha citato anche sette “Stati canaglia” per il loro sostegno al terrorismo globale, ma nella sua lista Cuba e Corea del Nord hanno sostituito Libano e Somalia. Ciò è stato perché una parte dell'entourage di Bush aveva rifiutato di includere il Libano e la Somalia, mentre i suoi dirigenti neoconservatori insistevano nel mantenere il numero sette per il suo valore simbolico? Qualunque sia la spiegazione, sospetto che l’importanza di prendere di mira esattamente “sette nazioni” dopo l’11 settembre derivi dalla stessa ossessione biblica della necessità di far impiccare dieci nazisti il giorno di Purim del 1946 per eguagliare i dieci figli di Haman impiccati nel Libro di Ester. Proprio come il rabbino Bernhard Rosenberg può ora meravigliarsi di quanto profetico sia il Libro di Ester,[48] l'idea è quella di “far capire”, tra qualche decennio, che la Quarta Guerra Mondiale ha adempiuto agli ordini del capitolo 7 di Deuteronomio: la distruzione delle sette nazioni nemiche di Israele. I sionisti cristiani andranno in estasi e loderanno “il Signore” (come la loro Bibbia traduce YHWH). Naturalmente, la realizzazione delle profezie non è sempre facile: Isaia 17:1, “Ecco, Damasco presto cesserà di essere una città, diventerà un mucchio di rovine”, profezia non ancora del tutto compiuta.
 
L'imbroglio di Salomone
 
Credo che Gilad Atzmon centri un punto molto importante quando sottolinea:
 
“Israele si definisce come lo Stato ebraico. Per comprendere Israele, la sua politica, le sue politiche e la natura invadente della sua lobby, dobbiamo comprendere la natura dell’ebraicità."
 
E credo che l’ebraicità sia, in sostanza, l’ideologia del Tanakh. Non esisteva ebraicità prima del Tanakh, e il Tanakh è l’unica radice ultima che collega tutte le espressioni dell’ebraicità, siano esse religiose o secolari, per quello che vale questa distinzione. L’ebraicità semplicemente appassirebbe senza il Tanakh.
 
Il sionismo è un’espressione dell’ebraicità. Come abbiamo visto, è intrinsecamente imperialista perché è biblico. Ora sosterrò che è anche intrinsecamente ingannevole perché è biblico. Ci sono due aspetti nella natura ingannevole del Tanakh: storico e metafisico. Per capirli, dobbiamo conoscere il contesto della sua composizione. 
 
La maggior parte del Tanakh, compresi i libri storici, fu curata durante il periodo dell'esilio e raggiunse la sua forma quasi definitiva dopo che Babilonia cadde sotto il dominio persiano nel 539 a.C. Questa tesi, avanzata per la prima volta da Baruch Spinoza nel 1670,[49] ha sempre incontrato una forte opposizione da parte del mondo cristiano, ma fu accettata dal grande storico delle civiltà britannico Arnold J. Toynbee [50], e ora sta guadagnando terreno.[51] Gli esuli della Giudea, dopo aver aiutato i Persiani a conquistare Babilonia, furono ricompensati con alte cariche presso la corte persiana, e ottennero il diritto di ritornare a Gerusalemme e instaurare un governo subordinato alla Persia. Il modo in cui questi leviti giudeo-babilonesi manovrarono la politica imperiale dei persiani a sostegno del loro progetto teocratico per la Palestina è sconosciuto, ma possiamo immaginarlo simile al modo in cui i sionisti hanno dirottato la politica estera dell'impero anglo-statunitense in tempi recenti; l'editto di Ciro il Grande presentato all'inizio del Libro di Esdra è paragonabile alla Dichiarazione Balfour. Nel 458 a.C., ottant'anni dopo il ritorno dei primi esiliati, Esdra, fiero discendente di una stirpe di sacerdoti aaroniti, andò da Babilonia a Gerusalemme, incaricato dal re di Persia e accompagnato da circa 1.500 seguaci. Ben presto fu raggiunto da Neemia, un funzionario di corte persiano di origine giudea. In qualità di “Segretario della Legge”, Esdra portò con sé la Torah appena redatta, e Spinoza suggerì plausibilmente che fosse il capo della scuola degli scribi che aveva compilato e curato la maggior parte del Tanakh.
 
La storia di Israele e della Giudea che abbiamo oggi è stata scritta come giustificazione per quell’impresa proto-sionista, che implicava l’usurpazione del nome e dell’eredità dell’antico regno di Israele da parte dei Giudei. Naturalmente, non tutto nei libri storici è pura invenzione: sono stati utilizzati materiali antichi, ma la narrazione principale che li aggrega è costruita su un costrutto ideologico post-esilico. Il pezzo centrale di quella narrazione è il glorioso regno di Salomone, che si estende dall'Eufrate al Nilo (1 Re 5:1), con il suo magnifico tempio e il suo sontuoso palazzo reale a Gerusalemme (descritto in dettaglio in 1 Re 5-8). Salomone aveva “settecento mogli di rango reale e trecento concubine” (11:3) e “riceveva doni da tutti i re del mondo, che avevano udito della sua saggezza” (5:14). Oggi sappiamo che il regno di Salomone è una totale invenzione, un passato mitico proiettato come immagine speculare di un futuro desiderato, una giustificazione fittizia per la profezia della sua “restaurazione”. Anche l’idea che Gerusalemme, situata in Giudea, un tempo fosse la capitale di Israele è palesemente falsa: Israele non ha mai avuto altra capitale oltre a Samaria. L’archeologia del Novecento ha definitivamente smascherato l’errore: di Salomone e del suo “regno unito” non c’è alcuna traccia.[52]
 
La truffa risulta abbastanza evidente dal modo in cui gli autori dei Libri dei Re, consapevoli dell'assoluta infondatezza del loro racconto, lo sostengono con la grottesca testimonianza di una regina di Saba del tutto spuria:
 
“Le voci che sono giunte al mio paese sulla tua saggezza nel gestire i tuoi affari erano dunque vere! Fino a quando non sono venuta a vedere di persona, non credevo ai racconti, ma ora capisco che mi è stato detto meno della metà: in saggezza e prosperità, superi ciò che mi è stato riferito. Quanto sono fortunate le tue mogli! Quanto sono fortunati questi tuoi cortigiani, che sono continuamente al tuo servizio e ascoltano la tua saggezza! Benedetto sia il Signore, tuo Dio, che ti ha mostrato il suo favore ponendoti sul trono d'Israele! A causa dell'eterno amore di Yahweh per Israele, ti ha reso re per amministrare la legge e la giustizia. (1 Re 10:6-9) [53]
 
Quando Ben-Gurion dichiarò davanti alla Knesset tre giorni dopo l’invasione del Sinai nel 1956, che la posta in gioco era “la restaurazione del regno di Davide e Salomone”.[54] e quando i leader israeliani continuano a sognare una “Grande Israele” di proporzioni bibliche, stanno semplicemente perpetuando un inganno vecchio di duemila anni: forse un autoinganno, ma pur sempre un inganno.
 
Più profondo dell’inganno storico, nel cuore stesso della Bibbia, si trova un inganno metafisico più essenziale che contribuisce notevolmente a spiegare l’ambivalenza del tribalismo e dell’universalismo così tipici dell’ebraismo. Lo storico biblico Philip Davies ha scritto che “la struttura ideologica della letteratura biblica può essere spiegata in ultima analisi solo come un prodotto del periodo persiano” [55] e l’idea centrale di quella “struttura ideologica” è il monoteismo biblico. Negli strati pre-esilici della Bibbia, Yahweh è un dio nazionale tra gli altri: "Infatti tutti i popoli progrediscono, ciascuno nel nome del suo dio, mentre noi andiamo avanti nel nome di Yahweh, nostro Dio, nei secoli dei secoli", dice il profeta pre-esilico Michea (4:5). Ciò che distingue Yahweh dagli altri dèi nazionali è la sua gelosia, che presuppone l'esistenza di altri dèi: “Non avrai altri dèi che possano rivaleggiare con me” (Esodo 20:3). Solo nel periodo persiano Yahweh diventa davvero l’unico Dio esistente e, per logica conseguenza, il creatore dell’Universo: Genesi 1 è evidentemente tratto dai miti mesopotamici.
 
Quella trasformazione dello Yahweh nazionale nel “Dio del cielo e della terra” è un caso di criptica, un’imitazione della religione persiana, finalizzata all’ascesa politica e culturale. I Persiani erano prevalentemente monoteisti sotto gli Achemenidi, adoratori del Dio Supremo Ahura Mazda, le cui rappresentazioni e invocazioni possono essere viste sulle iscrizioni reali. Erodoto – che, tra l'altro, viaggiò attraverso la Siria-Palestina intorno al 450 a.C. senza sentire parlare degli ebrei – scrisse sulle usanze dei persiani:
 
“Non hanno immagini degli dei, né templi né altari, e considerano il loro uso un segno di follia. [….] Essi però sono soliti salire sulle vette dei monti più alti, e là offrire sacrifici a Zeus, che è il nome che danno a tutto il giro del firmamento”. (Storie, I.131)
 
Il monoteismo persiano era notevolmente tollerante nei confronti degli altri culti. Al contrario, il monoteismo giudaico è esclusivista perché, sebbene Yahweh ora affermi di essere il Dio universale, rimane il dio etnocentrico e geloso di Israele. E così l'influenza persiana non fu l'unico fattore nello sviluppo del monoteismo biblico, cioè dell'affermazione che "il dio di Israele" è l'Unico e Solo Dio: la gelosia sociopatica di Yahweh, il suo odio omicida verso tutti gli altri dei e dee, furono un ingrediente importante fin dai tempi pre-esilici: essere l'unico dio degno di culto equivale ad essere l'unico dio, e quindi Dio. In 1 Re 18, vediamo Yahweh competere con il grande Baal Shamem (“Signore del Cielo”) siriano per il titolo di Vero Dio, per mezzo di una gara di olocausto che termina con il massacro di quattrocento profeti di Baal. Più tardi leggiamo del generale giudeo Ieu che, dopo aver rovesciato e massacrato la dinastia israeliana del re Omri, convocò tutti i sacerdoti di Baal per “un grande sacrificio a Baal” e, come sacrificio, li massacrò tutti. “Così Jehu liberò Israele da Baal” (2Re 10,18-28). Questo ci informa su come Yahweh sia diventato presumibilmente il Dio Supremo invece di Baal: attraverso l'eliminazione fisica di tutti i sacerdoti di Baal, cioè esattamente nello stesso modo in cui Jehu divenne re d'Israele sterminando la famiglia del re legittimo, così come “tutti i suoi uomini di spicco, i suoi amici più intimi, i suoi sacerdoti; non ne lasciò nemmeno uno in vita» (2 Re 10:11).
 
Eppure queste storie leggendarie sono arrivate a noi in una redazione post-esilica, e sebbene possano riflettere una precedente competizione tra Yahweh e Baal, l’affermazione metafisica secondo cui Yahweh è il Dio supremo, il Creatore del Cielo e della Terra, è diventata solo un credo esplicito. e una pietra angolare del giudaismo del periodo persiano. Era un mezzo di assimilazione-dissimulazione nel Commonwealth persiano, paragonabile al modo in cui l’ebraismo riformato imitava il cristianesimo nel XIX secolo.
 
Il Libro di Esdra e la prostituta di Gerico
 
Il processo di trasformazione di Yahweh da dio nazionale a dio universale, pur rimanendo intensamente sciovinista, può effettivamente essere documentato dal Libro di Esdra. Contiene estratti di diversi editti attribuiti a vari re persiani. Sono tutti falsi, ma il loro contenuto è indicativo della strategia politico-religiosa messa in atto dagli esuli della Giudea per il loro lobbying proto-sionista. Nel primo editto, Ciro il Grande dichiara che "Yahweh, il Dio del cielo, mi ha dato tutti i regni della terra e mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme", poi prosegue permettendo "al suo [di Yahweh] popolo che «salisse a Gerusalemme, in Giudea, e costruisse il tempio di Yahweh, il dio d'Israele, che è il dio in Gerusalemme» (Esdra 1:2–3). Comprendiamo che entrambe le frasi si riferiscono alla stessa entità, ma la dualità è significativa. Troviamo la stessa paradossale designazione di Yahweh sia come “Dio del Cielo” che come “dio di Israele a Gerusalemme” nell’editto persiano che autorizzava la seconda ondata di ritorno. Qui è il re Artaserse a chiedere «al sacerdote Esdra, segretario della Legge del Dio del cielo», di offrire un gigantesco olocausto al «dio d'Israele che risiede a Gerusalemme» (7,12-15). Successivamente troviamo due volte la stessa espressione “Dio del Cielo” (Elah Shemaiya ) intervallata da sette riferimenti al “tuo dio”, cioè “il dio di Israele” (tenete presente che qui le maiuscole sono irrilevanti, secondo una convenzione dei traduttori moderni). “Dio del cielo” appare ancora una volta nel libro di Esdra, ed si trova anche in un editto firmato dal re persiano: Dario conferma l'editto di Ciro e raccomanda agli israeliti di “offrire sacrifici graditi al Dio del cielo e pregare per la vita del re e dei suoi figli» (6,10). Ovunque il libro di Esdra si riferisce solo al “dio d’Israele” (quattro volte), “Yahweh, il dio dei tuoi padri” (una volta) e “il nostro Dio” (dieci volte). In altre parole, secondo l’autore del libro di Esdra, solo i re di Persia immaginano che Yahweh sia “il Dio del cielo” – titolo comune dell’universale Ahura Mazda – mentre, per gli ebrei, Yahweh è semplicemente il loro dio, il “dio d’Israele”, il dio dei loro padri, insomma un dio nazionale. In effetti, alle autorità imperiali viene detto che il Tempio di Gerusalemme è dedicato al Dio del Cielo, anche se l'idea sembra irrilevante per gli stessi Giudei: quando ai Giudei viene contestato il diritto di (ri)costruire il loro tempio da parte del governatore persiano locale, gli obiettano: «Noi siamo i servi del Dio del cielo e della terra» (5,11) e fanno riferimento all'editto di Ciro. E quando Neemia vuole convincere il re persiano a lasciarlo andare in Giudea per supervisionare la ricostruzione di Gerusalemme, offre una preghiera “al Dio del cielo” (Neemia 2:4); ma una volta a Gerusalemme, chiede ai suoi compagni ebrei di giurare fedeltà a “Yahweh, nostro Dio” (10:30).
 
Questo modello inconfondibile nei libri di Esdra e Neemia può essere preso come un indizio del segreto più profondo del giudaismo e una chiave per comprendere la vera natura dell' "universalismo ebraico": per gli ebrei, Yahweh è il dio degli ebrei, mentre ai gentili bisogna dire che Egli è il Dio supremo e unico. “Nel cuore di ogni pio ebreo, Dio è un ebreo”, scrive Maurice Samuel in You Gentiles (1924), mentre ai gentili Yahweh deve essere presentato come il Dio universale che preferisce gli ebrei.[56] Lo schema si ripete nel libro di Daniele quando Nabucodonosor, impressionato dall'oracolo di Daniele, si prostra ed esclama: “Il tuo Dio è davvero il Dio degli dèi, il Signore dei re” (Daniele 2:47).
 
 
L'ipotesi che la duplice natura di Yahweh (dio di Israele per gli ebrei, Dio dell'Universo per i gentili) sia stata intenzionalmente criptata nella Bibbia ebraica diventa più plausibile quando troviamo lo stesso schema nel Libro di Giosuè. Il libro fu probabilmente scritto prima dell'esilio, forse sotto il re Giosia (639-609 a.C.). Il suo autore originale non si riferisce mai a Yahweh semplicemente come “Dio” e non lascia mai intendere che egli sia altro che “il dio d’Israele” (9:18, 13:14, 13:33, 14:14, 22:16). Anche Yahweh si definisce “il dio d’Israele” (7:13). Quando Giosuè parla agli Israeliti, parla di “Yahweh vostro Dio” (1:11, 1:12, 1:15, 3:3, 3:9, 4:5, 4:23-24, 8:7, 22:3-4, 22:5, 23:3,5,8,11, 24:2). Gli Israeliti si riferiscono collettivamente a “Yahweh nostro Dio” (22:19), o individualmente come “Yahweh mio Dio” (14:8). I nemici di Israele parlano a Giosuè di “Yahweh vostro Dio” (9:9), e lui parla loro di “Yahweh mio Dio” (9:23). Yahweh una volta fu chiamato “signore di tutta la terra” da Giosuè (3:13), e una volta “il dio degli dèi” dagli entusiasti israeliti (22:22), ma nulla di tutto ciò consente di ritenere che contenga una qualche esplicita affermazione teologica che Yahweh sia il Creatore: è più simile al re persiano che si autodefinisce re dei re e sovrano del mondo. Né la menzione di un altare costruito dagli Israeliti come “testimonianza tra noi che Yahweh è Dio” (22:34) può essere intesa come qualcosa di più di “Yahweh è Dio tra noi”. Se lo scriba Yahwista del Libro di Giosuè avesse creduto che Yahweh fosse il Dio universale, avrebbe scritto di intere città convertite piuttosto che sterminate per la gloria di Yahweh.
 
L'unica professione esplicita di fede che Yahweh sia il Dio supremo, in tutto il Libro di Giosuè, proviene da uno straniero, proprio come nei libri di Esdra e Neemia. Non un re, questa volta, ma una prostituta. Rahab è una prostituta di Gerico, che si infiltra nella città degli israeliti invasori. Come giustificazione per aver tradito il suo stesso popolo, dice agli Israeliti che "Yahweh, vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra" (2:11), qualcosa che né il narratore, né Yahweh, né alcuno degli Israeliti nel libro ha mai affermato. È probabile che la professione di fede di Rahab sia un'aggiunta post-esilica al libro, poiché in realtà è in conflitto con la sua motivazione più prosaica:
 
“Abbiamo paura di voi e tutti coloro che vivono in questo paese sono stati presi dal terrore al vostro arrivo. […] datemi un segno sicuro di questo: che risparmierete la vita a mio padre e a mia madre, ai miei fratelli e sorelle e a tutti quelli che appartengono a loro, e ci preserverete dalla morte”. (2:9-12).
 
Nella redazione finale, lo schema è lo stesso del Libro di Esdra, e rivela il segreto del giudaismo post-esilico: per gli ebrei, Yahweh è il loro dio nazionale, ma è bene per gli ebrei che i gentili (siano essi re o prostitute) considerino Yahweh come il “Dio del cielo”. Ha funzionato a meraviglia: i cristiani oggi credono che il Dio dell’umanità abbia deciso di manifestarsi come il “dio d’Israele” geloso fin dai tempi di Mosè, mentre il vero processo storico è il contrario: è il “dio d’Israele” tribale che si spacciava per il Dio dell’umanità al tempo di Esdra, pur continuando a preferire gli ebrei.
 
Adorare un dio nazionale con ambizioni imperialistiche, mentre si finge agli occhi dei Gentili di adorare l’Unico Vero Dio, comporta un malinteso catastrofico. Uno scandalo pubblico scoppiò nel 167 d.C., quando l'imperatore ellenistico Antioco IV dedicò il tempio di Gerusalemme a Zeus Olympios, il nome greco del dio supremo. Era stato indotto a pensare che Yahweh e Zeus fossero nomi diversi che indicavano lo stesso Dio cosmico, il Padre Celeste di tutta l'umanità. Ma i Maccabei ebrei che guidarono la ribellione conoscevano la verità: Yahweh può essere il Dio Supremo, ma solo gli ebrei sono intimi con Lui, e qualsiasi modo in cui i pagani Lo adorano è un abominio. Inoltre, sebbene gli Israeliti affermassero che il loro Tempio era dedicato al Dio di tutta l’umanità, credevano anche fermamente che qualsiasi non ebreo che vi entrasse dovesse essere messo a morte. Solo questo fatto tradisce la vera natura del monoteismo ebraico: fu un inganno fin dall'inizio, l'ultima criptica metafisica. Solo quando questo imbroglio biblico verrà smascherato agli occhi del mondo, Sion inizierà a perdere il suo potere simbolico. Perché è la fonte originale del legame psicopatico con cui Israele controlla il mondo.
 
 
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Il trucco del diavolo: smascherare il dio di Israele
 
La psicopatia biblica di Israele
 
Il Vangelo di Gaza
 
Il Sacro Ritornello
 
Paura degli ebrei e del dio ebraico terrorista
 
 
 
Note:
 
1] Andrew Cockburn, Rumsfeld: His Rise, His fall, and Catastrophic Legacy, Scribner, 2011, p. 219. Cockburn afferma di averlo sentito ripetere da “amici di famiglia”.
 
[2] Leo Strauss, “Why we Remain Jews”, citato in Shadia Drury, Leo Strauss and the American Right, St. Martin’s Press, 1999 (in archive.org), p. 31-43.
 
[3] Kevin MacDonald, Cultural Insurrections: Essays on Western Civilizations, Jewish Influence, and Anti-Semitism, The Occidental Press, 2007, p. 122.
 
[4] Kevin McDonald, Cultural Insurrection, op. cit., p. 66.
 
[5] Benjamin Balint, Running Commentary: The Contentious Magazine That Transformed the Jewish Left into the Neoconservative Right, Public Affairs, 2010.
 
[6] Congress Bi-Weekly, citato da Philip Weiss, “30 Years Ago, Neocons Were More Candid About Their Israel-Centered Views,” Mondoweiss.net, 23 maggio 2007: mondoweiss.net/2007/05/30_years_ago_ne.html
 
[7] http://www.informationclearinghouse.info/pdf/RebuildingAmericasDefenses.pdf
 
[8] Elliott Abrams, Faith or Fear: How Jews Can Survive in a Christian America, Simon & Schuster, 1997, p. 181.
 
[9] Patrick J. Buchanan, “Whose War? A neoconservative clique seeks to ensnare our country in a series of wars that are not in America’s interest,” The American Conservative, 24 marzo 2003,
www.theamericanconservative.com/articles/whose-war/
 
[10] Stephen Sniegoski, The Transparent Cabal: The Neoconservative Agenda, War in the Middle East, and the National Interest of Israel, Enigma Edition, 2008, p. 156.
 
[11] http://www.pbs.org/now/politics/wilkerson.html
 
[12] Stephen Sniegoski, The Transparent Cabal, op. cit., p. 120.
 
[13] 11 aprile 2002, citato in Justin Raimondo, The Terror Enigma: 9/11 and the Israeli Connection, iUniverse, 2003, p. 19.
 
[14] 26 aprile 2013, in MSNBC, guarda in https://www.youtube.com/watch?v=ZRlatDWqh0o.
 
[15] Annotato da Inter-Press Service il 29 marzo 2004, con il titolo “U.S.: Iraq war is to protect Israel, says 9/11 panel chief”, e ripreso da United Press International il giorno successivo, su www.upi.com.
 
[16] Norman Podhoretz, Breaking Ranks: A Political Memoir, Harper & Row , 1979, p. 335.
 
[17] Tradotto dall’edizione francese, Yirmiyahu Yovel, L’Aventure marrane. Judaïsme et modernité, Seuil, 2011, pp. 119-120, 149–151.
 
[18] Yirmiyahu Yovel, L’Aventure marrane, op. cit., pp. 96–98, 141–143; Nathan Wachtel, Entre Moïse et Jésus. Études marranes (XVe-XIXe siècle), CNRS éditions, 2013, pp. 54–65.
 
[19] Yirmiyahu Yovel, L’Aventure marrane, op. cit., pp. 483, 347.
 
[20] Yirmiyahu Yovel, L’Aventure marrane, op. cit., pp. 149–151.
 
[21] Elliott Horowitz, Reckless Rites: Purim and the Legacy of Jewish Violence, Princeton University Press, 2006.
 
[22] Hannah Arendt lo definisce un “fanatico della razza” in The Origins of Totalitarianism, vol. 1: Antisemitism, Meridian Books, 1958, pp. 309–310.
 
[23] Stanley Weintraub, Disraeli: A Biography, Hamish Hamilton, 1993, p. 579.
 
[24] Kevin MacDonald, Separation and Its Discontents: Toward an Evolutionary Theory of Anti-Semitism, Praeger, 1998, kindle 2013, k. 5876–82.
 
[25] Gilad Atzmon, The Wandering Who? A Study of Jewish Identity Politics, Zero Books, 2011, pp. 55–56.
 
[26] Moses Hess, Rome and Jerusalem: A Study in Jewish Nationalism, 1918 (in archive.org), pp. 71, 27.
 
[27] Moses Hess, Rome and Jerusalem, op. cit., p. 74.
 
[28] Citato in Alfred Lilienthal, What Price Israel? (1953), 50th Anniversary Edition, Infinity Publishing, 2003, p. 14.
 
[29] Kaufmann Kohler, Jewish Theology, Systematically and Historically Considered, Macmillan, 1918 (in www.gutenberg.org), pp. 290, 378–380.
 
[30] Citato in Kevin MacDonald, Separation and Its Discontents, op. cit., k. 5463–68.
 
[31] Daniel Gordis, Does the World Need Jews? Rethinking Chosenness and American Jewish Identity, Scribner, 1997, p. 177.
 
[32] Daniel Lindenberg, Figures d’Israël. L’identité juive entre marranisme et sionisme (1649–1998), Fayard, 2014, p. 10.
 
[33] Alison Weir, Against Our Better Judgment: The Hidden History of How the U.S. Was Used to Create Israel, 2014, k. 3280–94.
 
[34] Norman Finkelstein, The Holocaust Industry: Reflections on the Exploitation of Jewish Suffering, Verso, 2014, p. 6.
 
[35] Benjamin Ginsberg, Jews in American Politics: Essays, dir. Sandy Maisel, Rowman & Littlefield, 2004, p. 22.
 
[36] Arthur Hertzberg, The Zionist State, Jewish Publication Society, 1997, p. 94.
 
[37] David Ben-Gurion and Amram Duchovny, David Ben-Gurion, In His Own Words, Fleet Press Corp., 1969, p. 116
 
[38] Sito ufficiale: www.jerusalemsummit.org/eng/declaration.php.
 
[39] Dan Kurzman, Ben-Gurion, Prophet of Fire, Touchstone, 1983, pp. 17–18, 22, 26–28.
 
[40] Ilan Pappe, The Ethnic Cleansing of Palestine, Oneworld Publications, 2007, p. 144.
 
[41] Gilad Atzmon, Being in Time: A Post-Political Manifesto, Skyscraper, 2017, pp. 66-67.
 
[42] Avigail Abarbanel, “Why I left the Cult,” 8 ottobre 2016, in mondoweiss.net
 
[43] Kim Chernin, “The Seven Pillars of Jewish Denial.” Tikkun, Sept./Oct. 2002, quoted in MacDonald, Cultural Insurrections, op. cit., pp. 27-28.
 
[44] http://www.chabad.org/library/article_cdo/aid/961561/jewish/Positive-Commandment-187.htm
 
[45] Norman Podhoretz, World War IV: The Long Struggle Against Islamofascism, Vintage Books, 2008.
 
[46] Wesley Clark, Winning Modern Wars, Public Affairs, 2003, p. 130.
 
[47] Gilad Atzmon, Being in Time: A Post-Political Manifesto, Skyscraper, 2017, p. 187-209.
 
[48] Un altro esempio: Bernard Benyamin, Le Code d’Esther. Si tout était écrit…, First Editions, 2012.
 
[49] Benedict de Spinoza, Theological-political treatise, chapter 8, §11, Cambridge UP, 2007, pp. 126-128.
 
[50] Arnold Toynbee, A Study of History, volume XII, Reconsiderations, Oxford University Press, 1961, p. 486, citato in
http://mailstar.net/toynbee.html
 
[51] Thomas Romer, The Invention of God, Harvard University Press, 2016.
 
[52] Leggere ad esempio Israel Finkelstein e Neil Adher Silberman, David and Solomon: In Search of the Bible's Sacred Kings and the Roots of the Western Tradition, S&S International, 2007.
 
[53] Tutte le citazioni bibliche provengono dalla Bibbia cattolica della Nuova Gerusalemme, che ha il vantaggio di non alterare YHWH in “il Signore”, come hanno fatto la maggior parte delle altre traduzioni inglesi per ragioni poco accademiche.
 
[54] Israel Shahak, Jewish History, Jewish Religion: The Weight of Three Thousand Years, Pluto Press, 1994, p. 10.
 
[55] Philip Davies, In Search of “Ancient Israel”: A Study in Biblical Origins, Journal of the Study of the Old Testament, 1992, p. 94.
 
[56] Maurice Samuel, You Gentiles, New York, 1924 (in archive.org), pp. 74–75.
 
 
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