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Il giorno 8 ottobre 2009, all’aeroporto di Casablanca, dove erano appena atterrati, di ritorno da una visita ai campi dei rifugiati di Tindouf, sono stati arrestati 7 militanti saharawi. Si tratta di: Ali Salem Tamek, Brahim Dahane, Ahmad Anasiri, Dagia Lachgar, Yahdih Ettarrouzi, Saleh Lebavhi, Rachid Sghavar. Alle 13,37 Dahane ha telefonato ai suoi compagni per informarli che erano appena atterrati e c’erano delle vetture della polizia sulla pista. Da allora nessuna notizia, fino all’annuncio stampa della MAP (l’agenzia di stampa ufficiale marocchina). I sette sono riapparsi solo il successivo 15 ottobre davanti al giudice istruttore della Corte di Appello di Casablanca, che però si è dichiarato incompetente ed ha trasmesso gli atti al Tribunale militare. Nel pomeriggio dello stesso giorno i detenuti sono stati presentati al giudice istruttore del Tribunale militare di Rabat, che li ha interrogati fino all’1 del mattino seguente. Successivamente sono stati riaccompagnati al carcere di Salé. Brahim Dahane è riuscito a far sapere che, a partire dal momento dell’arresto, sono stati trattenuti otto giorni nei locali della polizia giudiziaria, i primi tre con gli occhi sempre bendati, e che sono stati interrogati da esponenti di diversi servizi di sicurezza.

Le “ragioni” dell’arresto non si conoscono ufficialmente. Si possono solo ricavare da qualche comunicato della MAP (l’agenzia di stampa ufficiale) e dagli articoli della stampa fedele al regime. Ulteriori chiarimenti sono venuti da una nota riservata trasmessa dal Governo marocchino alle ambasciate straniere, e da una discorso pronunciato dal Re Mohammed VI in occasione del 34° anniversario della “Marcia Verde”. Tutti i documenti ufficiali insistono su di un punto: fino ad oggi i militanti “separatisti” sono stati lasciati liberi di viaggiare all’estero e di fare propaganda contro l’occupazione marocchina. Questa libertà non deve essere loro più consentita. In nessun modo viene inoltre contestato ai “separatisti” alcun atto di violenza o di terrorismo, ciò che si rimprovera loro è solo l’attività di propaganda contro l’occupazione marocchina del Sahara Occidentale.

Infine si è appreso che i sette militanti saharawi sono stati incriminati dei delitti previsti dagli artt. 190 e 191 del codice penale marocchino, di “attentato all’integrità del territorio marocchino” e di “attentato alla sicurezza esterna dello Stato”. Si tratta di delitti che, in caso di guerra, è punito con la morte e ciò che più preoccupa è che la stampa marocchina insisti nel dire che il Marocco è in stato di guerra. Aujourd’hui le Maroc afferma in proposito: “Perché – occorre ricordarlo – noi siamo sempre in guerra con i mercenari del Polisario. Siamo esattamente in una situazione di cessate il fuoco, dopo l’accordo del 1991 ed un arresto delle ostilità non significa che la guerra è finita”

Già questo sarebbe, da solo,  un buon motivo per allarmare la comunità internazionale: il rischio concreto che i sette militanti saharawi possano essere condannati alla pena capitale. Ma altri fatti si aggiungono ad aggravare questa intollerabile escalation repressiva: il 9 ottobre la polizia marocchina ha ritirato il passaporto alla militante saharawi Sultana Khaya, impedendole di partire per la Spagna, dove doveva sottoporsi a cure mediche. Nel maggio del 2008 la ragazza era stata vittima, a Marrakech, di un brutale pestaggio, in seguito al quale aveva perduto l’uso dell’occhio destro. Nei giorni successivi, infine, la polizia di Laayoune ha impedito alla militante saharawi Elghalia Djmi di ricevere in casa sua l’avvocato e osservatrice internazionale spagnola Ines Miranda.
E’in atto dunque una offensiva delle Autorità marocchine contro i militanti “separatisti” saharawi, diretta ad impedire loro l’esercizio delle libertà fondamentali (di espressione, di libera circolazione), fino al ricorso estremo alla pena di morte.
Ma chi sono i “separatisti” saharawi?

Il Sahara Occidentale è stato, per oltre un secolo, una provincia spagnola. Il processo di decolonizzazione, avviato nel 1975 con l’abbandono del territorio da parte della potenza coloniale, è stato interrotto dall’iniziativa di Marocco e Mauritania che hanno occupato il paese, da nord e da sud, spartendoselo. Ne è seguita un’aspra guerra con il Fronte Polisario, l’organizzazione che ha diretto il movimento di liberazione nazionale. Nel 1979 la Mauritania è stata costretta alla resa e si è ritirata. Ne ha approfittato il Marocco per occupare l’intero territorio (salvo una striscia di terra rimasta territorio libero). Intanto, nel 1976, era stata proclamata la RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica), che veniva riconosciuta da 80 paesi e diventava, nel 1982, membro dell’Unione per l’unità africana (OUA), organizzazione della quale non fa parte più il Marocco.

Buona parte della popolazione saharawi si era rifugiata in campi profughi nel deserto algerino (presso Tindouf), per sfuggire alla guerra e alle atrocità dell’esercito marocchino. E in questi campi vive ancora oggi, separata dai familiari da oltre trent’anni, in precarie condizioni e sostenuta dalla solidarietà internazionale.

Nel 1991 veniva firmato, sotto l’egida dell’ONU, un trattato di cessate il fuoco tra Marocco e Fronte Polisario, con la prospettiva di realizzare un referendum di autodeterminazione, attraverso il quale il popolo saharawi avrebbe potuto decidere sulla opzione di indipendenza o di annessione al Marocco. E’ stata anche istituita una missione delle Nazioni Unite (MINURSO), per la realizzazione di questo referendum (ancora oggi operativa). E tuttavia il Marocco ha sempre impedito lo svolgimento della consultazione, nonostante le ripetute risoluzioni dell’ONU che hanno sempre ribadito il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi. (In tale senso anche il parere del 16 ottobre 1975 della Corte internazionale di giustizia dell’Aja).

Nei territori occupati dal Marocco è da anni in corso una “intifada” radicalmente pacifica da parte dei militanti saharawi, ferocemente repressa dal governo marocchino, attraverso arresti, pestaggi e pesanti condanne.
I “separatisti” saharawi altro non sono dunque se non i leader di questo popolo cui la comunità internazionale riconosce il diritto all’autodeterminazione. I delitti che le Autorità marocchine occupanti contestano loro non sono delitti, ma semplicemente il legittimo esercizio dei loro diritti.

 Le istituzioni, le associazioni e i singoli sottoscrittori di questo documento esprimono la più profonda preoccupazione per l’escalation repressiva che viola gli universali principi del rispetto dei diritti umani e dell’autodeterminazione dei popoli, e guardano con angoscia alla possibilità che vengano comminate condanne alla pena capitale, tanto più nei confronti di persone colpevoli di avere solo esercitato un proprio diritto.

Si impegnano a seguire con attenzione lo sviluppo degli avvenimenti, anche attraverso la presenza di osservatori al processo che si svolgerà dinanzi ad un Tribunale militare.
Chiedono al Governo e a tutte le Istituzioni del nostro paese di muovere ogni passo utile, anche in sede internazionale, per salvare la vita dei sette militanti saharawi e perché si realizzino le condizioni che consentano, nel territorio del Sahara Occidentale, il pieno esercizio delle libertà democratiche.

Napoli, 20 ottobre 2009





OSSERVATORIO INTERNAZIONALE

Primi firmatari:


On Antonio Bassolino, Presidente della Regione Campania; On. Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli; Camera Penale di Napoli; Magistratura Democratica, sezione napoletana; Associazione Antigone, sezione napoletana; On. Avv. Vincenzo Siniscalchi, membro del CSM; prof. Giuseppe Cataldi, docente di diritto internazionale – Università Orientale; prof.ssa Valeria Del Tufo, già giudice della Corte Europea dei diritti dell’uomo;  prof. Giuliano Balbi, ordinario diritto penale – Università di S.M.C.V.; Tonino Drago, docente di fisica, pacifista non violento 

Hanno già aderito...


RAGGIUNTE 1000 FIRME (Dichiarazione del Presidente di Ossin Nicola Quatrano)

 
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