"Il regime siriano è condannato", dice il signor Mebtoul
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Il “regime siriano è condannato” dice il signor Mebtoul
Djerrad Amar
In un articolo intitolato “L’Algeria, una eccezione alla primavera araba?” del professore Abderrahmane Mebtoul, dedicato all’Algeria si rileva il seguente messaggio “subliminale”: “Dopo la Tunisia, l’Egitto, lo Yemen, la Libia, e recentemente la Siria, il cui regime è condannato (il Marocco sulla strada, in linea di principio, di una monarchia costituzionale) e certamente un buon numero di altri paesi arabi e africani che verranno dietro, annunciano riforme per una transizione che sarà di lunga durata”.
Il signor Mebtoul mescola i generi citando “Tunisia, Egitto, Yemen, Libia” e la Siria, della quale decreta che il regime “è condannato”. Cosa ne sa? La caduta di Bachar al-Assad è piuttosto l’Occidente ad esigerla (Clinton, Cameron, Sarkozy/Hollande); per i begli occhi degli Arabi o per Israele? Usa gli stessi concetti e aggettivi dell’Impero, diffusi da Reuters, AFP, Aljazeera del Qatar, Alarabia la saudita, la BBC, France 24, Itélé, BFMTV in particolare. Da analista, dovrebbe ben sapere che in Siria, ma anche in Libia, si tratta di complotti, si di complotti, con delle “rivoluzioni” prefabbricate. Il mondo oramai lo sa, salvo a quanto pare il signor Mebtoul? In Libia è stata la Nato a fare la guerra, no? Formando dei “thouar”, composti da ladri, frustrati, prigionieri, revanscisti, islamisti integristi wahabiti-salafisti e felloni tutti stipendiati dalla NED/CIA e che vivevano per la maggior parte in Europa e negli Stati Uniti da più di 20 anni e che hanno la nazionalità dei paesi che li hanno accolti. Questi “thouar” erano finanziati dal Qatar e dall’Arabia Saudita. Il signor Mebtoul non ha visto Bernard Henry-Levi – il sionista franco-israeliano – a Bengasi sostenere questi “thouar” sbandierando davanti a loro e alle televisioni la bandiera libica? Si vedono i risultati. I Libici non si risolleveranno mai più! Stesso scenario per la Siria, col suo CNS, che avrebbero riprodotto se non vi fosse stato il triplo doppio veto di Russia e Cina. Egli dice “e certamente un buon numero di altri paesi arabi e africani che seguiranno”. Senza osare citare le monarchie assolute del Golfo, ma adulando il Marocco col “… sulla strada, in linea di principio, di una monarchia costituzionale”. Non ha ascoltato le dichiarazioni del sinistro BHL, filosofo del male, all’Università di Tel Aviv “se riusciremo a far cadere Gheddafi, sarà anche un messaggio per Assad” e quelle, per confronto, nel corso di una riunione del CRIF “è come ebreo che ho partecipato a questa avventura politica, che ho contribuito a definire dei fronti militanti, che ho contribuito a elaborare per il mio paese e per un altro paese una strategia e delle tattiche”, o ancora quelle di Itamar Rabinovitch, ex ambasciatore di Israele a Washington, riportate da The International Herald Tribune del 19-20 novembre 2011: “George W. Bush desiderava rovesciare Bachar al-Assad” nel 2005, aggiungendo “che Israele vuole farla finita coi governi che sostengono gli Hezbollah in Libano e Hamas in Siria… profondamente preoccupata dalla minaccia iraniana, Israele pensa che togliere il mattone siriano da muro iraniano potrebbe portare ad una nuova fase della politica regionale”. E molte altre recenti dichiarazioni dei dirigenti sionisti di Israele. Il signor Metboul è stupido al punto da non accorgersi che si tratta di una guerra di influenza tra la potenza USA “unilateralista” e l’emergere di altre (Russia e Cina) “multipolariste”, il cui teatro è appunto la Siria e che si schiera francamente con le tesi dell’Occidente, Stati Uniti in testa, e che tutto questo non ha niente a che vedere coi pretesti “umanitari”. L’Occidente se ne frega bellamente della “democrazia” o delle “libertà” nel mondo arabo; queste contrade utili, tanto che sostiene i regimi più retrogradi e le monarchie assolute. Per l’Occidente gli interessi vengono prima della morale. Lo sa bene! Il titolo “L’Algeria, una eccezione alla primavera araba” dimostra che egli crede a questa “primavera” della quale il mondo sa che è stata elaborata dalle officine della propaganda USA nell’ambito del progetto “Grande Medio Oriente” (lo riconoscono anche degli analisti USA). Egli deve bene aver letto questo progetto, che si integra con quello “Yinon”. Deve anche avere inteso, alla televisione o in diretta, questo Levy gridare a proposito dell’Algeria che anche lei “avrà la sua primavera”, nel corso di un dibattito con la signora Drif Zohra. Il nostro problema, e quello in particolare dei nostri intellettuali, è che siamo giunti ad un grado di perversione e di stupidità che anche se il nostro stesso nemico confessa di ingannarci non gli crediamo! Facciamo ormai la guerra agli Arabi per “procura” utilizzando i nostri figli e il nostro denaro, i nostri media e i nostri sceicchi! E’ evidente, no? Bisogna essere eruditi per scoprirlo? Cosa vuole di più il signor Mebtoul, come prova, per non dispensarci le stupidaggini USA-sioniste? Come intellettuale non ha il diritto di fare da megafono ai loro inganni.
L’Algeria, una eccezione alla primavera araba?
Abderrahmane Mebtoul
“La nostra generazione ha fatto il suo tempo. Il cambiamento profondo di tutti i regimi arabi, senza eccezioni, è ineluttabile. Il tentativo di alcuni regimi di mantenere lo status quo porterà solo violenze, che assumeranno forme diverse a seconda dei paesi”. Lakhdar Brahimi, diplomatico algerino
1. Dopo la Tunisia, l’Egitto, lo Yemen, la Libia e da ultimo la Siria il cui regime è condannato (il Marocco sulla strada, in linea di principio, di una monarchia costituzionale) e certamente un altro buon numero di paesi arabi e africani che seguiranno, si annunciano riforme per una transizione che sarà di lunga durata. Tenendo conto che le transizioni democratiche si conformano alle diverse antropologie culturali, non esistendo dei modelli universali, c’è da chiedersi se saranno effettive o abortiranno, dipendendo dai rapporti di forza interni ed esterni. Nel corso di una intervista al settimanale francese L’Express nel gennaio 2009 ed in un contributo pubblicato nel magazine internazionale Les Afriques nel gennaio 2011 (1), ho posto questa questione strategica: il governo algerino, fermo nel suo attendismo, sarà allora l’unico paese dell’Africa del Nord a fare eccezione? Per evitare turbolenze sociali nell’immediato, da mesi sono state date istruzioni dal governo algerino perché le organizzazioni che gestiscono gli investimenti e l’occupazione autorizzino il maggior numero possibile di progetti, concedendo molti benefici finanziari e fiscali, chiedendo nel contempo alle amministrazioni e alle imprese pubbliche, già con un numero eccessivo di dipendenti, di assumere ancora. Occorre allora chiedersi se queste direttive si inseriscono in una visione globale dello sviluppo del paese, se riguardano dei segmenti in crescita durevole o se si tratta solo di una pezza a colori per calmare il fronte sociale.
2. Questa massiccia messa in circolazione di moneta senza incrementi di produttività è una delle cause principali del ritorno dell’inflazione della fine 2011/inizio 2012 e della certa accelerazione nel 2013, che trascina il paese in una spirale di aumento dei prezzi. In un simile scenario, sarà inevitabile anche l’aumento dei tassi di interesse bancario, cosa che frenerà gli investimenti e provocherà la riduzione del potere di acquisto degli Algerini. In tale ambito, occorre chiedersi se questi giovani promotori abbiano la qualificazione e soprattutto l’esperienza per amministrare questi progetti. Il rischio non è forse di assistere ad uno sperpero di risorse finanziarie, di fatto della rendita degli idrocarburi e, a termine, al ricorso al Tesoro, come è accaduto per il risanamento delle imprese pubbliche costato più di cinquanta miliardi di dollari tra il 1971 e il 2012? Non ci stiamo forse avviando verso una nuova ricapitalizzazione delle banche? La strada più ragionevole non sarebbe forse stata, nell’attesa di un vero rilancio dei settori non petroliferi, quella dell’investimento per l’acquisizione di know-how? Quale contributo danno i progetti realizzati in termini di valore aggiunto del paese? Infine questi progetti e quelli realizzati si inseriscono nel quadro dei valori internazionali nella misura in cui, con la mondializzazione e nonostante la crisi, noi siamo in una economia aperta a causa degli impegni internazionali dell’Algeria?
3. Per ciò che concerne l’aspetto macro-economico globale, occorre ricordare che esiste una legge universale: il tasso di occupazione dipende dal tasso di crescita e dai tassi di produttività delle imprese competitive, e non si crea occupazione per decisione amministrativa. Il tasso di disoccupazione ufficiale dell’11% è molto falsato perché include il personale in esubero sia delle amministrazioni che delle imprese pubbliche, impieghi temporanei fittizi (cinque mesi che non creano valore aggiunto, come per esempio per fare e rifare dei marciapiedi) e il lavori della sfera informale. In realtà è superiore al 20% ed alcune wilaya povere hanno tassi di disoccupazione effettiva superiori al 40%. Paradossalmente l’intervento pubblico creatore di occupazione, molto falsato perché privilegia gli impieghi che richiedono modesta qualificazione (e che assorbe il 70% della spesa pubblica) fa sì che i diplomati e laureati abbiamo molta maggiore possibilità di essere disoccupati, a causa del basso tasso di crescita e dell’esodo dei cervelli. Che cosa faranno l’1,5 milioni di studenti che usciranno dalle università nel 2015 e i più di 2 milioni che si prevedono nel 2020? Quindi si pone questa questione strategica: il deperimento del tessuto produttivo algerino dimostra che il tasso di crescita non è proporzionale alla spesa pubblica, vale a dire 200 miliardi di dollari tra il 2004 e il 2009, e 286 miliardi tra il 2010 e il 2014, 130 dei quali sono residui destinati al completamento di progetti realizzati tra il 2004 e il 2009 (costi superiori dovuti alla cattiva gestione e alla corruzione.
4. La maggior parte degli osservatori nazionali e internazionali è d’accordo sul punto seguente: la riforma globale in Algeria (lo Stato di diritto, l’indipendenza della giustizia, l’istaurazione dell’economia di mercato concorrenziale e la democratizzazione), spesso annunciata come fonte di crescita durevole, è in fase di stallo, con uno status quo intollerabile e suicida. Le banche, strumento di distribuzione della rendita, continuano a funzionare come dei bancomat amministrativi. La burocrazia e il suo prodotto, la sfera informale, domina la società. La bolletta alimentare è elevata, nonostante il celebre programma agricolo (PNDA). Come conseguenza, assistiamo alla caduta vertiginosa del valore del dinar sul mercato parallelo che costituisce uno degli aspetti del ritorno all’inflazione, che accentua la concentrazione del reddito nazionale a profitto di una minoranza che vive di rendita, che approfondisce il malcontento derivante dalla profonda ingiustizia sociale. Vista la forte demotivazione popolare, il crescente divorzio Stato/cittadini, le tensioni sociali che diventano sempre più chiassose, spontanee, non organizzate e che si tenta di calmare con la distribuzione degli spiccioli della rendita, direttamente o indirettamente attraverso sovvenzioni generalizzate, senza profonde riforme strutturali fondate su un dialogo sereno che cerchi di superare davvero il blocco che stringe la società algerina, non solamente con ritocchi giuridici, come è stato tentato invano dai precedenti regimi, visto tutto questo io, insieme a molti osservatori ed esperti nazionali e internazionali, che l’Algeria sia l’eccezione della primavera araba.
5. Invocare i sanguinosi anni 1990/2000, vera guerra civile coi 200.000 morti ufficiali, senza contare l’altrettanto alto numero di feriti e i danni materiali per diversi miliardi di dollari, non è sufficiente, perché vi è anche il fatto che il sistema fondato sulla rendita non è cambiato per niente. Non si può dunque parlare di primavera araba in Algeria: sul piano giuridico registriamo la persistenza del monopolio del partito FLN, scissosi con la formazione del piccolo RND e di altri micro-partiti, e sul piano economico registriamo il persistere della sindrome olandese, dopo 50 anni di indipendenza politica, col 98% di esportazione di idrocarburi e con l’importazione del 70/75% degli altri prodotti (l’83% del tessuto economico è infatti costituito, secondo l’inchiesta ONS del 2012, da piccoli commerci e servizi) e, paradossalmente per un paese che ha riserve di idrocarburi, che importa anche gasolio, benzina e incontra continui problemi al livello della fornitura elettrica (1). Dell’ultimo rapporto degli osservatori europei dedicato alle elezioni del 10 maggio 2012, voglio citare il “disinteresse della maggioranza della popolazione algerina per queste elezioni”. Meditiamo attentamente su questa sentenza piena di saggezza di un grande diplomatico algerino che ha adesso 80 anni, che si è dedicato alla politica estera, non alle questioni interne come un buon numero di quadri e intellettuali algerini emarginati, Lakhdar Brahimi, lo cito: “La nostra generazione ha fatto il suo tempo. Profondi cambiamenti nei regimi arabi sono, senza eccezioni, ineluttabili. Il tentativo di certi regimi di mantenere lo status quo con la repressione porterà solo alla violenza, che assumerà diverse forme a seconda dei paesi”. Il ruolo degli intellettuali algerini, non degli organici che lisciano la coda al potere per ottenere una rendita, ma quello dei veri patrioti è di attirare l’attenzione sulle possibili derive e sulla necessità di mutazioni sistemiche. Perché l’attuale situazione di stallo, con la repressione delle libertà, sotto l’apparenza fornita da una moltitudine di micro-partiti e di organizzazioni dette della società civile, sganciati dalla realtà e della popolazione, spesso appendice dell’amministrazione, che vivono delle rendite degli idrocarburi, è insostenibile. Speriamo, per il nostro e per altri paesi, una presa di coscienza da parte di quelli che governano, per evitare al loro popolo questa violenza. Salutiamo la saggezza dei dirigenti senegalesi e la maturità del loro popolo per avere realizzato una transizione politica pacifica, un esempio per l’Africa.
Abderrahmane Mebtoul, professore universitario, esperto internazionale in management strategico
(1) Intervista del professore Abderrahmane Mebtoul al settimanale francese L’Express, 9 gennaio 2009 “Bisogna farla finita con l’economia di rendita” – Magazine Les Afriques “L’Algeria, conseguenze economiche dell’eccezione alla primavera araba – dicembre – Ginevra – Parigi – giugno 2011”
Il professore Abderrahmane Mebtoul ha diretto, con una equipe multidisciplinare composta di economisti, sociologi e demografi, tra il 2007 e il 2008, un importante audit per il governo sul tempa dell’occupazione e dei salari (otto volumi, 980 pagine)