La Liberté – martedì 8 luglio 2008

Si apre domani il processo a Tizi Ouzou - Chi sono gli assassini di Matoub? di Samir Leslous

Il processo per l’omicidio del cantante kabyle e cantore della amazighità, Matoub Lounes, si aprirà domani davanti al Tribunale criminale presso la Corte di Tizi Ouzou, sullo sfondo, da un lato, delle assicurazioni offerte dal procuratore generale circa il “corretto svolgimento di questo processo” e, dall’altro, di una tale inquietudine nella famiglia Matoub e tra i cittadini, che in Kabylie è nato un comitato denominato “Verità e Giustizia sull’omicidio di Lounès Matoub", che ha subito lanciato una petizione per esigere la riapertura delle indagini e, quindi,  la revisione di una istruttoria più volte definita “raffazzonata”.
Dal giugno 1998 al luglio 2008, sono oramai dieci anni che il processo per l’omicidio di Matoub è atteso in Kabylie, dove malgrado l’usura del tempo non si smette di reclamare che giustizia sia fatta nei confronti di colui che continua ad essere considerato come uno dei più importanti punti di riferimento e simboli della causa identitaria e democratica. Ma non si esige un processo qualsiasi, quanto piuttosto un processo che faccia conoscere la verità, tutta la verità, su questo delitto classificato, fin dal 25 giugno 1998, nella categoria degli omicidi politici.

Questa verità sarà infine conosciuta dal grande pubblico? Bisognerà certamente attendere lo svolgimento del  processo e soprattutto il suo esito per saperlo. Ma tra questa aspettativa e l’esito del processo vi è oggi una ordinanza di rinvio a giudizio, emessa dopo poco più di due anni di istruttoria dalla Chambre d’accusation, che è stata contestata, addirittura rifiutata, dai membri della famiglia Matoub che dicono di aver rilevato numerose irregolarità nello svolgimento dell’istruttoria, soprattutto nella ricostruzione dei fatti  e nella perizia balistica.

Durante il suo incontro, lo scorso 24 giugno, con i membri della famiglia Matoub, il procuratore generale aveva assicurato che “la famiglia ha diritto di formulare tutte le domande e le richieste che giudichi necessarie per l’accertamento della verità”. Salvo dunque novità, si resterà nell’ambito di quanto accertato nel corso della prima istruttoria che, occorre ricordare, rivela certi nomi e certi dettagli relativi a questo assassinio perpetrato sulla strada che da Tala Bounane porta a Béni Douala. 10 nomi di terroristi, tra i 19 ed i 33 anni al momento dei fatti, sono citati in questo documento giudiziario, che testimonia anche che solo due elementi di questo gruppo che era agli ordini del sinistro Hacène Hattab, all’epoca alla testa dei gruppi terroristi attivi in Kabylie, sono stati arrestati ed imprigionati. Chenoui Mehieddine, alias Abdelhak, dell’età di 33 anni al momento dell’omicidio, e Medjnoun Malik, di 24 anni alla stessa epoca, sono gli unici due imputati che sono stati arrestati nell’ambito dell’inchiesta.

Quanto agli altri otto terroristi, vale a dire Kiche Fateh, alias Mohammed Abou Doudjana, Medhmoun Nacer Eddine, alias Abd Enacer, Bachatene Kamel, alias Cherchour, Khettab Arezki, alias Akacha, Ghidouchi Ali, alias Ouassama, Ourdane Abdelouahab, alias Abdellah, Zermout Mohamed, alais Salim, e Boudjnah Mehieddine, alais Azzedine, sono a tutt’oggi latitanti. Alcuni di loro, come per esempio Zermout Mohammed, alias Salim, sono già stati eliminati dai servizi di sicurezza nell’ambito della lotta contro il terrorismo.

All’inizio della istruttoria, si precisa nell’ordinanza di rinvio a giudizio, i sospetti della famiglia Matoub, soprattutto della sorella e della madre, si rivolgevano alla moglie di Lounès.  Sospetti che hanno pesato fino al 5 maggio 1999, data in cui Hacène Hattab, “emiro” della II zona del GIA, ha rivendicato l’assassinio di Matoub.  Questa rivendicazione ha segnato una svolta nelle indagini, che si sono da allora orientate verso  la pista terrorista, ma l’affaire non si è fermato a questo punto.  E’ stata la collaborazione di un certo Toukoudji Ramdane, alias Mounir, con i servizi di sicurezza che ha permesso, sempre secondo quanto si legge nel documento giudiziario, di conoscere tutti i dettagli dell’assassinio di Matoub ed anche i nomi dei vigliacchi sanguinari che hanno partecipato all’operazione.  L’arma Kalachnikov, numero di matricola MLK 4354, consegnata ai servizi di sicurezza da questo pentito, con la precisazione che si trattava dell’arma utilizzata da Medhmoun Nacer Eddine, alias Abdenacer, ha fornito nuovi elementi agli inquirenti che hanno concluso, all’esito di una perizia balistica, che dieci delle quindici pallottole, i cui bossoli erano stati repertati dalla gendarmeria sul luogo dell’omicidio, sono state esplose da questa arma.

Secondo le dichiarazioni di questo pentito, l’indomani dell’assassinio Zermout Mohammed, alias Salim, si è recato al quartier generale del GIA a Sidi-Ali-Bounab, con un kalachnikov ed un PA di tipo Tokarev, che diceva essere le armi di Matoub Lounès. Le dichiarazioni di un altro pentito, tale Abdelaziz Toufik, hanno permesso – secondo l’ordinanza di rinvio a giudizio – di confermare le dichiarazioni di Toukoudji e precisare che l’omicidio di Matoub venne commesso da otto terroristi, oltre ad un altro, tale Chenoui Mehieddine, incaricato di fare da vedetta e di segnalare l’arrivo dell’auto di Matoub. E’ stato il confronto tra i due pentiti ed i due imputati arrestati, Chenoui Mehieddine e Medjnoun Malik – che tuttavia hanno negato i fatti - ciò che ha convinto gli inquirenti del loro coinvolgimento. Secondo quanto scrive la Chambre d’accusation, le dichiarazioni ed i dettagli precisi forniti dai due pentiti, considerati come testimoni, hanno anhe permesso una ricostruzione dei fatti nei quali si sono potuto collocare tutti gli autori del fatto, ivi compresi Chenoui e Medjnoun.

Nell’ordinanza di rinvio a giudizio, tuttavia, non si rinviene alcun riferimento al movente dell’omicidio. Per la maggior parte dei cittadini, le ragioni non sono estranee al contesto dell’epoca, fatto di guerra contro il terrorismo ed allo stesso tempo di lotta politica al vertice del potere. Cosa che non ha mancato all’epoca di dare luogo a diverse ipotesi e fantasie. Malika Matoub, la sorella del Ribelle, ha dichiarato – stando a quanto riferito dal documento giudiziario – che “Matoub era sempre minacciato dai terroristi che l’avevano rapito nel 1994 per chiedergli di smettere di cantare e di organizzare una conferenza per spiegare alla popolazione di Tizi Ouzou che i terroristi non erano contro i tamazight e la popolazione ma piuttosto contro il sistema, cosa che Matoub non ha voluto fare”. Matoub sapeva dunque ciò che l’attendeva? Sua moglie Nadia ha dichiarato che Lounès  non era minacciato perché – le avrebbe confidato – i terroristi lo avevano contattato per rassicurarlo, dicendogli che non volevano fargli del male, ma – ha aggiunto – lui non poteva credere loro.

Secondo le testimonianze della moglie del Ribelle, ed anche delle sorelle Farida e Ouarda, Matoub, contrariamente al solito, era molto inquieto e turbato quel giorno.
In tutti i casi, in dieci anni molto inchiostro è stato versato e numerose versioni, a volte le più incredibili, sono state dette, ascoltate e diffuse. Numerose iniziative sono state assunte per preservare la memoria del Ribelle; oggi potrebbe essere arrivato il momento di conoscere la verità. 

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