Lula Libero
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Tribune, 9 novembre 2019 (trad.ossin)
Lula Libero
Victor Marques
Un militante del Partito dei Lavoratori brasiliano sul significato della liberazione di Lula, sul movimento che lo ha reso possibile e sulla prosecuzione della lotta contro il regime di Bolsonaro
Lula è finalmente fuori di prigione - anche se, come hanno chiarito ieri sia Bernie Sanders che Jeremy Corbyn, non avrebbe mai dovuto entrarci. È diventato sempre più evidente che a Lula non è stato assicurato un processo equo. Era, infatti, un prigioniero politico - vittima di una guerra giudiziaria: la strumentalizzazione di istituzioni giudiziarie a fini di persecuzione politica.
Dopo l’arresto di Lula, i documenti rivelati da Glenn Greenwald e The Intercept hanno dimostrato che il giudice e i pubblici ministeri colludevano tra di loro, costruendo il caso insieme e calibrando le loro azioni perché ottenessero il massimo impatto mediatico e politico. I messaggi mostrano che l'allora giudice Sergio Moro - ora ministro della giustizia nel governo di estrema destra di Jair Bolsonaro - istruiva e consigliava i pubblici ministeri, mentre affermava pubblicamente di essere un arbitro neutrale e tecnico.
Ora è chiaro, come ha recentemente dichiarato l'ex presidente dell'Ecuador Rafael Correa in un'intervista a Jacobin, "Se [Lula] non fosse stato arrestato, sarebbe stato eletto presidente del Brasile, oggi invece abbiamo il fascista Jair Bolsonaro come presidente, e il giudice che ha imprigionato Lula è un suo ministro”. Forte di queste nuove rivelazioni, Lula ora sta conducendo una battaglia giudiziaria per annullare l'intero processo, dal momento che Sergio Moro non era un giudice imparziale.
Ma non è per questo che Lula è stato rilasciato venerdì scorso. Giovedì sera, la Corte suprema brasiliana ha completato la tanto attesa deliberazione sulla possibilità di arrestare gli imputati prima dell’esaurimento di tutti i gradi di giudizio. Con una decisione di 6 voti contro 5, la Corte ha ritenuto l’illegalità dell’incarcerazione prima della sentenza definitiva, che è, in effetti, ciò che la costituzione afferma chiaramente. Meno di 24 ore dopo, Lula stava parlando ad una folla euforica e rossa dinanzi al quartier generale della polizia federale, dopo 580 giorni di prigione.
La lunga lotta di Lula
Non è la prima volta che Lula viene imprigionato. Fu sbattuto in prigione per la prima volta quasi quarant'anni fa, quando il Brasile era ancora sotto la dittatura militare. Lula stava guidando il più grande sciopero dei lavoratori industriali nella storia del paese.
Nato in una delle zone più povere del Brasile, Lula era emigrato a San Paolo con la sua famiglia da ragazzo, diventando operaio metalmeccanico in una delle regioni più densamente industrializzate del mondo: il distretto ABC di San Paolo. Durante la dittatura militare lo sciopero era illegale ma, dal 1976, la classe operaia brasiliana aveva sperimentato nuove forme di azioni rivendicative e di militanza all'interno delle fabbriche, che selezionarono una nuova generazione di sindacalisti determinati. Lula fu il prodotto di questa ondata insurrezionale di classe che finì per articolarsi in una rete di movimenti sociali, e catalizzò il ritorno alla democrazia in Brasile.
Nel 1980, Lula fu imprigionato dall'organo di repressione politica del regime militare, in virtù della famigerata Legge per la Sicurezza nazionale, dopo 17 giorni di sciopero. L’accusa era di "turbativa dell'ordine pubblico", e trascorse 31 giorni in prigione senza processo. Questa dimostrazione di forza da parte del regime, tuttavia, gli si rivoltò contro, provocando mobilitazioni e altre manifestazioni di solidarietà, rafforzando e politicizzando ulteriormente il movimento operaio, che riuscì ad ottenere il sostegno di ampi settori della società brasiliana. Uscendo di prigione, Lula dichiarò con orgoglio: "Se dovessi andare di nuovo in prigione per gli stessi motivi, per rappresentare le istanze della mia classe, potranno arrestarmi altre 500 volte".
Quello stesso anno, il 1980, Lula giocò un ruolo fondamentale nella creazione del Partito dei Lavoratori brasiliani, il Partido dos Trabalhadores o PT. Esso fu il risultato della confluenza di movimenti sociali e popolari, componendo una coalizione diversificata ed eterogenea che includeva anche settori progressisti della Chiesa cattolica (ispirati all'insegnamento sociale cristiano), forze democratiche che resistevano alla dittatura, militanti sindacali, associazioni, organizzazioni socialiste rivoluzionarie e una vasta gamma di attori della società civile provenienti dai movimenti femminista, ambientale, di liberazione dei neri e dei diritti dei gay, nonché difensori dei diritti umani.
Intorno al nucleo della leadership di un lavoratore dell’industria, una complessa rete di istanze sociali per i diritti e il riconoscimento si è trasformato in un partito di massa della classe operaia, con Lula, fin dall'inizio, nel ruolo di catalizzatore e unificatore. Il manifesto fondativo, lanciato pochi mesi prima dell’arresto di Lula, così esordiva: “Il Partito dei Lavoratori nasce dalla necessità sentita da milioni di brasiliani di intervenire nella vita sociale e politica del paese per trasformarlo. La lezione più importante che la classe operaia brasiliana ha imparato dalle sue lotte è che la democrazia è un risultato che, o costruiremo con le nostre mani, o non arriverà mai”. La libertà, continua il manifesto, non è mai un dono concesso dall'alto, ma sempre il frutto della nostra azione collettiva.
Molte cose sono successe durante quei quasi quattro decenni che separano i due arresti di Lula. Il Partito dei Lavoratori è cresciuto fino a diventare la forza egemonica della vita brasiliana, ottenendo infine la presidenza, con lo stesso Lula, nel 2001. Nel corso del tempo, si è trasformato in una forza politica molto più ambigua. Ha però mantenuto forti legami con i sindacati e i movimenti sociali e ancora oggi gode di ampio consenso. Fondamentalmente la sua opera ha contribuito in modo massiccio ad alleviare la povertà, a sradicare la fame e ha perseguito una politica di piena occupazione che ha spinto i salari verso l'alto.
Ma la politica generale dei governi del PT era conciliante e non ha mai attuato una chiara rottura con il neoliberismo. L'approccio di Lula al potere è stato graduale e prudente e la promessa della democratizzazione di massa e della trasformazione strutturale della società brasiliana, che aveva ispirato la formazione del Partito dei Lavoratori, non è mai stata realizzata.
Alla fine, è stata la destra politica a tradire il patto democratico dell'era post-dittatura, prima con il colpo di stato parlamentare contro il presidente Dilma (la prima donna presidente del Brasile, anche del Partito dei lavoratori) e poi con il processo politico imbastito contro Lula, culminato con l’arresto nel 2018. E’ stata quest’ultima violazione delle regole democratiche che, alla fine, ha impedito a Lula di candidarsi alle elezioni presidenziali nelle quali tutti i sondaggi lo davano vincente. L'élite brasiliana non è più disposta a scendere a compromessi.
Il revanscismo dell’élite brasiliana
Ma perché le élite temono ancora Lula? Si sente dire correntemente in Brasile che Lula suscita una sorta di odio istintivo di classe a livello subcosciente: i più ricchi non hanno davvero nulla da temere da Lula (dopo tutto, ha governato con loro!), Ma non possono che disprezzarlo per le sue umili origini e il suo background di lavoratore manuale.
Forse c'è qualcosa di questo. Ma la festa di piazza che è scoppiata spontaneamente dopo la sua liberazione, l'entusiasmo che molti dei lavoratori poveri provano ancora per di lui, suggerisce un'altra spiegazione. Lula simboleggia la minaccia della politica della classe operaia. Non è un caso che abbia scelto la sede del suo sindacato (il sindacato dei metalmeccanici) per radunare i suoi sostenitori nei giorni immediatamente precedenti il suo arresto, e non è un caso che sia a quel sindacato che è tornato dopo aver lasciato la prigione. È lì, circondato da operai e attivisti, che Lula si sente a casa. Fu in quel sindacato, talvolta Lula confessa, che la sua vita acquistò significato.
In una recente lettera, indirizzata alla conferenza annuale del Partito laburista britannico e pubblicata su Tribune, Lula ha scritto: “Ero un leader sindacale, ho contribuito a creare il Partito dei lavoratori (PT) e ho avuto l'onore di essere eletto e rieletto presidente del mio paese. Mai prima d'ora un operaio aveva raggiunto l'ufficio più alto del Brasile. Per questo motivo, dovevo dimostrare che la classe operaia è in grado di governare”. Lo ha detto, e ne è orgoglioso. È la sua natura, fino al midollo.
Nel suo ultimo discorso, prima di costituirsi, Lula ha confortato la folla di fronte al sindacato dei metalmeccanici dicendo: “I pochi potenti possono uccidere una, due o tre rose, ma non possono mai fermare l'arrivo della primavera. E la nostra lotta è per la primavera".
Ieri abbiamo visto rose di solidarietà provenienti da leader di sinistra di tutto il mondo, come Bernie Sanders, Jeremy Corbyn e il sindaco di Barcellona Ada Colau. Ma in Brasile stiamo ancora aspettando la primavera. Con un governo autoritario che diventa sempre più repressivo mentre raddoppia le politiche di austerità, privatizzazione e precarizzazione, avremo bisogno della massima solidarietà internazionale possibile. La classe lavoratrice brasiliana e la sinistra sono sotto l'attacco di un vizioso progetto politico, articolato a livello globale con le correnti più reazionarie del mondo. Possiamo battere la destra populista solo con un movimento internazionalista della classe operaia. La nostra arma è la solidarietà, la nostra lotta è internazionale.
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