Crisi Siriana
Al potere in Iraq, gli sciiti sono favorevoli al mantenimento del regime siriano
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L’Orient Le Jour, 26 aprile 2011
Al potere in Iraq, gli sciiti sono favorevoli al mantenimento del regime siriano
Gli sciiti iracheni, che governano il paese dal 2003 dopo la caduta del partito Baas di Saddam Hussein, sono in generale favorevoli al mantenimento del regime baasista in Siria, temendo un arrivo al potere dei sunniti a Damasco, che avvelenerebbe il clima in Iraq.
Se ufficialmente l’Iraq, per la voce del suo primo ministro Nouri al-Maliki, ha giustificato le manifestazioni nel mondo arabo con la “tirannia” e “l’oppressione” subite dai popoli, gli uomini politici sciiti sono più prudenti.
“Il partito Baas in Siria è completamente diverso dai criminali baasisti che hanno governato l’Iraq e non dobbiamo dimenticare che i suoi dirigenti hanno aiutato l’opposizione a Saddam Hussein”, afferma Jalal Edinne Saghir, un dirigente del Consiglio Superiore Islamico dell’Iraq (CSII), uno dei principali movimenti religiosi sciiti. “Le due formazioni portano effettivamente lo stesso nome, ma non bisogna metterli sullo stesso piano. In ogni caso, bisogna essere consapevoli che l’Iraq sarà il paese più colpito da una eventuale destabilizzazione della Siria”, aggiunge.
Fondato a Damasco nel 1947, per iniziativa di un cristiano, Michel Aflaq, e di un mussulmano, Salah Bitar, questo partito laico, che tiene insieme nazionalismo arabo e socialismo, ha assunto il potere con la forza in Siria nel 1963 e in Iraq nel 1968. In ciascuno dei due paesi era diretto da minoranze, alawita in un paese a maggioranza sunnita in Siria, sunnita in un paese a maggioranza sciita in Iraq. Ma rapidamente le due ali di questo partito panarabo sono entrate in conflitto, e il 18 agosto 1980 la Siria e l’Iraq hanno rotto le relazioni diplomatiche in quanto Damasco ha sostenuto Teheran dopo l’invasione del paese da parte di Saddam Hussein. Il regime siriano ha accolto gli oppositori sciiti, soprattutto Nouri al-Maliki.
“Non vi è alcun dubbio che sei i salafisti (sunniti ultraconservatori) arrivassero al potere, ciò aggraverebbe il conflitto confessionale nella regione”, spiega lo sceicco Saghir. Il deputato Khaled al-Assadi, vicino a Maliki, è convinto che “vi siano interferenze straniere nella situazione siriana e, come abbiamo fatto per quanto accaduto in Bahrein, noi respingiamo ogni interferenza diretta a indebolire un paese ed a spingerlo verso conflitti confessionali”. L’Iraq aveva condannato l’intervento saudita in Bahrein contro la maggioranza sciita di questo regno e al-Assadi lascia intendere che Riyad aiuterebbe i sunniti in Siria contro la minoranza alawita al potere, che è uno spezzone dello sciismo.
“Noi temiamo che i salafiti arrivino al potere come è successo in diverse città di Anbar, Salaheddine e Ninive”, afferma Latif al-Amidi, studente di una scuola religiosa nella città sanata sciita di Naiaf. Allude all’arrivo dei “jaidisti” nelle regioni sunnite dopo l’invasione USA del 2003, la cui componente più nota è Al-Qaida. Essi sono all’origine di un sanguinoso conflitto confessionale che ha fatto decine di migliaia di morti.
Per Hamid Fadel, professore di Scienze Politiche all’Università di Bagdad, gli sciiti iracheni, che hanno atteso 80 anni prima di accedere al potere, temono di essere accerchiati da regimi sunniti. “Tutto ciò che accade in Siria tocca immediatamente l’Iraq e sebbene il regime baasista possa aver giocato un ruolo negativo nel passato, è sempre meglio di un regime islamista”, dice.
Il governo iracheno ha nel passato accusato la Siria di aver consentito il passaggio di insorti e di aver dato rifugio a dei baasisti iracheni che fomentavano attentati.
“Se gli islamisti arrivano al potere, è chiaro che saranno stati aiutarti dall’Arabia Saudita e da altri paesi sunniti e questo coinvolgerà anche l’Iraq perché tenteranno di stabilire rapporti con i sunniti al fine di operare contro un governo dominato dagli sciiti”, spiega un analista. “Inoltre – prosegue – un mutamento di regime a Damasco rafforzerebbe anche i Curdi in Iraq, che si sentiranno incoraggiati a passare dall’autonomia di cui oggi godono all’indipendenza che rivendicano”.