Siria, novembre 2011 - Nel suo ruolo di negoziatore e facilitatore tra il governo siriano e l’opposizione internazionale, la Turchia potrebbe fare molto, ma provocare la Siria alla frontiera, impartire lezioni a Bashar al Aassd come se fosse il governatore di una provincia ribelle dell’epoca ottomana  e sostenere quelli che uccidono i cittadini siriani non è certo un buon metodo (nella foto, Bashar al-Assad e Recep Tayyip Erdogan)





www.palestinechronicle.com, 21 novembre 2011


La Turchia ha delle mire sulla Siria: si prepara una nuova guerra
Jeremy Salt (*)


Ankara. Certamente per la prima volta nella storia della Repubblica turca, un governo turco ha adottato una politica di scontro aperto nei confronti di un altro paese che non l’aveva affatto provocato. I cittadini di questo paese, la Siria, sono stupefatti. La Turchia ha impiegato degli anni per aggiustare le proprie relazioni coi paesi vicini, approfittando di una forza profonda anche se non ostentata e con l’obiettivo di “zero problemi”. A tutti i livelli questa politica è stata un successo. Da qualche mese, però, sotto l’impatto della sedicente “primavera araba”, essa è stata virtualmente abbandonata nello spazio di una notte. Ha lasciato il posto alle minacce, ad una aggressività bellicosa e il sostegno ad un gruppo armato che tenta di rovesciare un governo col quale la Turchia  aveva relazioni di amicizia fino a non molto tempo fa.

Il primo ministro turco ed il suo ministro degli affari esteri hanno invitato il governo siriano a “porre fine alla violenza”, ma non hanno parlato di quella violenza di cui il governo siriano non è responsabile. Alcune bande armate – alcune delle quali apparentemente salafiste ed altre pagate per creare il caos – attaccano i soldati, i poliziotti e i civili, fin da quando sono cominciate le manifestazioni.  Il governo può anche ritirare tutti i suoi tank dalle strade, ma questo non fermerà la violenza di queste bande (alle quali si aggiungono ora i disertori dell’esercito) e anzi la cosa potrebbe essere considerata come un segno di debolezza e incoraggiare le violenze. Sui 3.500 siriani che sarebbero stati uccisi negli ultimi sette mesi, un buon numero, tra cui molti civili e più di 1100 soldati, sono stati uccisi da queste bande.  La violenza ha preso completamente il posto del movimento riformista pacifico e, dopo il recente attacco alla Libia, i Siriani sono consapevoli di quanto potrebbe accadere se gli Stati Uniti e i loro alleati intervenissero.  Bachar al-Assad è innegabilmente popolare tra gran parte del popolo e , dopo le decisioni ostili assunte dalla Lega araba influenzata dal Qatar, i Siriani rinserrano ancor più i ranghi dietro il loro presidente. Si trovano di fronte lo spettro di un intervento armato nel loro paese e di una devastazione ben peggiore di quella subita dalla Libia in nome della “responsabilità di proteggere”.

I Siriani sono molto consapevoli della brutalità del Mukhabarat (i servizi di informazione) e della corruzione che regna nelle alte sfere del governo. Si può dire senza timore di sbagliarsi che la maggior parte di essi desidera riforme. Il problema è come ottenerle e a quale prezzo. Molti manifestano ma niente prova che la maggioranza (compresa la gran parte dell’opposizione interna) desideri altro se non delle riforme politiche. Essi sono molto contrari ad un intervento straniero e non apprezzano per niente l’ingerenza della Turchia nei loro affari interni.  Una volta la Siria ha dato asilo ad Abdullah Ocalan. La Turchia ha minacciato di attaccare il paese se non si fosse liberato di lui. Sono anni ormai che la Turchia deve sopportare attacchi del PKK contro i suoi soldati che provengono dall’altra parte della frontiera, e tuttavia il suo governo sostiene adesso un uomo, Riad al Assad, il cui “esercito siriano libero” fa esattamente la stessa cosa. Di più, attaccando la Siria, la Turchia si è messa dalla parte del torto con l’alleato della Siria, l’Iran, del quale ha bisogno per essere aiutata contro il PKK. Sarebbe davvero poco ragionevole confidare per questo negli Stati Uniti che giocano da lustri con la questione curda.

La violenza contro i soldati e i civili non è “nuova”, al contrario dura da mesi. Gli stock di armi ritrovati in una moschea di Dar’a, dove sono cominciate le manifestazioni quando dei bambini sono stati arrestati per aver fatto dei disegni anti-governativi su un muro, lasciano pensare che vi fossero gruppi siriani pronti, in attesa di una occasione. Grandi quantità di armi – fucili a pompa, mitragliette israeliane e lancia missili – vengono introdotte in Siria di contrabbando, insieme a danaro ed a sistemi di comunicazione sofisticati. E’ provato che degli uomini hanno indossato la divisa dell’esercito per fare in modo che l’esercito venisse accusato di uccidere i manifestanti. Alcuni arrestati hanno confessato di aver sparato sui manifestanti per la stessa ragione. Ci sono, è vero, due diverse versioni dei fatti qui che si contraddicono – la versione di Al Jazeera, secondo cui la violenza è stata praticata solo dall’esercito fino a quando dei “transfughi” dell’esercito hanno cominciato a rispondere al fuoco, e quella del governo siriano, che afferma che le gang armate hanno provocato il caos nel paese molto prima che i “transfughi” si unissero a loro. Come sempre, non ci sono versioni dei fatti che siano completamente vere o completamente false, ma vi sono molte prove, anche se esse sono passate sotto silenzio, che sembrano corroborare quanto afferma il governo siriano. Una gran parte delle accuse lanciate contro il governo siriano vengono da gruppi di esuli come l’Osservatorio siriano per i diritti umani. E Al Jazeera le riprende spesso senza verificarle. Ghassan bin Jiddu, il responsabile della sede di Beirut, ha trovato i pregiudizi del canale sulle vicende siriane e libiche talmente scandaloso, che ha dato le dimissioni.

Ciò che accade in Siria porta il marchio di un complotto organizzato dagli Stati Uniti e i loro alleati del Golfo. L’obiettivo non sono le riforme perché esse avrebbero rischiato di mantenere il partito Baath al potere. L’obiettivo è di rovesciare il governo per sopprimere un ostacolo di vecchia data alle politiche USA e israeliane. D’altra parte i Sauditi avrebbero piacere a vedere il potere degli Alawiti  - Sciiti eterodossi – spezzato per sempre.

Giudicando dal loro passato, può prevedersi  che gli Stati uniti non vorranno perdere una simile occasione. Essi si sono ingeriti nella politica siriana da quando la CIA contribuì a portare al potere Husni al Zaim durante il primo dei colpi di stato del 1949. Il Dipartimento di Stato ha inserito la Siria nella lista degli Stati che “sponsorizzano il terrorismo” nel 1979. Negli anni 1980, gli Stati Uniti e Israele hanno attaccato briga con la Siria in Libano, ma Hafiz al Assad si è mostrato più furbo di loro. Nel 2005 gli Stati Uniti e i Libanesi che lavoravano per loro hanno accusato la Siria di avere assassinato Rafiq Hariri. Si sono serviti dell’assassinio per costringere la Siria a evacuare le sue truppe dal Libano, ma le loro accuse si sono rivelate infondate quando, l’anno successivo, i quattro generali arrestati sono stati rilasciati per mancanza di prove.  Il conflitto con la Siria coinvolge anche gli Hezbollah. Nel 2000 Hezbollah è riuscita a costringere Israele a porre fine alla sua lunga occupazione del sud del Libano. Israele sperava nella rivincita e nel 2006 – con l’aiuto degli Stati Uniti – ha lanciato un attacco devastatore contro il Libano con l’intenzione di distruggere Hezbollah. Ha subito un rovescio molto umiliante. Anche con la copertura dell’aviazione, i suoi soldati non sono riusciti a conservare il controllo dei villaggi situati a qualche chilometro dalla linea dell’armistizio. La caduta del governo di Saad Hariri in gennaio ha dimostrato la potenza di Hezbollah e la sua capacità di sventare le manovre dei suoi nemici. Poco dopo, la sollevazione del Bahrein sembra aver convinto i Sauditi che bisognava fare qualcosa contro lo sciismo rinascente. L’obiettivo finale resta evidentemente l’Iran.

In questa lotta contro il regime siriano, gli Stati Uniti hanno utilizzato tutte le armi di cui disponevano. Nel 2003 il Congresso USA ha approvato il Syria Accountability and Lebanese Sovereignty Act – Salsa  (legge della responsabilità della Siria e della sovranità del Libano), che vietava alle compagnie USA di fare commercio con la Siria e in Siria. La lobby israeliana ha avuto grande influenza nell’approvazione di questa legge. Attraverso la mediazione dello State Department’s Middle East Partnership Initiative – MEPI – (Iniziativa di partenariato del Dipartimento di Stato col Medio oriente), gli Stati Uniti avevano finanziato gli esiliati e i movimenti siriani e avevano anche fatto pervenire loro del denaro in Siria, attraverso alcune organizzazioni.  Non ci si può aspettare di trovare delle impronte digitali e ancor meno un “fucile fumante” ma, secondo alcune fonti degne di fede, l’ex ambasciatore saudita negli Stati Uniti, il principe Bandar bin Sultan, e l’ex ambasciatore statunitense in Libano ed attuale segretario aggiunto di Stato per il Medio oriente, Jeffrey Feltman, avevano cominciato a lavorare su un progetto di destabilizzazione della Siria già nel 2008. Il complotto si articolava su vari livelli, coinvolgeva molta gente e disponeva di un budget di due miliardi di dollari.

Colti di sorpresa dall’ondata di rivoluzioni popolari abbattutasi sulla regione, gli Stati uniti e i loro alleati hanno presto ripreso in mano la situazione e fatto del loro meglio per volgere “la primavera araba” a loro vantaggio.  E’ stato necessario abbandonare Ben Ali e Mubarak, ma quando sono cominciate le sollevazioni a Bengasi, sono intervenuti rapidamente. Sulla base delle menzogne propinate al Consiglio dei diritti umani dell’ONU, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha votato “una zona di esclusione aerea”, diventata subito il pretesto per un attacco aereo generalizzato contro la Libia per rovesciare Gheddafi. Il Qatar ha giocato il suo ruolo, così come gli Stati uniti, l’Inghilterra e la Francia, fornendo centinaia di soldati e il sostegno propagandistico del suo canale satellitare. Non c’è stata una rivoluzione popolare in Libia. Solo un’infima minoranza di Libici voleva un intervento straniero. Gheddafi beneficiava di un largo sostegno popolare, che non dispiaceva al resto del mondo, ma sette mesi più tardi gli Stati uniti e i loro alleati avevano quello che volevano. Il centro di Sirte è in rovina e decine di migliaia di Libici sono stati uccisi col pretesto di proteggerli. Il paese più sviluppato dell’Africa è stato ridotto in niente non dal suo popolo ma dall’intervento delle potenze straniere.

Adesso hanno le mani libere per occuparsi della Siria.

Oltre al sostegno finanziario ed altro agli esiliati siriani, ed oltre al sostegno assicurato all’opposizione interna in Siria, gli Stati Uniti si sono impegnati apertamente ad aggravare la situazione in Siria con tutti i mezzi possibili. L’ambasciatore si è recato ad Hama prima della preghiera del venerdì avvisando che sarebbe stato lì. Quando il governo siriano ha proposto l’amnistia per coloro che avessero consegnato le armi, se non si fossero resi colpevoli di gravi delitti, gli Stati Uniti hanno consigliato ai Siriani di non consegnarle.

Dietro lo schermo della “primavera araba” gli Stati Uniti sembrano essersi impegnati in una grande pulizia di primavera. L’Iraq è stato messo fuori combattimento nel 2003 e lo stesso è stato fatto adesso in Libia, ma restano ancora tre ostacoli – gli Hezbollah, la Siria e l’Iran – di cui sbarazzarsi. Per risolvere la questione, oltre alla guerra economica, alla sovversione e ad un eventuale attacco militare, c’è la strategia del “dialogo” con i Mussulmani sunniti ostili sia all’Iran che all’Islam sciita. In cima alla lista ci sono i Fratelli Mussulmani che sono prossimi a prendere il potere in Egitto. L’ideologia del Partito  per la Giustizia e lo Sviluppo in Turchia costituisce una versione liberale delle posizioni politiche dei Fratelli Mussulmani, nella forma che assumeranno necessariamente in Egitto. Il legame che li collega è l’Arabia Saudita, che ha investito molto in Turchia e che sarà il maggiore sostegni finanziario dei Fratelli se (e più esattamente quando) arriveranno al governo in Egitto.  Secondo l’Agenzia France Presse, una fonte affidabile, l’estate scorsa il primo ministro turco avrebbe detto a Bashar al Assad che se avesse fatto entrare i Fratelli Mussulmani al governo, l’avrebbe aiutato a controllare l’opposizione. Giacché i Fratelli Mussulmani sono fuori legge in Siria, questa proposta equivale, pressappoco, a dire al primo ministro turco che se associasse  il PKK al governo, lo si aiuterebbe a controllare i curdi. Ovviamente Bashar avrebbe risposto no. Il modo con cui il primo ministro turco attacca oggi il presidente siriano – dicendo che egli si nutre del sangue del suo popolo e di altre cose di questo tipo – lascia pensare che questo rifiuto sia stato vissuto come una offesa personale.

Alcune tra le voci più estremiste del mondo mussulmano invocano adesso il rovesciamento del governo secolare “eretico” di Damasco. Una è quella dell’impetuoso Yusuf Qaradawi, che vive in Qatar. Al Jazeera, che appartiene al governo del Qatar, fa il suo gioco diffondendo la propaganda nel mondo, come ha già fatto durante l’attacco contro la Libia (un critico arabo l’ha definita la “voce della NATO”).

Ora la Lega araba, un organismo inutile, lancia ultimatum ai quali il governo siriano è nell’incapacità di adeguarsi. Esso non può porre fine alla violenza perché essa non dipende solo da lui, ma ciò che è scritto è scritto e bisogna leggerlo. La Lega araba non fa altro che dare una faccia araba ai piani occidentali. L’ingerenza di questa organizzazione araba che non ha mai fatto niente per la Palestina né per alcuna altra causa araba ha fatto arrabbiare il popolo siriano. Poco a poco la crisi è stata deliberatamente aggravata nell’intento di costringere la Siria nell’angolo e preparare la scena per un intervento armato. Se gli Stati Uniti non riusciranno a ottenere dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU la risoluzioni che vorrebbero, a causa del veto russo e cinese, la Turchia sarà portata a giocare un ruolo centrale in questo processo.

Come tutti i piccoli paesi, la Libia non aveva i mezzi per difendersi dagli attacchi aerei congiunti dell’Inghilterra, della Francia e degli Stati uniti. Ma la Siria non è la Libia. Ha un esercito più potente e risponderà ad un attacco militare. Ha già dovuto battersi per la sua sopravvivenza contro i Francesi, gli USA e Israele e non bisogna quindi farsi illusioni sul modo in cui reagirà a ogni tentativo di attraversare le sue frontiere e di istituire una “zona cuscinetto”. Nessun paese ha il diritto di invadere il territorio di un altro paese e se ciò accedesse scoppierebbe probabilmente una guerra. Non si sa dove, né quando, né in che modo una simile guerra si potrebbe sviluppare, né chi coinvolgerebbe. L’Iran ha un trattato di difesa con la Siria e dunque dovrebbe attenersi a quanto in esso previsto. Hezbollah ha già minacciato di rispondere ad un simile attacco attaccando a sua volta Israele. Un conflitto tra la Turchia e la Siria aprirebbe la porta ad un intervento della NATO. Per impedire l’accerchiamento del Medio oriente e l’invasione dell’Asia centrale del Caucaso da parte dell’esercito statunitense, la Russia e la Cina potrebbero decidere di demarcare una linea sulla sabbia. Bisogna prendere sul serio l’avvertimento di Bashar, secondo cui sarebbe un grave errore attaccare la Siria. Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno seminato la distruzione in due paesi arabi nel corso degli ultimi otto anni e attualmente ne hanno un terzo nel mirino. Non si tratta solo qui del medio Oriente o della regione, ma dell’equilibrio del potere nel mondo. Bisogna chiedersi se i governanti turchi si rendano veramente conto di ciò che è in gioco.

In una corta lista di attori che ritengono di poter trarre profitto da una guerra figurano gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo, Israele (dove tuttavia vi è diversità di opinioni sul punto), i Fratelli Mussulmani e i gruppi salafisti del Medio oriente che progettano di istaurare uno stato islamico. A Washington lo stesso gruppo di persone screditate – i neo conservatori – che hanno fatto la campagna in favore della guerra in Iraq e che vogliono oggi la guerra all’Iran sono felicissimi di quanto sta accadendo sulla frontiera siriano-turca. Essi non vedono molto al di là del loro naso, ma i loro progetti di guerra contro l’Iran e la Siria sono di lunga data. La distruzione del governo siriano e dell’alleanza strategica tra Iran, Siria ed Hezbollah costituirebbe una vittoria strategica di valore incomparabile per gli Stati Uniti e i suoi alleati arabi. La maggior parte di questi governi non accordano affatto ai loro cittadini le libertà che rivendicano per il popolo siriano. In Arabia Saudita le donne non hanno nemmeno il permesso di guidare l’auto. In Qatar possono, ma il Qatar non ha costituzione, né Parlamento né sindacati ed un sistema di lavoro “patrocinato” (il qafil, che è il nome che si dava al giogo di legno che si metteva al collo degli Africani per portarli in schiavitù) che permette ai datori di lavoro di impedire ai lavoratori di entrare o uscire dal paese.

Nel suo ruolo di negoziatore e facilitatore tra il governo siriano e l’opposizione internazionale, la Turchia potrebbe fare molto, ma provocare la Siria alla frontiera, impartire lezioni a Bashar al Aassd come se fosse il governatore di una provincia ribelle dell’epoca ottomana  e sostenere quelli che uccidono i cittadini siriani non è certo un buon metodo.


(*)Jeremy Salt insegna Storia del Medio oriente moderno nel Dipartimento di Scienze politiche della Bilkent University, Ankara. In precedenza ha insegnato alla Bogazici (Bosporus) University di Istanbul e all’Università di Melbourne. Ha pubblicato diverse opere, tra cui The Unmaking of the Middle East : A History of Western Disorder in Arab Lands (University of California Press, 2008).


Originale :
http://www.palestinechronicle.com/view_article_details.php?i...

 

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