Siria, marzo 2012 - Un rapporto sulla Siria è stato reso pubblico venerdì a Parigi dalla delegazione di esperti che si è recata dal 3 al 10 dicembre in questo paese per  valutare “in tutta indipendenza e neutralità” la situazione ed incontrare i protagonisti della crisi che dura da mesi (nella foto, manifestazione a Damasco contro l'intervento straniero)






AfriqueAsie, 20 février 2012 (trad.Ossin)



Un rapporto sulla Siria svela le falsificazioni mediatiche dell’Occidente
APS


Un rapporto sulla Siria è stato reso pubblico venerdì a Parigi dalla delegazione di esperti che si è recata dal 3 al 10 dicembre in questo paese per  valutare “in tutta indipendenza e neutralità” la situazione ed incontrare i protagonisti della crisi che dura da mesi.


Questa missione di valutazione è stata organizzata per iniziativa del centro internazionale di ricerca e di studi sul terrorismo e di aiuto alle vittime del terrorismo (CIRET-AVI) e del Centro francese di ricerca e di informazione (CF2R).


La delegazione era composta dalla signora Saida Benhabyles, ex ministro algerino della solidarietà nazionale, Premio delle Nazioni Unite per la società civile e membro fondatore del CIRET-AVT, Anne-Marie Lizin, presidente del Senato belga, Richard Labèvière, scrittore e specialista del Vicino e Medio Oriente, oltre che da Eric Denécé, direttore di CF2R.


Nella presentazione del rapporto, intitolato “Siria: una libanizzazione fabbricata”, gli autori hanno, nel corso di una animata conferenza stampa, alla presenza di numerosi media francesi e stranieri accreditati, ricordato le origini e il contesto della rivolta in Siria e precisato che la missione era specificamente destinata a fornire una visione diversa da quella che viene diffusa dai paesi e dai media occidentali.


Hanno anche ricordato che, partita come un movimento sociale simile a quelli che hanno dato il via alle primavere 2011 in Tunisia, poi in Egitto, in Libia ed in Yemen, questa accelerazione della storia si è presto trasformata  in uno scontro politico e un confronto interconfessionale fabbricato da manipolazioni esterne e si è poi allargato, fino a costituire l’epicentro di una crisi regionale e internazionale che può essere definito di “libanizzazione della crisi siriana”.


A proposito della dimensione mediatica della crisi siriana, questi esperti hanno affermato che vi è una enorme differenza tra la situazione sul campo e la visione che ne viene data dai media anglo-sassoni e arabi, sottolineando l’intensa campagna mediatica in atto contro Damasco.


Hanno inoltre constatato, secondo quanto riferito, che vi sono due opposizioni. Quella interna che, anche denunciando “la mancanza di democrazia”, purtuttavia rifiuta ogni ingerenza straniera negli affari interni del paese, rivendica una soluzione siro-siriana della crisi e aspira alla pace.


L’opposizione esterna, essenzialmente basata all’estero, è in rapporti coi regimi occidentali che preparano un intervento internazionale.


Soffermandosi sul trattamento mediatico della crisi, la missione ha sottolineato che la crisi siriana è oggetto di una “vera guerra mediatica” che coinvolge massicciamente i mezzi di comunicazione e viene condotta attraverso i media internazionali, le radio USA, i media libanesi, oltre che i media francofoni, “che restano attori molto secondari” in questa vicenda, e riprendono spesso “senza verificarle” le informazioni dei grandi media arabi e anglo-sassoni.


Hanno anche constatato che la posizione della stampa internazionale e degli attori stranieri è stata di agire “come se assolutamente niente di vero e di positivo” venisse dal regime di Damasco, che è stato considerato per principio come responsabile di tutti i mali. “Ciò ha spinto l’opinione pubblica contro i paesi occidentali e i loro giornalisti”, secondo una delle testimonianze citate dai componenti della delegazione.


Un’altra testimonianza riportata afferma che nessuno ha tentato di spiegare i tentativi del governo siriano che aveva annunciato un programma di riforme politiche come mossa anticipata rispetto alla scoppio di una rivoluzione come le altre primavere arabe e che nessun media internazionale parla delle manifestazioni contro un possibile intervento straniero, che pure si svolgono frequentemente.


I membri della missione hanno anche riferito che le persone intervistate sul campo si sono lamentate del fatto che vengano ascoltate solo le “voci dell’estero” e che “le posizioni più dure” contro il regime vengono dall’estero, dalla stampa internazionale ben più che dall’interno del paese.


Hanno anche rapportato che parecchie emittenti satellitari arabe hanno diffuso delle immagini falsificate dell’Egitto o dello Yemen, riprese diverse settimane o addirittura mesi prima, affermando che erano state girate in Siria e spesso queste riprese non corrispondevano né alla stagione né alle condizioni atmosferiche del giorno.


“Al Jazeera non ha fatto altro che mentire in modo estremamente rivoltante e contribuisce direttamente all’aggravamento della crisi. Le incitazioni all’odio e agli scontri interconfessionali dei media arabi hanno avuto seguito a Homs. La città è caduta nella trappola degli scontri inter-religiosi. Il governo non ne è responsabile. Sono i media e i religiosi stranieri che attizzano il fuoco”, secondo le parole della leader delle donne sunnite siriane Hasma Kaftaro, anch’essa citata nel rapporto.


L’unica personalità ufficiale ad essere stata intervistata dai membri della delegazione è Adnan Mahmoud, ministro siriano dell’informazione, che ha loro dichiarato che i media internazionali sono “gli attori più importanti del conflitto. Alcuni media sono partner dei gruppi armati che operano all’interno, che talvolta obbediscono perfino ai loro ordini. I messaggi trasmessi sono solo diffamazioni e incitamento all’odio. Il linguaggio usato incita alla violenza e alla divisione, estremizza i conflitti etnici e confessionali”.


I componenti della delegazione sottolineano anche che, di fronte a questo torrente di disinformazione “largamente infondato”, il governo siriano, “impreparato alla guerra dell’informazione, è sembrato totalmente inadeguato. Le sue reazioni sono maldestre, inappropriate e non hanno ottenuto altro risultato se non quello di rafforzare il sospetto nei suoi confronti”.


“I piani di comunicazione del governo siriano hanno come obiettivo prioritario l’opinione pubblica interna e solo in margine l’opinione internazionale. I rari tentativi si sono dimostrati relativamente controproducenti. Mancanza di preparazione, non padronanza delle tecniche di comunicazione e del timing della programmazione, queste operazioni si sono quasi sempre rivoltate contro le autorità di Damasco”, si legge nelle conclusioni del rapporto presentato alla stampa.
 

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