Crisi Siriana
Un altro sguardo sulla Siria
- Dettagli
- Categoria: crisi siriana
- Visite: 7139
Afrique Asie, dicembre 2012 (trad. Ossin)
Un altro sguardo sulla Siria
Bahar Kimyongur
Grazie ad uno sforzo sovrumano dei media dominanti, l’opinione pubblica occidentale ha imparato a conoscere i volti presentabili della “rivoluzione” siriana, che però sono del tutto sconosciuti in Siria. Bassma Kodmani, Bourhane Ghalioun, Abdelbasset Sayda o ancora Georges Sabra, donne e uomini di paglia delle nostre cancellerie, sono serviti a tenere nascosti i veri protagonisti della rivolta, come l’effervescente telecoranista Adnane Arour, noto per i suoi inviti ad assassinare i Siriani ostili alla sua missione divina. In realtà, accanto ad Arour, è attiva, all’interno del paese o all’estero, una vera legione di adepti del terrorismo settario e di predicatori del genocidio
All’inizio il movimento popolare siriano propugnava un programma condivisibile: riduzione del prezzo degli idrocarburi, lotta alla corruzione, sovvenzione da parte dello Stato delle derrate di base, libertà di espressione, cessazione dello stato di emergenza, libertà per tutti i prigionieri politici, cessazione della tortura.
Come fummo felici, noi militanti progressisti, di vedere interi settori della società siriana scendere in piazza per rivendicare pacificamente quei diritti che erano stati loro confiscati da uno Stato liberticida che aveva a poco a poco tradito tutti i suoi ideali egalitari, in nome “dell’economia sociale di mercato” (cfr. X° Congresso del partito Baas nel 2005).
Come ci indignammo, noi militanti democratici, per la sanguinosa repressione poliziesca dei manifestanti, soprattutto a Deraa.
Restammo stupefatti, noi militanti avvertiti, nel vedere il rapido sorgere dal nulla di una ribellione armata della quale non si conoscevano gli obiettivi.
Questa radicalizzazione era d’altra parte tanto più inopportuna nel momento in cui il movimento popolare si trovava impegnato in una dinamica riformatrice relativamente efficace, in quanto era sostenuta dall’autorità del Presidente per isolare i cacicchi del regime e gli altri capetti “più realisti del re”.
Accogliendo le richieste della piazza, il presidente siriano promise di punire i responsabili della repressione, come conferma questo dispaccio dell’AFP del 20 marzo 2011 ( http://www.lexpress.fr/actualites/syrie-sanglant ), cosa che effettivamente fece rimuovendo Fayçal Kaltoum e Iyad Ghazal, i governatori di Deraa e di Homs.
Ma nello stesso tempo cominciarono ad essere uccisi dei manifestanti, dei poliziotti, in diverse città, tra cui Deraa, che fecero pensare si fosse caduti in una incontrollabile spirale di violenza.
Era evidente che qualche provocatore si serviva della folla per sparare sulla polizia.
In questo preciso momento l’occidente ha spento telecamere e microfoni e ha cominciato a propinarci uno storytelling che non sta in piedi e degno dei peggiori momenti della guerra fredda.
Il quotidiano arabo pubblicato a Londra Al Quds al-Arabi del 24 marzo 2011 ha riportato entrambe le versioni, quella dell’opposizione e quella del governo:
“Secondo alcuni testimoni, le forze dell’ordine hanno attaccato il 23 marzo una moschea utilizzata come Quartier Generale dai manifestanti, uccidendo almeno uindici persone. Ma il regime fornisce un’altra versione: accusa una gang armata, che avrebbe nascosto delle munizioni in questa moschea, di avere sparato contro un’ambulanza e dei poliziotti.
L’AFP fece altrettanto, senza però approfondire la seconda pista: “Le autorità hanno attribuito la responsabilità degli scontri ad una ‘gang armata’, che ha accusato di avere ucciso quattro persone e di avere ‘immagazzinato delle armi nella moschea’ Al-Omari a Deraa”.
In Occidente nessuno presta fiducia alla “propaganda del regime”.
In una “breve” pubblicata l’8 aprile 2011, vale a dire appena tre settimane dopo lo scoppio della “primavera siriana”, il quotidiano Ouest-France si interrogava mellifluamente: 19 morti e 75 feriti tra le forze dell’ordine a Deraa?
Questo piccolo punto interrogativo assassino, piantato nel cuore delle vittime militari della terribile guerra che si annunciava, era rivelatore dello stato d’animo delle nostre redazioni. Secondo loro, siccome la Siria è uno Stato poliziesco, certamente i media statali mentono.
Il 10 aprile 2011, vale a dire solo 3 settimane dopo l’inizio degli scontri a Deraa, venne tesa una imboscata ad un convoglio militare a Baniyas, sull’autostrada Lattaquié-Tartous:
In questo attacco, le cui immagini sono state diffuse due giorni dopo dalla emittente filo-governativa Addounya, si è saputo che sono stati uccisi 9 soldati ed altri 45 sono stati feriti.
I media occidentali si sono inventati che si era trattato della esecuzione di soldati che si erano rifiutati di sparare sui manifestanti (cfr. Sharmine Narwani, Questioning the Syria “Casualty Lista”, Al Akhbar, 28 febbraio 2012, http://english.al-akhbar.com/content/questioning-syrian-%E2%... ).
Salvo la stampa ufficiale siriana e alcuni cineasti indipendenti, nessuno ci ha mostrato i funerali di questi morti lealisti che, agli occhi dell’Occidente, semplicemente non esistono:
Gli inquirenti siriani ci hanno messo poco a scoprire il coinvolgimento dell’ex procuratore militare ed ex vice presidente siriano Abdelhalim Khaddam in questo attacco.
Originario di Jableh, una città costiera sita 25 chilometri a nord di Baniyas, Khaddam fece defezione nel 2005 per andare a sistemarsi in un palazzo parigino generosamente messo a disposizione dal fu primo ministro libanese Rafiq Hariri. Questo attacco armato ha segnato il rientro folgorante di Khaddam sulla scena siriana nei suoi nuovi abiti di “padrino” di una rivoluzione chiaramente settaria.
Si potrebbe pensare si tratti di una manipolazione del regime siriano.
Però anche il feroce oppositore del regime Haytham al-Maleh puntò sulla pista Khaddam (come su quella di Rifaat al-Assad, lo zio di Bachar, criminale di guerra, oppositore corrotto da molti anni e alleato degli Stati del Golfo), nel corso di una intervista rilasciata il 12 aprile 2011 a Alix Van Buren per il quotidiano italiano La Repubblica:
http://www.repubblica.it/esteri/2011/04/12/news/dissidente_s...
Quando alcuni predicatori di odio e degli infiltrati considerati vicini a Khaddam (e di conseguenza degli hariristi libanesi) tentarono di appropriarsi del movimento democratico siriano, i media occidentali si levarono come un sol uomo per gridare alla manipolazione da parte del Potere.
Accusarono quest’ultimo di voler seminare la discordia confessionale, per “strumentalizzare le minoranze” a suo vantaggio.
Tuttavia, solo al decimo giorno della “primavera siriana”, vale a dire il 25 marzo 2011, una folla di persone riunite davanti alla moschea Abou Bakr As-Siddiq di Jableh, città natale di Khaddam, gridava: “NO agli sciiti. Né Iran, né Hezbollah”, come si può ascoltare nel video che segue (2 min. 6 sec.)
I gruppi armati ebbero l’astuta idea di utilizzare le moschee come Quartier Generale e come depositi di armi, rendendo più complicata la lotta anti insurrezionale.
Il kalashnikov agitato da uno sceicco salafista in una moschea di Aleppo l’estate scorsa illustra bene il fenomeno della militarizzazione degli spazi religiosi:
Poco a poco, altri slogan venuti fuori dalle fogne della storia si levarono nel corso delle manifestazioni del venerdì, eclissando le legittime rivendicazioni degli oppositori democratici e dei patrioti. “Gli alauiti nella tomba, i cristiani a Beirut”, “Pacifisti, pacifisti, fino allo sterminio degli alauiti”, “Abbasso la democrazia, noi vogliamo la sharia”.
Ogni giorno apparivano nuovi gruppi armati dai nomi presi in prestito dalle gesta islamiche e dalle guerre contro gli “eretici” sciiti e alauiti: Abou Obayda Jarrah, Muawiya ibn Abu Sufyan, Yazid ibn Muawiya, Chimr ibn Jawhan…
Ecco l’annuncio della formazione del battaglione Adnane Arour (dal nome del famoso predicatore macellaio) a Rastane nel marzo 2012:
Il loro intento era senza appello: liberare la Siria dalle sue minoranze, specialmente gli alauiti considerati come degli empi e degli agenti sciiti, porre fine all’asse Damasco-Teheran-Hezbollah, chiamato anche “Fronte del rifiuto a Israele”, fondare un emirato sunnita in Siria e imporre la sharia.
Per comprendere questo connotato settario della rivolta, conviene ricordare qui il clima politico che ha dominato gli anni 2000.
All’epoca, la foto del segretario generale del movimento Hezbollah, Hasan Nasrallah, campeggiava dovunque in Siria affianco a quella del presidente Bachar El Assad, mentre sulle vetrine dei negozi, le facciate delle case, i parabrezza delle auto o ancora nei cortei politici o nelle manifestazioni culturali, la bandiera gialla di Hezbolllah sventolava insieme a quelle palestinese e siriana.
E con ragione: con l’aiuto della Siria, Hezbollah, movimento patriottico libanese a prevalenza sciita, aveva riportato due insperate vittorie su Israele, una il 25 maggio 2000, che le aveva permesso di liberare il Sud del Libano dall’occupazione sionista, e l’altra, nel luglio 2006, all’esito della “guerra dei 33 giorni” quando aveva respinto le colonne dei carri armati di Tsahal.
In una allocuzione pronunciata all’indomani dell’attentato che uccise tre alti responsabili della cellula di sicurezza di Damasco il 18 luglio 2012, Hasan Nasrallah rivelò il ruolo centrale della Siria nelle vittorie di Hezbollah:
Questa seconda vittoria del movimento di resistenza libanese contro Israele fu insperata a più di un titolo. Infatti, rimuginando una vendetta contro Hezbollah e il suo alleato siriano dopo la sconfitta del 25 maggio 2000, Israele era riuscita nel 2005 ad ottenere il ritiro delle truppe siriane e ad indebolire Hezbollah per mezzo di un attentato intelligente contro un nemico dichiarato della Siria, vale a dire il primo ministro libanese-saudita Rafiq Hariri. Il ritiro siriano dal Libano, per effetto dell’operazione della CIA denominata “Rivoluzione del Cedro”, consentì agli alleati di Tel Aviv, Ryad e Washington, soprattutto la Corrente del Futuro di Hariri junior e ai suoi sostenitori salafisti, di occupare il campo lasciato libero dalla Siria, soprattutto la parte Nord del paese a prevalenza sunnita.
A partire dal 2005, Saad Hariri e i suoi compari, come il salafista siriano Naji Kanaan, avviarono una vera e propria guerra sotterranea a carattere confessionale contro la resistenza anti sionista siro-libanese, incarnata dal governo di Damasco e dagli Hezbollah.
Furono anche invischiati in un tentativo di assassinio di Hasan Nasrallah. In Occidente nessuno parlerà di questo attentato, per non macchiare l’immagine del molto bling bling (slang hip hop: gli oggetti ornamentali propri dello stile hip hop, ndt) e docilissimo Saad Hariri.
Alcuni predicatori siriani sunniti videro molto negativamente la fraternizzazione tra Nasrallah e Assad nel loro paese.
Influenzati dai discorsi anti sciiti delle emittenti satellitari del Golfo, interpretarono la solidarietà Hezbollah/Damasco solo sotto il profilo confessionale e l’agitarono come una minaccia anti sunnita.
Quando scoppiò la “primavera siriana” nel marzo 2011, gli hariristi e i salafisti filo-sauditi, attivi nel Nord del Libano, erano già sulla breccia.
Alcuni gruppi armati vicini ad Al Qaida, come Fatah al-Islam, hanno ricevuto danaro, armi e munizioni per lanciare la jihad all’interno stesso della Siria contro gli “agenti sciiti” di Damasco. Hanno dunque approfittato dell’occasione per trasferire la loro lotta anti-Hezbollah sul suolo siriano.
Ciò in quanto la carta confessionale era il mezzo più efficace per reclutare combattenti contro Damasco. Era infatti sufficiente diffondere la menzogna che il regime baatista era ispirato da un programma sciita per galvanizzare la gioventù sunnita povera di Tripoli o di Akkar.
Da notare anche che si trattava di pura propaganda, perché nella sua lotta contro l’imperialismo degli USA e di Israele, mescolando avventurismo e pragmatismo, il regime baatista non è mai stato ispirato da programmi settari. Damasco ha sostenuto Hamas (sunnita) sul piano politico, economico e militare. Difendeva e continua a difendere la causa palestinese, la cui popolazione è in maggioranza sunnita. Nel 1999, la Siria baatista ha accolto il “senza fissa dimora” di Hamas, Khaled Mechaal, che era stato appena cacciato da Amman, la capitale giordana, in un’epoca in cui nessun leader arabo voleva avere niente a che fare con lui.
A partire dagli anni 1970, e qualche volta anche mettendo in pericolo la propria esistenza, Damasco ha offerto alloggio e fucili a un numero incalcolabile di gruppi armati che non erano né sciiti né alauiti, come l’Esercito rosso del Giappone, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, la sinistra rivoluzionaria turca (THKP-C, Devrimci Sol, DHKP-C), o ancora la resistenza nazionale irachena essenzialmente sunnita, in guerra contro l’invasore USA.
Dopo questa parentesi necessaria, torniamo al tema principale, la famosa “primavera siriana” presentata dai media occidentali come una autentica rivoluzione e proprio a lei.
L’opposizione siriana non è uscita indenne da questa guerra per procura scoppiata tra forze sunnite filo-USA e forze patriottiche multiconfessionali (a maggioranza sunnita) vicini a tutto quanto il pianeta offre come paesi non allineati (Iran, Cina, Venezuela, Cuba ecc).
Sbilanciatasi sulla sua estrema destra, l’opposizione democratica siriana ha finito per dividersi tra quelli che si rifiutavano di fare il gioco degli utili idioti al servizio di religiosi fascisti al soldo delle petromonarchie del Golfo, e quelli che consideravano che niente fosse peggio della dittatura baatista.
Dopo diversi mesi di blocco mediatico, alcuni giornalisti occidentali hanno finito con l’accorgersi della presenza di gruppi jihadisti ma, per ingenuità o per interesse, hanno descritto questi gruppi come entità separate dall’Esercito Siriano Libero (ESL) e perfino come una creazione dei servizi segreti siriani che dovevano screditare la ribellione.
Ora, fin dall’inizio dell’insurrezione, si è realizzata una simbiosi tra questi gruppi e l’ESL su diversi fronti, in quanto entrambi si sono fatti forti delle inesauribili risorse religiose e della propaganda vittimista filo-sunnita per mobilitare i combattenti.
Peggio ancora, l’ESL riceveva direttamente le istruzioni in forma di fatwa da predicatori come Muhammad Badi’Moussa e altri seminatori di messaggi genocidari, soprattutto il mafiosissimo Mohamed Zuhair Siddik.
Lo sceicco Muhammad Badi’Moussa, alter ego di Arour, ha lanciato da Al-Hekma TV (14 marzo 2012 una fatwa che invita ad uccidere le donne e i bambini alauiti come rappresaglia per massacri falsamente attribuiti a questa comunità:
“I nostri fratelli dell’Esercito Siriano Libero (ESL) hanno trasmesso una serie di quesiti agli ulema in esilio per sapere se potevano attaccare dei villaggi alauiti. Hanno richiesto una fatwa che consenta loro di uccidere le donne e i bambini come loro uccidono le nostre donne e i nostri bambini. Perché gli sniper vengono dai villaggi alauiti e le donne mussulmane libere vengono violentate e sequestrate per essere trasportate nei villaggi alauiti”.
Secondo lo sceicco, gli “eruditi” hanno risposto in modo diplomatico.
“Fate prova di pazienza. Dapprima lanciate un avvertimento. Noi non vogliamo che una guerra civile, una guerra confessionale travolga la Siria”.
Ma, nella fase seguente, la minaccia di un genocidio si precisa:
“Gli alauiti sanno di essere una minoranza nel paese e che tutte le comunità confessionali li detestano e vogliono liberarsi di loro. Non è nel loro interesse difendere il regime”.
Individua anche gli obiettivi:
“(…) i villaggi di Zahra, Eqrima e di Nouzha, alla periferia di Homs”.
Che dire della predica dello sceicco Muhammad al-Zoghby, diffusa dalla emittente saudita Safa TV?
“O Allah, uccidi la famiglia El Assad e tutti i suoi sostenitori. O Allah, distruggi questa sporca piccola setta. Distruggila e brucia i loro corpi. Sono agenti ebraici. Uccidili tutti. E io dico a tutto il popolo siriano: Voi non siete uomini se non li punirete dopo la vostra vittoria. Voi non otterrete i vostri diritti finché non vi sarete presi la vostra rivincita su questi criminali infedeli. Popolo di Siria, combatti questi miscredenti col tuo denaro, coi tuoi discorsi e il tuo spirito… questa è una guerra santa. Popolo di Siria, sappi che la guerra contro questi empi precede quella contro gli ebrei. E’ per questo che Ibn Taymiyya disse: ‘I Nussairiti (alauiti, ndt) sono più infedeli degli ebrei e dei cristiani’. Popolo di Siria, ecco le mie conclusioni: devi sapere che la jihad contro questi criminali infedeli e contro il loro popolo è un dovere religioso. E tu vincerai. Popolo di Siria, non avere alcuna pietà di questi empi. Popolo si Siria, oggi tu vedi quale è il tuo vero nemico”.
Che dire anche dell’appello al genocidio lanciato da Mohammed Zuhair Siddik, amico di Sarkozy e del salafista Arour?
Dopo l’assassinio del primo ministro libanese Rafiq Hariri nel corso dell’attentato del 14 febbraio 2005, Mohamed Zuhair Siddik si era presentato come un ufficiale dell’intelligence siriana che aveva fatto defezione.
Nell’ambito dell’inchiesta svolta dal Tribunale speciale per il Libano, Siddik aveva accusato diversi alti dirigenti siriani e libanesi, tra cui anche i presidenti dei due paesi, Bachar El Assad e Emile Lahoud, oltre a membri di Hezbollah, di essere gli autori dell’uccisione di Hariri.
Ma un’inchiesta sul punto ha accertato che Siddik non era mai stato in realtà il capo di alcun servizio di informazione siriano e che la sua testimonianza contro Siria, Libano e Hezbollah era un bidone completo.
Dopo che l’imbroglio fu svelato, la giustizia libanese emise un mandato di arresto contro di lui per falsa testimonianza.
Si rifugiò in Francia. Il 13 maggio 2008 è sparito, prima di ricomparire negli Emirati Arabi Uniti dove venne per breve tempo incarcerato per immigrazione illegale e uso di un passaporto falso.
Nel corso di una conferenza stampa convocata quando fu liberato, dichiarò di avere ricevuto un falso passaporto ceco dalle mani del presidente francese Nicolas Sarkozy.
Quest’uomo dalle braccia visibilmente lunghissime aveva anche per amico un certo Adnane Arour, il predicatore salafista siriano che invita a distruggere i membri delle comunità devianti, soprattutto gli alauiti, e a dare in pasto le loro carni ai cani.
Quattro anni dopo, si è autoinvitato ad una riunione di oppositori siriani al Cairo e vi ha incontrato Haytham al-Maleh, un dirigente storico dell’opposizione siriana che sogna di diventare il futuro presidente della Siria “libera”.
Un giornalista intento a intervistare Al-Malh per l’emittente australiana SBS Dateline ha filmato la scena. Il militante ottuagenario accoglie freddamente Siddik, accusandolo di non essere affidabile a causa del suo torbido attivismo nell’affaire dell’inchiesta Hariri.
Siddik si infuria e fa una rivelazione molto sorprendente da parte di un individuo che nutre un odio passionale contro la Siria di Bachar El Assad e il governo libanese egemonizzato da Hezbollah.
Chiede a Maleh: “Chi ha ucciso Hariri?”
“Lo ignoro”, risponde il vecchio dissidente.
“Prima di tutto è Israele” (11 min. 55 s.)
Siddik non dice nient’altro. Minaccia Al Malk e poi se ne va.
In precedenti articoli, abbiamo parlato di Adnane Arour e del suo coltello:
Risulta che Mohammed Zuhair Siddik sia un amico dello “sceicco della rivoluzione”.
Interpellato telefonicamente, Siddik viene anche invitato in diretta a vomitare il suo odio contro gli alauiti per i crimini del governo baatista. Si serve della trasmissione di Arour per trasmettere istruzioni militari ai “falchi” di Rastane. Infine per dichiarare: “Uccideremo, uccideremo, uccideremo tutti i contadini alauiti. Uccideremo i loro ufficiali. Faremo piangere le loro madri”.
Ritorno sulle piazze siriane controllate dall’opposizione, dove dei manifestanti talvolta giovanissimi mostrano la loro simpatia per Oussama Bin Laden sventolando la bandiera del Fronte Al-Nosrah.
Anche le feste religiose, come quella del Sacrificio, diventano una occasione per celebrare la loro rivoluzione salafista:
Durante una manifestazione organizzata a Idleb, due giovani agitatori presentati dai media filo governativi come predicatori sauditi (1 m 30 s) cantano la loro volontà di “squartare i Nossairiti (altro nome di alauiti)”. Mimano il gesto di abbatterli, sempre salmodiando. Terminano con un saluto al Mullah Omar e ai Talebani:
A pochi passi di là, sul fronte, l’epurazione confessionale segue il suo corso: alcune donne e uomini accusati di essere chabbiha (membri delle milizie del regime) sulla base della sola appartenenza religiosa, vengono condannati a morte:
Qui ancora, un uomo viene torturato a morte perché sospettato di essere sciita:
Conclusioni
Si sarà capito, a proposito della Siria come di tutti gli altri conflitti che ci riguardano, che i media forgiano ilo nostro modo di vedere i fatti.
L’informazione sui fatti di questo paese non ci viene fornita così come è, ma viene filtrata alla luce dei principi morali o dei vincoli ideologici che animano quelli che la diffondono.
Così, la militarizzazione del conflitto che è cominciata fin dagli albori della “primavera siriana” ci è stata del tutto nascosta.
Non godendo il governo siriano di buona stampa per molte e giustificate ragioni, la sua versione dei fatti è stata respinta in blocco mentre la propaganda dell’opposizione è stata accolta senza alcuna verifica.
Eminenti giornalisti si sono rifiutati di recarsi in questo paese per “coprire” gli avvenimenti dal punto di vista del regime, per non essere vittima di questa propaganda.
Per contro, questi stessi giornalisti non hanno avuto remore a convertirsi in propagandisti dell’opposizione, invitando perfino a rifornire di armi gruppi che commettono ogni giorni attentati contro civili e crimini di guerra.
Ancora recentemente, l’Esercito Siriano Libero (ESL) ha catturato e poi giustiziato 70 soldati dell’esercito siriano a Ras al’Ayn e poi li ha sotterrati in una fossa comune, il tutto con gioia e buon umore. Una equipe della televisione turca era in loco ed ha filmato tutto.
Alcuni giornalisti mainstream e molti militanti autoproclamatisi democratici accusano gli osservatori ed esperti sulla Siria che non simpatizzano con la ribellione di essere agenti o propagandisti del regime baatista.
Si tratta di terrorismo intellettuale e di intimidazione.
Un proverbio turco dice: “Chi dice la verità, viene cacciato da nove villaggi”.
Non dispaccia a questi signori, i media liberi e non allineati sono il nostro decimo villaggio. E tutti gli abitanti dei primi nove villaggi vi sono i benvenuti.
Bahar Kimyoungur, autore di Syriana, la conquete continue, Ed. Investig’Action & Couleur Livres 2011 e portavoce del Comitato contro l’ingerenza in Siria (CIS)