Crisi Siriana
Il punto della situazione dopo El Quseir
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Sconfitta dell’ESL e di El Nosra, confusione tra i cospiratori in Siria
Il punto della situazione dopo El Quseir
Djerrad Amar
Conviene fare il punto della situazione dopo quanto è accaduto a El Quseir, dopo il fiasco dei gruppi armati che erano stati incaricati dagli occidentali-arabo-sionisti di destabilizzare la Siria. A proposito di quanto accade in Siria, qualche politico e analista svolge questo tipo di analisi:
- Che la guerra per procura alla Siria rientra nell’ambito del progetto di controllo del Medio Oriente e dei paesi arabo-mussulmani che fanno parte dell’asse della resistenza contro la politica imperial-sionista. Questo progetto di controllo ha per obiettivo di indebolire gli eserciti degli Stati ostili, per poi ricomporre entità geografiche senza potere e manovrabili a discrezione. Sembra essere riuscito in Iraq, il Libia, in Tunisia, in Egitto e in Yemen, ma al contrario sembra essere fallito
in Siria, considerata un nodo gordiano difficile da tranciare.
- Che l’esercito siriano non ha mai considerato El Quseir tanto “strategica” quanto affermano gli aggressori della Siria. El Quseir era “strategica” dal punto di vista degli aggressori, perché vi avevano concentrato le loro forze, in ragione della sua vicinanza a Homs e alle frontiere libanese e giordana; condizioni geografiche favorevoli in vista di una futura invasione di Damasco. La caduta di El Quseir ha dunque mutato il quadro, rendendolo più complesso per gli aggressori.
- Che l’esercito siriano era perfettamente informato sui piani, obiettivi e movimenti del nemico in El Quseir e dintorni.
- Che vi erano delle priorità e che la riconquista di questa città – tenuta sotto continuo e minuzioso controllo da parte dei servizi di informazione dell’esercito siriano – esigeva l’elaborazione di una tattica, l’esercizio della pazienza e il contributo di competenze, indispensabili a raggiungere gli obiettivi militari e politici fondamentali.
- Che tale tattica è consistita nel lasciare dapprima credere ad una importante vittoria dei gruppi armati, senza mai intervenire fino a quando il contesto politico non avesse costretto al riconoscimento di una sconfitta, completa e indiscutibile, del nemico. Ciò avrebbe, da un lato, demoralizzato le truppe nemiche e, dall’altro, sventato i piani dei mandanti, annientandone la volontà e la capacità di pressione.
- Che, a seguito di questa offensiva-lampo, la disfatta dei gruppi armati è stata talmente decisiva e umiliante, che perfino i paesi occidentali coinvolti lo hanno dovuto riconoscere; mentre i gruppi armati e i loro leader, composti da wahabo-takfiriti paralizzati dalla sconfitta, non sapevano più che cosa fare, se non proferire menzogne e lanciare messaggi contraddittori: che si era trattato di una vittoria apparente, che l’esercito aveva ucciso solo dei civili, che i gruppi armati si erano scontrati solo con Hezbollah, perché l’esercito regolare era, secondo loro, in rotta, che avevano proceduto ad una ritirata “tattica”, facendo però, in tutto questo, appello all’arrivo di rinforzi.
- Che se i gruppi armati si sono scontrati – come essi stessi attestano – con Hezbollah, questo vuole conseguentemente dire che un pugno di elementi di Hezbollah è stato capace di sconfiggere tutti i gruppi armati di El Quseir, per quanto bene armati dall’Occidente. Che dunque i maitre-penseur occidentali e i mandanti hanno adesso buoni motivi per dubitare della capacità dei gruppi armati di conquistare tutta la Siria contro l’intero esercito siriano, addestrato e bene armato, e che fino ad oggi ha impegnato sul campo solo un’infima parte delle sue forze.
- Che la dichiarazione di Nasrallah sul “coinvolgimento” di Hezbollah era più una tattica finalizzata a prostrare e creare sgomento nel nemico, perché non si è mai concretamente ipotizzato un intervento effettivo dei combattenti libanesi.
- Che Hezbollah non ha fornito alcuna precisazione circa la natura di questo “coinvolgimento”, certamente per suscitare dubbi e distrarre l’attenzione, laddove alcuna prova circa l’effettiva presenza di elementi di Hezbollah in territorio siriano è stata mai fornita fino ad oggi (le 5 o 6 persone presentate ai media come combattenti di Hezbollah fatti prigionieri sono infatti solo dei cittadini libanesi che vivono a Damasco, dei sunniti che erano stati sequestrati qualche giorno prima).
- Che l’esercito siriano non aveva alcun bisogno di aiuto, nella specie da parte di Hezbollah, e che il solo “aiuto” richiesto è stato quello di bloccare la frontiera per impedire ed eventualmente eliminare ogni tentativo di fuga verso il Libano. Cosa che è stata effettivamente fatta, giacché i gruppi armati sono stati presi in una morsa, senza alcuna possibilità di scappare o di essere raggiunti da rinforzi. Non restava loro che la morte o la resa. Le centinaia di “ribelli” che sono infatti riusciti a rifugiarsi in qualche villaggio vicino, lo hanno fatto solo in virtù di una manovra posta in atto dall’esercito siriano, che voleva dividere i gruppi per poterli annientare con il minimo di resistenza e di costi umani.
- Che tutte le menzogne dei “ribelli” miravano a sollecitare un intervento occidentale (soprattutto israeliano). Ma che esso resta ipotetico a causa, da un lato, delle condizioni malandate in cui versano i gruppi armati e dell’intervento dell’esercito siriano e, dall’altro, anche in considerazione del clima politico che è rivolto oramai inesorabilmente verso una soluzione del conflitto che tenga conto dei rapporti di forza che si sono realizzati sul campo.
- Che qualsiasi intervento di Israele potrà solo mettere nell’imbarazzo sia i paesi governati dagli islamisti, che l’opposizione siriana, che gli stessi paesi occidentali che la sostengono. Infatti se i “ribelli” acclamassero una offensiva israeliana, essi commetterebbero un grave errore di fronte all’opinione pubblica araba; se osservassero il silenzio, susciterebbero sospetti; se la condannassero, rinnegherebbero in tal modo la loro posizione, continuamente ribadita di ostilità al regime siriano. Un dilemma infernale che gli Stati Uniti, esperti in tattica e calcolo strategico, non oseranno mettere in opera col rischio di infiammare tutta la regione, e di precludersi ogni margine di manovra o speranza di soluzione. La Russia, per merito della forza della Siria, la sua ostinazione e la sua resistenza, è riuscita a cambiare le regole del gioco dell’avversario, mantenendo intatte le proprie.
- Che la rivolta in atto in Turchia è l’espressione di un popolo che rifiuta la subalternità e l’allineamento del paese alla politica statunitense-sionista nei confronti di un popolo vicino al quale è legato per ragioni storiche ed economiche. Sarebbe stato difficile per l’Occidente fare quel che sta facendo in Siria, se non avesse potuto contare sulla complicità subalterna di Erdogan.
- Che il progetto egemonico sui paesi del bacino del Mediterraneo (quello pilotato dalla Francia di Sarkozy nell’ambito dell’ UMP – Union pour la Méditerranée – col sostegno degli Stati Uniti, all’epoca contrastato dalla Germania) sta per trasformarsi – proprio grazie alla ostinata resistenza della Siria e all’entrata in scena della Russia e dell’asse antagonista all’occidente – in un progetto di equilibrio strategico.
- Che il pragmatismo, questa filosofia statunitense che considera “vero” solo quello che realmente funziona, adattandosi alla realtà e privilegiando le prassi, si dimostra essere una dottrina insensata, quando essa sia autonoma da ogni morale e ogni principio.
- Che il capitalismo, così come concepito dall’imperialismo occidentale, che governa la grande industria di concerto coi cartelli finanziari, conduce dritto alle crisi economiche mondiali e alle guerre, come loro via di uscita e corollario.
In questa fase del conflitto, la Siria si trova in una posizione militare e politica ad essa favorevole, nella quale ogni recrudescenza di minacce potrà arrecarle solo benefici, fintanto che Hezbollah dichiara che ogni aggressione esterna alla Siria sarà considerata come una aggressione al Libano. Anche il coinvolgimento dell’Iran risulterà indispensabile per ragioni di sicurezza nazionale. La Russia, da parte sua, ritiene che la destabilizzazione di questa importante parte del mondo metta in pericolo i propri interessi supremi, ma anche il complessivo equilibrio del mondo.
Le conseguenze prevedibili in caso di conflitto generalizzato, a partire da questa regione, sono dunque immaginabili, se la ragione non prevarrà sugli interessi.