Crisi Siriana
Siria : l’ingerenza straniera destabilizzerà la situazione geopolitica
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La Voix de la Russie, 27 agosto 2013 (trad. Ossin)
Siria : l’ingerenza straniera destabilizzerà la situazione
geopolitica
Sergei Duz
La Siria non è mai stata così vicina ad un attacco da parte degli Stati Uniti e, con ogni evidenza, la decisione è già stata presa. Dopo avere fatto la scelta tattica, non resta che passare il Rubicone. Ma qui nascono i problemi
L’Occidente non ha una strategia definita. Serguei Lavrov, il ministro russo degli affari esteri, ha chiesto al suo omologo statunitense John Kerry: “Come contate di fare perché la vostra azione contro la Siria sia idonea a risolvere i problemi della regione e non invece a moltiplicarli e provocare una vera catastrofe?”
Per tutta risposta, John Kerry ha semplicemente “invitato la Russia e la Cina a unirsi all’impegno del suo paese, diretto a distruggere le armi chimiche e ad evitare che cadano in cattive mani”. E’ evidente che gli Stati Uniti non hanno ben chiaro quale debba essere l’avvenire della Siria. Il loro campo di visione si limita alla destituzione di Bachar el Assad. Washington preferisce chiudere gli occhi su quanto potrebbe accadere in seguito. In caso contrario, la Casa Bianca sarebbe costretta a fare degli sgradevoli paralleli con gli avvenimenti di dieci anni fa. Nel 2003 gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq utilizzando appunto il pretesto di voler salvare il mondo dalle armi di distruzione di massa che Saddam avrebbe posseduto.
“E’ difficile dire fino a qual punto Barack Obama sia pronto ad andare. Ma il parallelo con gli avvenimenti del passato si impone. In campo internazionale gli Stati Uniti si fanno guidare dai loro interessi nazionali, senza preoccuparsi delle norme di diritto internazionale. Sono pronti anche a fabbricare dei fatti, se ciò corrisponde ai loro interessi”, spiega Pavel Zolotarev, direttore aggiunto dell’Istituto degli Stati Uniti e del Canada.
Nel 2003 l’Iraq è stato invaso e Saddam Hussein impiccato. E tuttavia alcuna prova è stata mai trovata che Saddam Hussein possedesse davvero armi di distruzione di massa. Gli Statunitensi sono andati via dall’Iraq, lasciando dietro di loro un caos sociopolitico e miliardi di dollari spesi in tentativi insensati di riorganizzare l’autocrazia orientale sul modello occidentale. Gli esperti sono persuasi che il tentativo di democratizzare la Siria produrrà spiacevoli sorprese.
“L’apparato statale siriano non è completamente solido: ciò a causa di una potente opposizione e della guerra civile. E però questa opposizione non è unita: essa è composta da gruppi armati, in guerra tra di loro oltre che contro Bachar el Assad. E’ probabile che, ingerendosi, gli Stati Uniti provocheranno in Siria l’arrivo al potere degli islamisti radicali. E ciò non corrisponde né agli interessi USA, né europei”, spiega Alexandre Konovalov, presidente dell’Istituto di valutazioni strategiche.
Si ha l’impressione che Barack Obama (forse involontariamente) stia per sottomettersi alla logica della diplomazia delle cannoniere. Esattamente come nel caso dell’Iraq, il casus belli, l’utilizzazione delle armi chimiche, viene presentato alla comunità internazionale come un fatto. E mettere fine alla guerra sarà altrettanto complicato di come lo è stato in Iraq. La stampa occidentale evoca uno scenario più probabile secondo il quale dei missili di crociera Tomahawk saranno lanciati da cacciatorpediniere nel Mediterraneo.
Alcune basi dell’aviazione siriana e della difesa antiaerea, alcuni posti di comando, alcuni edifici governativi e depositi di missili potrebbero essere distrutti in due giorni. Gli esperti ritengono che, anche se gli Stati Uniti non prevedono di fare una guerra terrestre, questo potrà comunque accadere. Prima di tutto occorre impedire dei massacri in uno Stato che non controlla tutto il suo territorio. Occorre poi impedire ai terroristi di Al Qaida di impossessarsi degli stock di armi. Ciò imporrà la realizzazione di “zone di controllo”, cosa che rende inevitabili delle operazioni terrestri.
“Vi sarebbe una volontà di replicare l’intervento in Jugoslavia: distruggere le infrastrutture con attacchi aerei, per dare man forte agli oppositori. Questo obiettivo è teoricamente realizzabile, ma non sappiamo dove può condurre. E’ possibile che la strategia consista nell’eliminare le contraddizioni che esistono in seno al mondo islamico di questa regione”, spiega Pavel Zolotarev.
E’ poco probabile che Barack Obama abbia dimenticato le parole dell’ex ministro della Difesa statunitense Robert Gates, che un giorno ha detto: “Qualunque ministro della Difesa che consigli ad un presidente di far entrare truppe statunitensi in Asia o in Africa deve essere ricoverato in una clinica psichiatrica”.
“Nel 2012 Barack Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti non si sarebbero immischiati in conflitti costosi, nei quali è facile entrare ma difficilissimo uscirne. C’è stata in Iraq una ingerenza classica seguita dalla occupazione del territorio e la destituzione del governo. Io penso che questo non si ripeterà in Siria. Vi potranno essere lanci di missili di precisione e di bombe “intelligenti”. Tuttavia, quando si avviano delle azioni militari, è difficilissimo prevedere dove porteranno”, spiega Alexandre Konovalov.
Il ministro tedesco della Difesa, Thomas de Maiziere, mette anche lui in guardia contro le azioni precipitose. “Io non vedo alcuna possibilità di una ingerenza militare in questa sanguinosa guerra civile”, dice. Il ministro della Difesa ha espresso l’opinione di persone che pensano in modo razionale, sottolineando che è impossibile risolvere i problemi del Vicino Oriente per via militare.