Crisi siriana, agosto 2013 - Ebbene, vi è certamente disinformazione quando le agenzie di stampa, che non possono avere corrispondenti in territorio siriano, utilizzano le immagini delle agenzie locali favorevoli ai ribelli, come l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo, le cui fonti a sua volta sono le reti del blogger, o ancora l’agenzia ufficiale dei ribelli, Shaam News (nella foto, le immagini scioccanti relative al presunto uso di armi chimiche)






Atlantico, 28 agosto 2013 (trad. ossin)



Armi chimiche in Siria, lo spettro della disinformazione

Alexandre del Valle



Il regime di Bachar el Assad ha accettato che gli ispettori ONU si rechino nella periferia di Damasco, nel luogo del presunto attacco chimico di mercoledì


Mercoledì scorso l’uso di armi chimiche avrebbe provocato centinaia di morti nei pressi di Damasco, secondo l’opposizione siriana che è riuscita, attraverso la divulgazione a tutto campo di questa informazione, a fare uscire dall’ambiguità Barack Obama, che si era mostrato negli ultimi mesi ben più prudente della Francia e della Gran Bretagna nei confronti di questo argomento imbarazzante, dal momento che alcuni dei ribelli siriani sono legati ad AlQaida in Iraq, la quale combatte contro gli Stati Uniti dal 2003. E così, sabato 24 agosto, Washington ha annunciato un intervento militare nella regione e il Segretario alla difesa USA, Chuck Hagel, ha dichiarato che le forze statunitensi erano pronte a intervenire eventualmente contro il regime siriano. Prima ancora che fossero resi noti i risultati dell’inchiesta affidata agli esperti ONU presenti sul posto, il ministro degli esteri francesi Laurent Fabius – che da mesi si trova in sintonia con i Fratelli Mussulmani siriani e il Qatar per ciò che concerne il sostegno ai ribelli siriani – ne ha attribuito la responsabilità al regime di Damasco, escludendo qualsiasi altra possibilità.


All’opposizione, che accusa il regime di avere bombardato con armi chimiche alcuni settori nelle mani dei ribelli nei pressi di Damasco, il regime siriano risponde che l’esercito lealista non ha mai usato armi chimiche in Siria in qualsivoglia forma, liquida o gassosa, attribuendo la responsabilità del massacro a unità di terroristi islamisti, accerchiate in una zona di Jobar. Si è detto pronto a lavorare di concerto con l’ONU per dimostrare l’uso di armi chimiche da parte dei ribelli. Secondo Damasco, l’accusa è insensata giacché l’esercito siriano, che sta vincendo sul campo contro i ribelli, non ha alcun interesse a fornire un pretesto per un intervento della NATO. Sia per i ribelli che per l’esercito, dunque, si tratta, di una colpa dell’altro, cosicché al momento risulta impossibile capire chi sia il vero responsabile del massacro al gas sarin. Ma quello che è certo è che, parallela a questa guerra civile siriana che l’Occidente alimenta rifiutando le ipotesi russe di soluzione fondate sul dialogo, assistiamo, come al tempo degli interventi della NATO e degli anglo-statunitensi contro i regimi filo-russi di Milosevic (ex-Jugoslavia e Serbia) e di Saddam Hussein (Iraq), ad una nuova guerra fredda tra “Occidentali” e Russi, cui si aggiunge una guerra psicologica a colpi di slogan e di immagini destinate a demonizzare i relativi avversari.


Ebbene, vi è certamente disinformazione quando le agenzie di stampa, che non possono avere corrispondenti in territorio siriano, utilizzano le immagini delle agenzie locali favorevoli ai ribelli, come l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo, le cui fonte a sua volta sono le reti del blogger, o ancora l’agenzia ufficiale dei ribelli, Shaam News. Queste immagini e questi video vengono postati sui social network da parte di soggetti che hanno tutto l’interesse a infangare il regime, a negare i propri errori, e a volgere a loro vantaggio tutte le atrocità, chiunque siano gli autori di esse. E nessuno deve farsi ingannare dal fatto che molti “cyber combattenti” delle rivoluzioni arabe siano stati formati da strutture occidentali che, da anni, preparavano gli oppositori delle dittature o dei regimi filo-russi, nell’ambito di una nuova strategia del “contenimento” (vedi le rivoluzioni colorate nell’ex Unione Sovietica). A Parigi, per esempio, il gruppo Smart (Syrian Media Action Revolution Team) ha formato, servendosi di Skype, più di un centinaio di “corrispondenti”. All’inizio delle rivoluzioni arabe in Tunisia e in Egitto, si è vista la mano della fondazione Albert Einstein, che da anni forma dei cyber attivisti ai metodi del grande teorico delle guerre di immagini, Gene Sharp. Per mantenere le distanze, i nostri dirigenti dovrebbero dunque fare tesoro della raccomandazione di buon senso fatta da Lama Fakih, responsabile di Human Rights Watch (HRW) in Libano, secondo cui “non si devono mai trarre delle conclusioni sulla base dei video…”


Come ha bene dimostrato Vladimir Volkoff, “la disinformazione è un’arte e non si riduce alla menzogna”, perché essa consiste nella “manipolazione dell’opinione pubblica a fini politici, attraverso una informazione, vera o falsa, alterata”. Così quando i media occidentali citano da giorni che “anche l’Iran ha riconosciuto per la prima volta, per la voce del suo presidente Hassan Rohani, che armi chimiche sono state utilizzate in Siria ed ha invitato la comunità internazionale a vietarle”, non mentono propriamente, ma insinuano che la Siria è quasi rinnegata dal suo alleato, mentre in realtà Teheran, così come Mosca, denuncia l’uso di gas sarin non da parte del regime, ma da parte dei ribelli sunniti legati a AlQaida.


Cedere alle emozioni e condannare Assad a prescindere da ogni accertamento, giusto per non passare per “complice passivo dei cattivi”, e seguire le indicazioni dei media manichei è un comportamento irresponsabile e contrario a ogni deontologia diplomatica, spiega Randa Kassis, presidente del “movimento per una società pluralista” (opposizione laica-pacifista). “Non si può sapere chi sia l’autore di questi attacchi e nemmeno se si tratti davvero di un attacco con armi chimiche, ma il regime non vi ha alcun interesse, perché sta vincendo sul campo e perché lascia che gli inquirenti internazionali dell’ONU svolgano la loro inchiesta liberamente”. Secondo lei non bisogna né cedere all’emozione, né precipitare le decisioni, perché potrebbe trattarsi di un pretesto dei ribelli e della comunità internazionale per giustificare e precipitare un intervento militare contro la Siria o la fornitura di armi anti-aeree e terra-aria ai ribelli. Secondo lei, il problema non è di “proteggere Assad”, ma di esigere, da parte dei ribelli come del regime, che gli inquirenti dell’ONU possano lavorare liberamente. Per lei gli appelli dei guerrafondai in favore di un intervento armato contro Damasco sono “irresponsabili”, perché la Russia “non lascerà cadere il regime e le Nazioni Unite non voteranno a favore di un intervento, di modo che se l’intervento sarà solo anglo-franco-statunitense, senza avallo dell’ONU, ciò provocherà una crisi con la Russia (oltre che con l’Iran, ovviamente), perché Mosca non può consentire che il suo più importante alleato nel Mediterraneo orientale venga eliminato e potrebbe concedergli i famosi missili S300”.


Israele resterà a braccia conserte, nonostante abbia sempre avvertito che non lascerà mai che Damasco acquisisca queste armi, pericolose per lo stato ebraico? Che cosa poi faranno la Turchia, l’Iran, l’Egitto e le petromonarchie sunnite se il conflitto regionale si allargasse a tutta la regione, ivi compreso il Golfo, vitale per l’approvvigionamento energetico mondiale? 

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