Crisi Siriana
Da militare a militare. Come il Pentagono ha aiutato Assad (all’insaputa di Obama)
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Crisi siriana, gennaio 2016 - La politica di Obama in Siria, con la pretesa che “Assad deve andarsene” e l’illusione che esistano ribelli “moderati”, è fallimentare. Se ne sono resi da tempo conto il Pentagono e i capi di stato maggiore, che hanno in segreto aiutato Assad, attraverso operazioni “da militare a militare” (nella foto, il generale Martin Dempsey)
www.lrb.co.uk, 7 gennaio 2016 (trad.ossin)
Da militare a militare. Come il Pentagono ha aiutato Assad (all’insaputa di Obama)
Seymour Hersch
La politica di Obama in Siria, con l’assurda pretesa che “Assad deve andarsene” e l’illusione che esistano ribelli “moderati”, è palesemente fallimentare. Se ne sono resi da tempo conto il Pentagono e i capi di stato maggiore, che hanno in segreto aiutato Assad, attraverso operazioni “da militare a militare”
Il generale Martin Dempsey
La testarda convinzione di Barack Obama, che Bachar el-Assad debba andarsene – e che ci sarebbero dei gruppi ribelli “moderati” in grado di vincere – ha suscitato in questi anni un dissenso sommesso, e perfino una aperta opposizione, tra alcuni alti ufficiali degli stati maggiori del Pentagono
Le loro critiche si sono incentrate su quella che considerano una fissazione dell’amministrazione nei confronti del più importante alleato di Assad, Vladimir Putin. Secondo loro, Obama è influenzato, quando si tratta di Russia e Cina, da idee che sono retaggio della guerra fredda, e non ha adattato la sua posizione sulla Siria alla constatazione che questi due paesi condividono oggi la stessa inquietudine di Washington per il propagarsi del terrorismo in Siria e altrove; come Washington, anch’essi pensano che il terrorismo debba essere arginato.
Il dossier della DIA che raccomanda di mantenere Assad al potere
Le perplessità in seno all’esercito risalgono all’estate del 2013, quando un’analisi strettamente confidenziale, realizzata dalla Defense Intelligence Agency (DIA – Servizi di Informazione dell’Esercito) e dai capi di stato maggiore, diretta all’epoca dal generale Martin Dempsey, preconizzava che la caduta del governo di Assad avrebbe prodotto il caos e, potenzialmente, la conquista della Siria da parte di estremisti jihadisti, come stava accadendo all’epoca in Libia. Un ex alto consigliere dello stato maggiore mi ha confidato che il documento era una analisi basata su tutte le fonti disponibili, sia conversazioni intercettate via satellite che fonti umane, e forniva un quadro non coerente con l’insistenza con la quale l’amministrazione Obama continuava a finanziare ed armare i sedicenti gruppi ribelli moderati. A quell’epoca, la CIA cospirava da più di un anno con gli alleati della Gran Bretagna, dell’Arabia Saudita e del Qatar, per spedire in Siria armi e altro materiale – destinato a rovesciare Assad – proveniente dalla Libia, attraverso la Turchia. Il documento individuava proprio nella Turchia l’ostacolo maggiore al successo della politica di Obama in Siria. Il documento dimostrava, mi ha confidato il consigliere, “che, quello che era cominciato come un programma statunitense segreto per armare e sostenere i ribelli moderati in guerra contro Assad, era stato cooptato dalla Turchia e si era trasformato in un programma di assistenza tecnica, militare e logistica destinata a tutta l’opposizione, ivi compresa Jabhat al-Nusra (il ramo di Al Qaeda in Siria, ndt) e lo Stato Islamico. I sedicenti moderati erano svaniti e l’Esercito Siriano Libero era oramai ridotto soltanto a un gruppo acquartierato in una base aerea in Turchia”. L’analisi era a tinte fosche: non esisteva una opposizione moderata ad Assad “vitale” e gli Stati Uniti stavano armando gli estremisti.
Il tenente-generale Michael Flynn, direttore della DIA tra il 2012 e il 2014, ha confermato che la sua agenzia ha trasmesso alla direzione politica un flusso costante di avvertimenti circa le conseguenze disastrose di un rovesciamento di Assad. I jihadisti – dice – controllavano l’opposizione. La Turchia non faceva granché per fermare il contrabbando d’armi e di combattenti stranieri attraverso la sua frontiera. “Se il pubblico statunitense avesse avuto contezza delle informazioni che ci giungevano ogni giorno, le fasce più sensibili dell’opinione pubblica sarebbero folli di rabbia”, mi ha detto Flynn. “Noi abbiamo capito la strategia a lungo termine dello Stato Islamico e i suoi piani di campagna, e abbiamo anche capito che la Turchia faceva finta di non accorgersi della crescita di ISIS in Siria”. Il rapporto della DIA, dice, è stato fermamente respinto dall’amministrazione Obama. “Io avvertivo che non volevano sentire la verità”.
La bandiera di Jabhat el-Nusra (il ramo siriano di Al Qaeda)
L’aiuto all’esercito siriano “da militare a militare”
“La nostra scelta di armare l’opposizione ad Assad era fallita e produceva anche conseguenze negative”, ha dichiarato l’ex consigliere dello stato maggiore. “I capi di stato maggiore pensavano che dovesse evitarsi che Assad fosse sostituito da fondamentalisti. La politica dell’amministrazione era contraddittoria. Voleva la cacciata di Assad ma l’opposizione era dominata dagli estremisti. Allora con chi sostituirlo? Dire che Assad deve andarsene, va bene, ma se questa logica si estremizza, allora chiunque potrebbe essere meglio. Ed era proprio questo ‘chiunque potrebbe essere meglio’ della politica di Obama a porre problemi allo stato maggiore”. I capi di stato maggiore hanno capito che una opposizione diretta alla politica di Obama avrebbe avuto “zero possibilità di successo”. Dunque, nell’autunno 2013, hanno deciso di prendere delle iniziative contro gli estremisti, senza passare dai canali politici, fornendo le informazioni raccolte dai servizi degli Stati Uniti alle forze armate di altre nazioni, immaginando che, in questo modo, sarebbero giunte all’esercito siriano e sarebbero state utilizzate contro il comune nemico, Jabhat al-Nusra e ISIS.
La Germania, Israele e la Russia avevano contatti con l’esercito siriano ed erano in grado di esercitare una certa influenza sulle decisioni di Assad – ed è stato attraverso questi Stati che le informazioni statunitensi vennero trasmesse. Ognuno di loro aveva sue ragioni proprie per collaborare con Assad: la Germania temeva influenze negative tra la sua popolazione di sei milioni di mussulmani, se lo Stato Islamico si fosse rafforzato; Israele era preoccupata per la sicurezza delle sue frontiere; la Russia era da moltissimo tempo alleata della Siria ed era inquieta per la minaccia che gravava sulla sua sola base navale nel Mediterraneo, a Tartus. “Non volevamo cambiare la politica dichiarata di Obama” ha detto il consigliere, “ma la condivisione delle informazioni in nostro possesso, attraverso i rapporti ‘da militare a militare’ con altri paesi, poteva rivelarsi utile. Era chiaro che Assad aveva bisogno di migliori informazioni tattiche e consigli operativi. Lo stato maggiore ha concluso che, se gli fossero stati forniti, la lotta globale contro il terrorismo ne sarebbe risultata rafforzata. Obama non ne era informato, ma Obama non sa tutto quello che lo stato maggiore fa, qualunque sia il Presidente”.
Quando è cominciato il flusso delle informazioni statunitensi, la Germania, Israele e la Russia hanno cominciato a trasmettere all’esercito siriano informazioni sulla localizzazione e le intenzioni dei gruppi jihadisti radicali; in cambio la Siria forniva informazioni sulle sue proprie capacità e le proprie intenzioni. Non vi erano contatti diretti tra Stati Uniti ed esercito siriano; però noi, dichiara il consigliere: “abbiamo fornito le informazioni in nostro possesso – ivi comprese analisi a lungo termine sul futuro della Siria, realizzate da nostri consulenti o da qualcuna delle nostre scuole di guerra – e i paesi cui le abbiamo date potevano farne quel che loro sembrava utile, ivi compreso condividerle con Assad. Dicevamo ai Tedeschi e agli altri: ‘Ecco qualche informazione abbastanza interessante’. Fine della comunicazione. Lo stato maggiore poteva ipotizzare che ne sarebbe venuto qualcosa di buono – ma si trattava di relazioni da militare a militare, e non di un sinistro complotto per aggirare Obama e sostenere Assad. Era una cosa molto più intelligente. Se Assad resta al potere, non sarà certo grazie a quello che noi abbiamo fatto. E vi resterà, giacché sarà abbastanza intelligente da usare le informazioni e i consigli tattici che noi abbiamo fornito ad altri”.
I rapporti “ufficiali” tra Stati Uniti e Siria
La storia ufficiale delle relazioni tra gli Stati Uniti e la Siria è stata negli ultimi decenni improntata ad inimicizia. Assad ha condannato gli attacchi dell’11 settembre, ma si è opposto alla guerra in Iraq. George W. Bush ha, durante tutto il corso della sua presidenza, sempre incluso la Siria nella lista dei paesi “dell’asse del male” – Iran, Iraq e Corea del Nord. I cablo del Dipartimento di Stato, resi pubblici da WikiLeaks, mostrano che l’amministrazione Bush ha tentato di destabilizzare la Siria e che lo stesso ha fatto Obama. Nel dicembre 2006, William Roebuck, allora responsabile dell’ambasciata USA a Damasco, ha trasmesso una analisi sulla “vulnerabilità” del governo Assad e una elencazione dei modi “che consentono di accrescere la probabilità” di una destabilizzazione. Raccomandava che Washington collaborasse con l’Arabia Saudita e con l’Egitto, per accrescere le tensioni confessionali e desse la massima pubblicità “alle azioni siriane contro i gruppi estremisti – dissidenti curdi e fazioni sunnite radicali – in modo da suggerire l’idea di una debolezza, segni di instabilità, e presentandoli come reazioni incontrollate”; e che “l’isolamento della Siria” avrebbe dovuto essere incoraggiato attraverso l’appoggio degli Stati Uniti al Fronte di Salvezza Nazionale guidato da Abdul Halim Khaddam, un ex vice-presidente siriano il cui governo in esilio, a Riyadh, era finanziato dai Sauditi e dai Fratelli Mussulmani. Un altro cablo del 2006 rivela che l’ambasciata aveva versato 5 milioni di dollari di finanziamento ai dissidenti che hanno presentato dei candidati indipendenti all’Assemblea del Popolo; i versamenti sono stati confermati, anche quando era oramai evidente che i servizi di informazione siriani ne erano al corrente. Un cablo del 2010 segnalava che il finanziamento di una emittente televisiva con sede a Londra, diretta da un gruppo di opposizione siriana, sarebbe stato considerato dal governo siriano come “un gesto clandestino e ostile contro il governo”.
Il presidente Bachar el-Assad
I rapporti “segreti”
Ma vi è anche, in contemporanea, una storia parallela di cooperazione nell’ombra tra Siria e Stati Uniti. I due paesi hanno collaborato contro Al Qaeda, loro comune nemico. Un consulente di lunga data dello stato maggiore ha dichiarato che, dopo l’11 settembre, “Bachar ci è stato, per anni, estremamente utile, mentre noi siamo stati, a nostro avviso, assai poco riconoscenti e maldestri coi tesori che ci aveva dato. Questa cooperazione discreta è continuata con qualcuno, anche dopo la decisione (dell’amministrazione Bush) di farne oggetto di una campagna diffamatoria”. Nel 2002, Assad autorizzò i Servizi siriani a consegnare centinaia di file interni sulle attività dei Fratelli Mussulmani in Siria e in Germania. Più tardi, nello stesso anno, i Servizi siriani sventarono un attacco di Al Qaeda contro la sede della Quinta Flotta dell’US Navy in Bahrein, e Assad accettò di fornire alla CIA il nome di un informatore importantissimo di Al Qaeda. Violando i termini dell’accordo, la CIA prese contatti diretti con l’informatore; in conseguenza di ciò quest’ultimo ruppe i contatti e le relazioni con i suoi gestori siriani. Assad ha consegnato discretamente agli Stati Uniti alcuni familiari di Saddam Hussein che avevano cercato rifugio in Siria e – come hanno fatto gli alleati degli Stati Uniti in Giordania, Egitto, Tailandia e altrove – ha fatto torturare dei presunti terroristi dalla CIA in una prigione di Damasco.
L’aiuto del Pentagono ad Assad
E’ questa storia di cooperazione che ha fatto sì che nel 2013 Damasco accettasse i termini nei quali sarebbe avvenuto l’indiretta condivisione di informazioni con gli Stati Uniti. Lo stato maggiore USA fece sapere alla Siria che, in cambio, gli Stati Uniti volevano quattro cose da Assad: che facesse in modo che Hezbollah non attaccasse Israele; che riaprisse i negoziati bloccati con Israele per raggiungere un accordo sulle alture del Golan; che accettasse consiglieri militari russi e di altri paesi; e che si impegnasse a indire elezioni libere dopo la guerra, che garantissero la massima partecipazione possibile. “Ricevemmo segnali positivi da parte degli Israeliani, che erano pronti ad accettare i termini dell’accordo, ma avevano bisogno di conoscere la reazione della Siria e dell’Iran”, mi ha detto il consigliere. “I Siriani ci risposero che Assad non avrebbe assunto una decisione unilaterale – aveva bisogno del sostegno dei suoi alleati militari e alaouiti. La preoccupazione di Assad era che Israele potesse dire sì, e poi non mantenere la parola”. Un consigliere del Cremlino per gli affari mediorientali mi ha detto che, alla fine del 2012, dopo avere subito una serie di rovesci sul campo di battaglia e defezioni militari, Assad aveva stabilito un contatto con Israele – attraverso un canale di Mosca – proponendo la riapertura dei negoziati sulle alture del Golan. Gli Israeliani avevano respinto l’offerta. L’ufficiale russo mi ha detto: “Pensavano che Assad fosse spacciato”. “E’ vicino alla fine”. Ha aggiunto che la stessa cosa avevano detto i Turchi a Mosca. A metà 2013, tuttavia, i Siriani pensavano che il peggio era passato, e pretendevano delle garanzie sulla serietà degli Statunitensi e degli altri nelle loro offerte di aiuto.
Nella prima fase del negoziato, ha detto il consigliere, i capi di stato maggiore cercarono di capire che cosa Assad chiedeva come segno delle loro buone intenzioni. La risposta venne data da un amico di Assad: “Dategli la testa del principe Bandar”. Richiesta non accolta dai capi di stato maggiore. Bandar bin Sultan aveva militato per decenni nei servizi sauditi e negli affari della sicurezza nazionale, ed era stato per più di venti anni ambasciatore a Washington. Nel corso degli ultimi anni si è distinto come uno strenuo sostenitore dell’eliminazione di Assad a tutti i costi. In cattive condizioni di salute, si è dimesso l’anno scorso da direttore del Consiglio di sicurezza nazionale saudita, ma l’Arabia Saudita continua ad essere una importante finanziatrice dell’opposizione siriana, per un ammontare stimato dai servizi di informazione statunitensi in 700 milioni di dollari l’anno.
Nel luglio 2013, i capi di stato maggiore trovarono un modo più diretto per dimostrare ad Assad la loro serietà. All’epoca, il flusso clandestino di armi provenienti dalla Libia alla opposizione siriana, attraverso la Turchia e con la copertura della CIA, era in corso da più di un anno (era cominciato poco dopo l'assassinio di Gheddafi, il 20 ottobre 2011). L’operazione vedeva impegnata una dependance segreta della CIA a Bengasi, con l’assenso del Dipartimento di Stato. L’11 settembre 2012, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia, Christopher Stevens, venne ucciso durante una manifestazione anti-USA, sfociata nell’incendio del consolato statunitense a Bengasi (nella foto a destra); alcuni giornalisti del Washington Post trovarono delle copie dell’agenda dell’ambasciatore tra le rovine dell’edificio. Risultava che il 10 settembre Stevens aveva incontrato il capo dell’operazione gestita dalla dependance della CIA. Il giorno dopo, poco prima di essere ucciso, aveva incontrato un rappresentante dei servizi portuali e marittimi di Al Marfa, una società con sede a Tripoli e conosciuta dallo stato maggiore, secondo il consigliere, come quella che si occupava del trasporto delle armi.
Alla fine del 2013, le analisi della DIA erano state già ampiamente divulgate ma, nonostante molte persone oramai, nella comunità statunitense dei servizi di informazione, sapessero che l’opposizione siriana era dominata dagli estremisti, le armi pagate dalla CIA continuavano ad affluire, cosa che costituiva un problema continuo per l’esercito di Assad. Le armi stoccate da Gheddafi erano diventate oramai un bazar internazionale, nonostante i prezzi fossero elevati. “Non c’era modo di fermare le consegne di armi che erano state autorizzate dal presidente” ha detto il consigliere. “Occorreva sforzare le meningi. La CIA venne contattata da un rappresentante dello stato maggiore con un suggerimento: vi erano armi molto più economiche disponibili negli arsenali turchi, che potevano essere trasferite ai ribelli siriani in pochi giorni e senza trasporto via mare”. Non era solo la CIA che ne avrebbe avuto un vantaggio. “Poi abbiamo lavorato con dei Turchi di nostra fiducia che non erano fedeli a Erdogan” ha detto il consigliere, “e li abbiamo convinti a spedire agli jihadisti siriani le armi più obsolete degli arsenali, ivi compresi dei fucili MI che non si erano più visti in circolazione dai tempi della guerra di Corea, e molte armi sovietiche. Era un messaggio che Assad poteva comprendere: ’Siamo in grado di contrastare le decisioni del presidente”.
La trasmissione delle informazioni statunitensi all’esercito siriano, e il peggioramento della qualità delle armi fornite ai ribelli, sono arrivate in un momento critico. L’esercito siriano aveva subito pesanti perdite durante la primavera del 2013, nella guerra contro Jabhat el-Nusra e gli altri gruppi estremisti, fino a perdere il controllo della capitale della provincia di Raqqa. Sporadici raid dell’esercito e dell’aviazione siriani erano proseguite nella regione per qualche mese, con poco successo, fino a quando fu deciso di ritirarsi da Raqqa e da altre regioni poco popolate e difficili da difendere nel nord e nell’ovest del paese e concentrarsi piuttosto nel consolidamento del controllo di Damasco e delle zone molto popolate che collegano la capitale a Laodicea, nel nord-est. Ma, mentre l’esercito siriano si rafforzava con l’aiuto degli stati maggiori USA, l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia intensificavano i loro finanziamenti e le consegne di armi a Jabhat el-Nusra e allo Stato Islamico che, alla fine del 2013, erano riusciti a riportare vittorie enormi ai due lati della frontiera in Siria e in Iraq. I ribelli non estremisti rimasti furono costretti a scontri sanguinosi – che hanno perso – contro gli estremisti. Nel gennaio 2014, ISIS assunse il controllo totale di Raqqa e delle zone tribali circostanti, controllate fino ad allora da el-Nusra, e fissò nella città la sua capitale. Assad continuava a controllare l’80% della popolazione siriana, ma aveva perso una gran quantità di territorio.
Anche il tentativo della CIA di formare i ribelli moderati stava fallendo miseramente. “Il campo d’addestramento della CIA era in Giordania ed era controllato da un gruppo tribale siriano”, secondo il consigliere. Si sospettava che alcuni di quelli che si erano candidati per l’addestramento fossero in realtà dei soldati dell’esercito siriano senza uniforme. C’era già stato un precedente, nel pieno della guerra in Iraq, quando centinaia di elementi delle milizie sciite si erano presentati ai campi di addestramento degli Stati Uniti per ricevere uniformi nuove, armi e una formazione di qualche giorno, poi erano spariti nel deserto. Un altro programma di formazione, realizzato dal Pentagono in Turchia, non aveva prodotto migliori risultati. Il Pentagono ha riconosciuto in settembre che solo “quattro o cinque” dei miliziani addestrati combattevano ancora contro lo Stato islamico; pochi giorni dopo, 70 hanno disertato e si sono uniti a Jabhat el-Nusra, subito dopo avere attraversato la frontiera con la Siria.
Nel gennaio 2014, preoccupato dall’assenza di ogni progresso, John Brennan, il direttore della CIA, ha convocato i capi dei Servizi statunitensi e arabi sunniti di tutto il Medio Oriente ad una riunione segreta a Washington, con l’intento di persuadere l’Arabia Saudita a smetterla di aiutare gli estremisti in Siria. “I Sauditi dissero che sarebbero stati felici di ascoltarci – ha detto il consigliere – e allora tutti sono venuti a Washington per sentire Brennan dire loro che dovevano allearsi ai sedicenti moderati. La comunicazione era che, se tutti in Medio Oriente avessero smesso di aiutare al-Nusra e ISIS, le loro armi e munizioni si sarebbero esaurite e i moderati avrebbero preso il sopravvento”. I Sauditi hanno ignorato il messaggio di Brennan, ha detto il consigliere, “sono rientrati e hanno accresciuto l’aiuto agli estremisti, chiedendoci maggiore sostegno tecnico. E noi abbiamo risposto OK, e il risultato è stato che siamo stati sul punto di dare una mano agli estremisti”.
Ma non erano i Sauditi l’unico problema: i servizi di informazione degli Stati Uniti avevano raccolto e intercettato delle informazioni che dimostravano che il governo Erdogan aiutava Jabhat al-Nusra da anni, e stava per fare lo stesso con ISIS. “Noi possiamo controllare i Sauditi”, ha detto il consigliere. Possiamo controllare i Fratelli Mussulmani. Si può dire che tutto l’equilibrio in Medio Oriente si basa su una minaccia di distruzione reciproca tra Israele e il resto del Medio Oriente, e la Turchia può sconvolgere questo equilibrio – è questo il sogno di Erdogan. Noi gli abbiamo detto che volevano che arrestasse il flusso di jihadisti occidentali che si riversavano in Turchia. Ma lui ha un sogno di grandezza – la restaurazione dell’impero ottomano – e non capisce fino a che punto può essere coronato da successo.
Le relazioni “da militare a militare” tra Stati Uniti e Russia
Una delle costanti nelle vicende degli Stati Uniti dopo la caduta dell’Unione Sovietica è stata quella delle relazioni “da militare a militare” con la Russia. Dal 1991, gli Stati Uniti hanno versato miliardi di dollari per aiutare la Russia a mettere in sicurezza il suo arsenale di armi nucleari, compresa una segretissima operazione congiunta per eliminare l’uranio di qualità dai depositi insicuri del Kazakistan. Programmi congiunti, miranti a controllare la sicurezza dei prodotti di qualità militari sono proseguiti per venti anni. Durante la guerra degli Stati Uniti in Afghanistan, la Russia ha concesso diritti di sorvolo per gli aerei di trasporto statunitensi, oltre che di accesso per la circolazione di armi, munizioni, rifornimenti e dell’acqua quotidiana necessaria alla macchina da guerra statunitense. L’esercito russo ha fornito informazioni sugli spostamenti di Osama bin Laden e ha dato una mano agli Stati Uniti nel negoziato per ottenere il diritto di utilizzazione di una base aerea in Kirghizistan. I capi di stato maggiore sono restati in contatto coi loro omologhi russi durante tutta la guerra di Siria e le relazioni tra due eserciti iniziano dai vertici. Nel mese di agosto, poche settimane prima della sua cessazione dalle funzioni di capo di stato maggiore, Dempsey ha effettuato una visita di addio alla sede delle Forze di difesa irlandesi di Dublino e ha dichiarato a chi lo ascoltava che aveva avuto cura, durante il suo mandato, di restare in contatto col capo dello stato maggiore russo, il generale Valery Guerasimov. “Gli ho perfino proposto di non terminare le nostre carriere come le abbiamo cominciate”, ha dichiarato Dempsey – uno era comandante di mezzi corazzati in Germania ovest e l’altro in Germania dell’est.
Quando si tratta dello Stato Islamico, la Russia e gli Stati Uniti hanno molto da offrirsi. Molti dei quadri e miliari di ISIS hanno combattuto per dieci anni nelle due guerre di Cecenia iniziate nel 1994, e il governo Putin ha investito molto nella lotta contro il terrorismo islamista. “La Russia conosce la dirigenza di ISIS”, ha detto il consigliere. “E ha idea delle sue tecniche operative, e molte informazioni da condividere”. Per contro, dice, “noi abbiamo eccellenti addestratori con anni di esperienza nella formazione di combattenti stranieri – una esperienza che la Russia non possiede”. Il consigliere non ha voluto discutere a proposito di un vantaggio che si sospetta abbiano i servizi di informazione statunitensi: la possibilità di ottenere dati sui bersagli, spesso in cambio del versamento di enormi somme di denaro ad alcune fonti che fanno parte delle milizie ribelli.
Un ex consigliere della Casa Bianca per gli affari russi mi ha confidato che, prima dell’11 settembre, Putin soleva dirci: “Noi abbiamo gli stessi incubi, ma in posti diversi”. Alludeva ai suoi problemi col califfato in Cecenia e ai nostri primi problemi con Al Qaeda. Oggi, dopo l’attentato contro l’aereo civile russo sul Sinai e i massacri di Parigi e altrove, difficile negare che abbiamo gli stessi incubi negli stessi posti”.
Tuttavia l’amministrazione Obama si ostina a condannare la Russia per il suo appoggio a Assad. Un alto diplomatico in pensione che ha lavorato all’ambasciata statunitense a Mosca ha espresso la propria simpatia per il dilemma di Obama in quanto leader della coalizione occidentale che si oppone all’aggressione della Russia contro l’Ucraina: “L’Ucraina è un problema grave e Obama lo gestisce con fermezza con le sanzioni necessarie. Ma la nostra politica nei confronti della Siria spesso è mal centrata. Non si tratta di noi in Siria. Si tratta di evitare che Bachar perda. La verità è che Putin non vuole che il caos siriano si allarghi alla Giordania o al Libano, come è stato nel caso dell’Iraq, e non vuol vedere la Siria cadere nelle mani di ISIS. Lo sbaglio maggiore di Obama, che ha provocato molti danni al nostro tentativo di porre fine alla guerra, è stato di dire: ‘la caduta di Assad è una premessa di qualsiasi negoziato”. Ha anche fatto riferimento ad una opinione condivisa da qualcuno nel Pentagono, quando ha menzionato un altro fattore dietro la decisione russa del 30 settembre di lanciare degli attacchi aerei a sostegno dell’esercito siriano: il desiderio di Putin di evitare che Assad facesse la stessa fine di Gheddafi. Si dice che Putin abbia guardato per tre volte il video del selvaggio assassinio di Gheddafi, un video che mostra Gheddafi sodomizzato con un bastone. Il consigliere mi ha anche detto che un rapporto dei Servizi statunitensi riferisce che Putin era rimasto costernato per la fine di Gheddafi: “Putin si considera responsabile per avere abbandonato Gheddafi, per non avere svolto un ruolo più importante dietro le quinte” all’ONU, quando la coalizione occidentale faceva lobbying per ottenere l’autorizzazione a lanciare gli attacchi aerei che hanno distrutto il regime. “Putin pensa che, se non si impegnerà, anche Assad subirà la stessa sorte – dilaniato - e lui assisterà alla distruzione dei suoi alleati in Siria”.
L’atteggiamento dell’amministrazione “civile” e dei media USA verso la Russia
In un discorso pronunciato il 22 novembre, Obama ha dichiarato che “il bersaglio principale” degli attacchi aerei russi “è stata l’opposizione moderata”. E’ un discorso dal quale l’amministrazione – e la maggior parte dei media statunitensi tradizionali – si discostano raramente. I Russi affermano con forza che essi colpiscono tutti i gruppi ribelli che minacciano la stabilità della Siria – ivi compreso lo Stato Islamico. Il consigliere del Cremlino per il Medio Oriente ha spiegato in una intervista che la prima ondata di attacchi aerei russi mirava a mettere in sicurezza una base aerea russa a Laodicea, un bastione alaouita. L’obiettivo strategico, ha detto, era di liberare un corridoio da Damasco a Laodicea e la base nevale russa di Tartus e poi di dirigere i bombardamenti progressivamente verso sud e verso est, con una maggiore concentrazione di missioni di bombardamento sulle zone tenute da ISIS, Attacchi aerei russi sugli obiettivi di ISIS e Raqqa sono stati segnalati fin dall’inizio di ottobre; in novembre vi sono stati nuovi attacchi sulle posizioni di ISIS intorno alla città storica di Palmira e nella provincia di Idib, un bastione aspramente conteso sulla frontiera turca.
Le incursioni russe nello spazio aereo turco sono cominciate poco tempo dopo che Putin ha autorizzato i bombardamenti, e la forza aera russa ha fatto ricorso a sistemi di oscuramento elettronico che interferivano coi radar turchi. Il messaggio inviato all’aviazione militare turca, ha dichiarato il consigliere, era: “I nostri aerei militari vanno dove e quando vogliamo noi e noi oscureremo i vostri radar. Non scherzate con noi. Putin ha fatto sapere ai Turchi con che cosa avevano a che fare”. L’aggressione russa ha provocato proteste turche e critiche, innescando controlli di frontiera più aggressivi da parte dell’aviazione militare turca. Non vi è stato alcun incidente di rilievo fino al 24 novembre, quando due caccia F-16 turchi, evidentemente sulla base di regole di ingaggio più aggressive, hanno abbattuto un aereo russo Su-24M che aveva invaso lo spazio aereo turco per non più di 17 secondi. Nei giorni seguenti, Obama ha espresso il suo sostegno a Erdogan, e dopo un incontro privato con lui avvenuto il 1° dicembre, ha detto durante una conferenza stampa che la sua amministrazione “era molto interessata alla sicurezza e alla sovranità della Turchia”. Ha detto che, finché la Russia sarà alleata di Assad, “La Russia impegna molte forze contro gruppi dell’opposizione… che noi appoggiamo… Non credo quindi che dobbiamo illuderci che in qualche modo la Russia colpirà solo ISIS. Non è così. Non è mai stato così. E non sarà così nelle settimane che verranno”.
Il consigliere del Cremlino per il Medio Oriente, come i capi di stato maggiore della DIA, diffidano dei “moderati” appoggiati da Obama, e li considerano gruppi islamici estremisti che combattono al fianco di Jabhat el-Nusra e di ISIS (“Inutile giocare con le parole e distinguere i terroristi moderati da quelli non moderati”, ha dichiarato Putin durante un discorso pronunciato il 22 ottobre). I generali statunitensi li considerano come milizie senza futuro che sono state costrette ad accordarsi con Jabhat el-Nusra per sopravvivere. Alla fine del 2014, Jurgen Todenhofer, un giornalista tedesco che ha ottenuto il permesso di trascorrere 10 giorni nel territorio controllato da ISIS in Iraq e in Siria, ha dichiarato alla CNN che ISIS “ride dell’Esercito Libero Siriano. Non lo prende sul serio. Dice: ‘i migliori fornitori di armi di cui disponiamo sono quelli dell’ELS. Appena ricevono buone armi, ce le vendono”. “Non lo prende sul serio. Prende sul serio Assad. Prende sul serio, ovviamente, le bombe. Ma non ha paura di niente e l’ELS non conta niente”.
I bombardamenti di Putin in Siria hanno dato la stura ad una serie di articoli anti-russi nella stampa degli Stati Uniti. Il 25 ottobre, il New York Times ha riferito, citando alcuni responsabili dell’amministrazione Obama, che i sottomarini russi e le navi-spia erano “aggressivi” quando passavano vicino ai cavi sottomarini che trasportano buona parte del traffico Internet nel mondo – per quanto, come l’articolo ha alla fine riconosciuto, non vi erano “prove” di un qualsiasi tentativo russo di interferire con questo traffico. Dieci giorni dopo, il Times ha pubblicato una scheda sugli interventi russi nelle sue ex repubbliche satellite sovietiche, e descritto i bombardamenti russi in Siria come “per certi versi, un ritorno agli ambiziosi movimenti militari del passato sovietico”. L’articolo non ha fatto cenno al fatto che è stato il governo di Assad a chiedere l’intervento russo, né che i bombardamenti USA sul territorio siriano, che sono cominciati lo scorso settembre, si fanno senza l’accordo della Siria. Un editoriale del mese di ottobre dello stesso giornale a firma di Michael McFaul, l’ambasciatore di Obama in Russia tra il 2012 e il 2014, ha sostenuto che la campagna aera russa “attaccava tutti, tranne lo Stato Islamico”. Gli articoli anti-russi non sono diminuiti dopo l’attentato rivendicato da ISIS contro l’aereo di linea russo. Pochi, nel governo e nei media degli Stati Uniti, si sono chiesti per quale motivo ISIS avrebbe dovuto colpire un aereo di linea russo, con 224 tra passeggeri e membri dell’equipaggio, se l’aviazione russa davvero attaccasse solo i “moderati”.
Nel frattempo, le sanzioni economiche contro la Russia sono ancora in vigore, in relazione a quelli che molti Statunitensi considerano crimini di guerra di Putin in Ucraina, e anche le sanzioni del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti contro la Siria e gli Statunitensi che vi fanno affari. Il New York Times, in un articolo sulle sanzioni pubblicato a fine novembre, ha rilanciato una vecchia affermazione senza fondamento, secondo cui le iniziative del Tesoro “enfatizzano un argomento sul quale l’amministrazione insiste sempre di più a proposito di Assad, mentre tenta di premere sulla Russia perché cessi di sostenerlo: nonostante Assad sostenga di essere in guerra contro i terroristi islamisti, ha in realtà una relazione simbiotica con lo Stato Islamico, che gli ha consentito di sopravvivere e di restare attaccato al potere”.
La politica di Obama in Siria
I quattro elementi su cui si fonda la politica di Obama verso la Siria restano intatti ancora oggi: una insistenza sulle dimissioni di Assad; che non è possibile alcuna coalizione anti-ISIS con la Russia; che la Turchia è un alleato indefettibile nella guerra contro il terrorismo; e che esistono davvero delle forze di opposizione moderata importanti che gli Stati Uniti possono appoggiare. Gli attentati di Parigi del 13 novembre che hanno ucciso 130 persone non hanno modificato la posizione ufficiale della Casa Bianca, per quanto molti leader europei, tra cui François Hollande, abbiano sostenuto l’idea di una maggiore cooperazione con la Russia e deciso un più stretto coordinamento con la sua forza aerea; hanno anche sostenuto che occorre essere più elastici sul calendario dell’allontanamento di Assad. Il 24 novembre, Hollande è volato a Washington per discutere sul modo in cui Francia e Stati Uniti potrebbero collaborare più strettamente nella lotta contro ISIS. Durante una conferenza stampa congiunta alla Casa Bianca, Obama ha dichiarato che lui e Hollande avevano convenuto che gli attacchi russi contro l’opposizione moderata servono solo a rafforzare il regime di Assad, la cui brutalità ha contribuito ad alimentare la crescita” di ISIS. Hollande non si è spinto così lontano, ma ha detto che il negoziato di Vienna “porterà alle dimissioni di Bachar el-Assad… un governo di unità è necessario”. La conferenza stampa non ha toccato la questione molto più urgente dello stallo tra i due uomini a proposito di Erdogan. Obama ha difeso il diritto della Turchia di difendere le frontiere. Il consigliere mi ha detto che uno degli obiettivi principali che Hollande si era proposto di raggiungere a Washington era di persuadere Obama a unirsi alla UE in una dichiarazione congiunta di guerra contro ISIS. Obama ha rifiutato. Gli Europei avevano ostensibilmente evitato di prendere in considerazione la NATO, di cui la Turchia fa parte, per una simile dichiarazione. “Il problema è la Turchia”, ha detto il consigliere.
Ovviamente Assad respinge l’idea che sia un gruppo di leader stranieri a decidere del suo destino. Imad Mustapha, attuale ambasciatore siriano in Cina, era decano della facoltà di informatica all’Università di Damasco e fidato collaboratore di Assad, quando venne nominato nel 2004 ambasciatore siriano negli Stati Uniti, ruolo che ha svolto per sette anni. Mustapha è noto per la sua amicizia con Assad, dunque si può ritenere che quel che dice rifletta quello che Assad pensa. Ebbene Mustapha mi ha detto che, per Assad, dimettersi significherebbe capitolare davanti ai “gruppi terroristi armati” e che la presenza di ministri (designati da potenze straniere, ndt) in un governo di unità nazionale – come hanno proposto gli Europei – porrebbe il governo in una situazione di dipendenza verso le potenze straniere che li hanno nominati. Queste potenze potrebbero sempre ricordare al nuovo presidente “che sono in grado di sostituirlo facilmente, come hanno fatto col predecessore… Assad lo deve al suo popolo: lui non può dimettersi, perché i nemici storici della Siria esigono le sue dimissioni”.
Il ruolo della Cina
Mustapha ha anche parlato della Cina, un alleato di Assad che si sarebbe impegnata per più di 30 miliardi di dollari per la ricostruzione del dopo-guerra in Siria. Anche la Cina è preoccupata dalla presenza dello Stato Islamico. “La Cina considera la crisi siriana sotto tre angolature”, dice: il diritto internazionale e la legittimità; gli equilibri strategici mondiali; e le attività degli Uiguri jihadisti della provincia dello Xinjiang, nell’estremo ovest della Cina. Lo Xinjiang confina con otto paesi – la Mongolia, la Russia, il Kazakhistan, il Kirghizistan, il Tajikistan, l’Afghanistan, il Pakistan e l’India – e, nell’analisi cinese, è un canale di transito del terrorismo nel mondo e in Cina. Molti combattenti uiguri che si trovano attualmente in Siria sono noti appartenenti al Movimento islamico del Turkestan orientale – una organizzazione separatista spesso violenta che vuole fondare uno Stato islamista uiguro in Xinjiang. “Il fatto che essi abbiano beneficiato dell’aiuto dei Servizi turchi per recarsi in Siria attraverso la Turchia, ha provocato una enorme tensione tra i servizi di informazione cinesi e turchi”, ha dichiarato Mustapha. “La Cina si preoccupa che l’aiuto della Turchia ai combattenti uiguri in Siria possa allargarsi in futuro, per alimentare le mire della Turchia nello Xinjiang. Noi già forniamo ai Servizi cinesi informazioni su questi terroristi e le rotte che hanno seguito per giungere in Siria”.
Lo Xinjiang cinese
Le preoccupazioni di Mustapha sono state riprese da un analista degli Affari esteri a Washington, che ha seguito da vicino il passaggio degli jihadisti attraverso la Turchia verso la Siria. L’analista, i cui punti di vista sono molto apprezzati dagli alti responsabili del governo, mi ha detto che “Erdogan ha fatto accompagnare degli Uiguri in Siria, servendosi di trasporti speciali, mentre il suo governo si agitava a favore della loro lotta in territorio cinese. Alcuni terroristi mussulmani uiguri e birmani che fuggono verso la Tailandia, riescono ad ottenere dei passaporti turchi e vengono poi trasportati in Turchia e poi in Siria”. Ha aggiunto che esiste un’altra “rete di trasporto” per gli Uiguri – le stime vanno da qualche centinaia a diverse migliaia nel corso degli anni – provenienti dalla Cina e diretti in Kazakistan, con una tappa eventuale in Turchia, e poi verso una zona controllata da ISIS in Siria. “I Servizi di informazione degli Stati Uniti”, dice “non ricevono informazioni complete su queste attività, in quanto gli informatori, scontenti della nostra politica, non ne parlano””. Ha anche detto che “non sapeva bene” se i responsabili per la politica siriana in seno al Dipartimento di Stato e alla Casa Bianca “capiscono che cosa succede” Il periodico IHS-Jane’s Defence Weekly ha stimato in ottobre che non meno di cinquemila uiguri e aspiranti combattenti erano giunti in Turchia dal 2013, di cui forse duemila sono riusciti a entrare in Siria. Mustapha ha detto di essere in possesso di informazioni secondo cui “fino a 860 combattenti uiguri si trovano attualmente in Siria”.
La preoccupazione crescente della Cina per il problema uiguro e i suoi legami con la Siria e lo Stato Islamico hanno stimolato l’interesse di Christina Lin, una universitaria che ha studiato le questioni cinesi per dieci anni, quando lavorava al Pentagono con Donald Rumsfeld. “Sono cresciuta a Taiwan e sono riuscita a entrare al Pentagono per le mie posizioni critiche verso la Cina”, mi ha detto Lin. “Demonizzavo i Cinesi per la loro ideologia, e certo non sono perfetti. Ma nel corso degli anni, vedendoli aprirsi ed in continua evoluzione, ho dovuto modificare il mio punto di vista. Oggi considero la Cina come un partner potenziale su diversi punti di crisi mondiali, soprattutto in Medio Oriente. Vi sono molti luoghi – la Siria, per limitarsi ad essa – dove Stati Uniti e Cina devono cooperare per la sicurezza regionale e la lotta contro il terrorismo”. Qualche settimana fa, dice, la Cina e l’India, due nemici della Guerra Fredda che “si detestano più della Cina e gli Stati Uniti, hanno effettuato una serie di esercitazioni antiterroriste congiunte. E oggi la Cina e la Russia vogliono entrambi cooperare sulla questione del terrorismo con gli Stati Uniti”. Secondo la Cina, suggerisce Lin, i militanti uiguri che si sono recati in Siria vengono addestrati dallo Stato Islamico nelle tecniche di sopravvivenza, che dovranno loro servire quando ritorneranno clandestinamente nella Cina continentale per realizzare futuri attacchi terroristi. “Se Assad perde”, ha scritto Lin in un articolo pubblicato in settembre “i combattenti jihadisti della Cecenia russa, dello Xinjiang cinese e del Kashmir indiano ritorneranno alle loro basi per proseguire il jihad, appoggiati da una nuova e ben equipaggiata base siriana nel cuore del Medio Oriente”.
Il dissenso in USA verso la politica di Obama in Siria
Il generale Dempsey e i suoi colleghi dello stato maggiore hanno espresso la loro contrarietà al di fuori dei canali burocratici, e hanno conservato il loro posto. Il generale Michel Flynn, invece, lo ha perso. “Flynn ha subito la collera della Casa Bianca insistendo che occorreva dire la verità sulla Siria”, ha dichiarato Patrick Lang, un colonnello dell’esercito in pensione che ha lavorato per quasi dieci anni come ufficiale della Intelligence civile per il Medio Oriente, e anche per i servizi di Intelligence dell’esercito (DIA). “Pensava che la verità fosse la scelta migliore, e lo hanno buttato fuori. Lui non voleva tacere”. Flynn mi ha detto che i suoi problemi non riguardavano solo la Siria. “Io smuovevo le acque alla DIA – niente altro che spostare le sedie a sdraio sul Titanic. Era una riforma radicale. Io avvertivo che i responsabili civili non volevano sentire la verità. Ne ho sofferto, ma su questo sono ok”. In una recente intervista rilasciata al periodico Der Spiegel, Flynn si è espresso senza giri di parole sull’intervento russo nella guerra siriana: “Noi dobbiamo lavorare in modo costruttivo con la Russia. Che ci piaccia o no. La Russia ha deciso di essere là e di intervenire militarmente. Oramai sono là, e questo ha considerevolmente cambiato la situazione. Dunque, è inutile dire che la Russia è cattiva, che deve ritirarsi. Questo non può succedere, siamo realisti”.
Il generale Michel Flynn
Non sono in tanti nel Congresso degli Stati Uniti a condividere questa opinione. Un’eccezione è Tulsi Gabbard. Un democratico delle Hawai e membro della Commissione delle Eserciti alla Camera dei Rappresentanti, che è stato maggiore della Guardia Nazionale e fu mandato due volte in Medio Oriente. In una intervista alla CNN. in ottobre, ha dichiarato: “Gli Stati Uniti e la CIA devono cessare questa guerra illegale e contro-producente per rovesciare il governo siriano di Assad, e dovrebbero concentrarsi invece nella lotta contro… i gruppi estremisti islamici”.
“Non la preoccupa- ha chiesto l’intervistatore – la brutalità del regime di Assad, che ha ucciso 200.000 o forse 300.000 suoi concittadini?”
“Le cose che si raccontano su Assad oggi – ha risposto Gabbard – sono le stesse che si raccontavano su Gheddafi, e sono le stesse che si raccontarono su Saddam Hussein, da parte di chi predicava… il rovesciamento di questi regimi… Se ciò accadesse in Siria… ci ritroveremmo in una situazione di molte maggiori sofferenze (per il popolo), con molte più persecuzioni delle minoranze religiose e dei cristiani in Siria, e il nostro nemico sarà molto più forte”.
“Dunque, lei ritiene – ha chiesto ancora l’intervistatore – che l’intervento aereo russo e l’intervento terrestre iraniano – rendano un reale servizio agli Stati Uniti?”
“Essi lavorano per vincere il nostro comune nemico”, ha risposto Gabbard.
Gabbard mi ha detto più tardi che molti dei suoi colleghi del Congresso, democratici e repubblicani, lo hanno ringraziato in privato di avere parlato. “C’è molta gente tra il pubblico, e anche nel Congresso, che ha bisogno che le cose siano chiaramente spiegate – ha detto Gabbard – Ma ciò è difficile quando le cose che succedono vengono completamente manipolate. La verità non passa”. E’ raro per un politico contestare apertamente la politica estera del suo paese. Per qualcuno dall’interno, che abbia accesso alle informazioni più riservate, parlare apertamente e in toni critici può comportare una fine anticipata della carriera. Critiche bene informate vengono talvolta manifestate nell’ambito di relazioni confidenziali tra qualcuno dell’interno e un giornalista, ma ciò avviene praticamente sempre in forma anonima. Ciononostante i dissensi vi sono. Il consulente di lunga data non ha potuto nascondere la sua riprovazione quando gli ho chiesto il suo punto di vista sulla politica statunitense in Siria. “La soluzione in Siria è proprio davanti a noi – dice – La nostra minaccia principale è l’ISIS e noi – gli Stati Uniti, la Russia e la Cina – dobbiamo lavorare insieme. Bachar resterà presidente e, quando il paese si sarà stabilizzato, si indiranno elezioni. Non c’è altra soluzione”.
I rapporti diretti dell’esercito con Assad si sono chiusi quando Dempsey è andato in pensione a settembre. Il successore, il generale Joseph Dunford, ha testimoniato davanti alla Commissione degli eserciti al Senato in luglio, due mesi prima di entrare in funzione. “Se volete il nome di un paese che potrebbe costituire una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti, citerei la Russia”, ha detto Dunford. “Se osservate come agiscono, la cosa è per lo meno allarmante”. In ottobre Dunford ha respinto aprioristicamente i bombardamenti russi in Siria, dichiarando dinanzi alla stessa commissione che la Russia “non combatte” ISIS. Ha aggiunto che gli Stati Uniti debbono “lavorare coi partner turchi per mettere in sicurezza la frontiera nord della Siria” e “fare tutto il possibile per consentire a forze scelte dell’opposizione siriana” – vale a dire i “moderati – di combattere contro gli estremisti.
Obama ha oramai un Pentagono più docile. Non ci saranno più contestazioni dirette da parte della direzione militare alla sua politica di disprezzo per Assad e di sostegno a Erdogan. Dempsey e i suoi colleghi restano perplessi davanti all’appoggio persistente di Obama ad Erdogan, tenuto conto dello spessore del dossier che i servizi di informazione degli Stati Uniti hanno contro di lui – e per il fatto che lo stesso Obama in privato è d’accordo col contenuto del dossier. “Noi sappiamo che cosa fate coi radicali in Siria”, ha dichiarato il presidente al capo dei servizi di informazione di Erdogan durante una riunione alla Casa Bianca (come ho scritto nel London Review of Books del 17 aprile 2014). Lo Stato maggiore e la DIA hanno costantemente avvertito i dirigenti di Washington sulla minaccia jihadista in Siria, e del fatto che è sostenuta dalla Turchia. Non li si è mai ascoltati. Perché?