Crisi Siriana
L'ultimo numero della rivista di ISIS
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Crisi siriana, gennaio 2016 - Il numero 13 di Dabiq, la rivista in inglese di Daesh o “Gruppo Stato islamico” (GSI), è disponibile in internet da metà gennaio. La lettura consente di comprendere quali obiettivi saranno perseguiti da Daesh a medio termine (nella foto, il numero 13 di Dabiq)
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 24 gennaio 2016 (trad.ossin)
L'ultimo numero della rivista di ISIS
Alain Rodier
Il numero 13 di Dabiq, la rivista in inglese di Daesh o “Gruppo Stato islamico” (GSI) (1), è disponibile in internet da metà gennaio. Come sempre, la pubblicazione è molto interessante da decrittare. La lettura consente di comprendere quali obiettivi saranno perseguiti da Daesh a medio termine, a condizione che l’analisi del testo venga integrato con altre informazioni divulgate da altre fonti
Omaggio agli assassini di San Bernardino
Questo numero di Dabiq si apre col ricordo del massacro di San Bernardino, avvenuto negli Stati Uniti il 2 dicembre 2015. Ha provocato 14 morti, tra cui i due terroristi, e 24 feriti. Daesh si complimenta con gli autori, Syed Rizwan Farook, uno statunitense di origine pakistana, e sua moglie Tashfeen Malik – per avere realizzato questa azione, rinunciando ad una vita agiata. Il fatto che, prima dell’attentato, essi abbiano affidato alla madre di Farook la figlioletta di sei mesi, ben sapendo che non l’avrebbero mai più veduta, viene presentato come un sacrificio eccezionale. Molti complimenti per la donna, di nazionalità pachistana, che non aveva alcun obbligo di passare all’azione, essendo una donna. Daesh chiede che il maggior numero di mussulmani segua l’esempio di questa coppia modello.
E’ possibile trarre tre dati da questo testo. Il GSI non era direttamente coinvolto nell’operazione, dal momento che non l’ha rivendicata ufficialmente. Peraltro, in una precedente dichiarazione, aveva definito i due terroristi come “partigiani” e non come “soldati del califfato”, una sfumatura fondamentale. Infatti quando si parla di “soldati del califfato” – come in occasione degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 o del sabotaggio dell’Airbus russo di Sharm el-Sheikh, il 31 ottobre dello stesso anno – significa che l’operazione è stata diretta realmente dal GSI. Altrimenti si tratta di simpatizzanti che hanno preso l’iniziativa di una operazione, senza avere legami diretti con l’organizzazione, e che vengono di solito definiti “lupi solitari” (Coulibaly era uno di questi). Le dichiarazioni di fedeltà che rilasciano nei loro messaggi postumi impegnano solo chi le fa, giacché la loro fedeltà non è stata ufficialmente accettata da Abou Bakr al-Baghdadi, alias califfo Ibrahim. Generalmente quest’ultimo viene a saperlo insieme a tutti gli altri, vale a dire dalla stampa.
Si conferma che Daesh non attribuisce il ruolo “combattente” alle donne, anche se taluni movimenti che hanno giurato fedeltà al gruppo, come Boko Haram, le utilizzano (soprattutto le ragazze) come kamikaze. Occorre dire che l’islam praticato dai membri di Boko Haram è fortemente impregnato di animismo. La cosa non piace troppo ai leader di Daesh, ma essi fanno buon viso, in quanto questo movimento è per loro strategicamente indispensabile. Le sole donne armate del GSI sono quelle che fanno parte della polizia interna, con compiti di controllo sulla popolazione femminile. E’ tuttavia previsto che tutte le donne facenti parte dello Stato Islamico imparino a maneggiare le armi leggere “in caso di…”; di qui le foto di donne armate divulgate in internet.
Syed Rizwan Farook e Tashfeen Malik
In linea di massima, la missione affidata alle donne dai salafiti-jihadisti – oltre a quella di procreare una futura generazione di combattenti, il jihad essendo di lunga durata – è di sostenere psicologicamente i combattenti. Questo ruolo morale non viene mai sottolineato a sufficienza, e nemmeno la responsabilità delle donne nella combattività di mariti e figli. Infatti lo sguardo che rivolgono loro ha una importanza psicologica di primaria importanza.
Molta attenzione viene anche dedicata alla morte, avvenuta in novembre 2015, di Jihad John (nella foto a destra) – dal suo vero nome Mohammed Emwazi – chiamato da Dabiq Abou Muharib al-Muhajir. La sua storia viene raccontata in dettaglio, minimizzando la sua iniziale adesione ad Al Qaeda “canale storico”. La riviste ne sottolinea il “lato umano”, diffondendosi sulla sua misericordia, la sua gentilezza e generosità verso i credenti. Non si fa alcun cenno alla sua attività di boia, specialista nella decapitazione col coltello. Da notare che Jihad John sarebbe stato sostituito da un Britannico di origine indiana, Siddharta Dhar, alias Abou Rumaysah.
La demonizzazione degli sciiti
Ma sono la copertina e il titolo a riassumere l’idea-chiave di questo numero di Dabiq. La foto mostra una manifestazione religiosa sciita in occasione dell’Achoura (2) e il titolo “Gli Rafidah” fa riferimento a “coloro che non riconoscono”. E’ il soprannome riservato agli sciiti che, secondo Daesh, non riconoscono l’autorità legittima dell’islam, quella dei sunniti. In secondo piano, vi sono due riferimenti storici di Ibn Saba’ al Dajjal. Abdallah Ibn Saba sarebbe un ebreo convertito all’islam che si afferma essere il fondatore dello sciismo. Gli sciiti rinnegano la sua stessa esistenza, affermando che si tratta di una pura leggenda finalizzata a demonizzarli. Dajjal significa “falso messia”, così assimilandolo all’anticristo. Egli viene anche definito dai sunniti “Satana”.
L’obiettivo designato di questo numero è chiaramente costituito dagli sciiti in generale, e dall’Iran in particolare. Un articolo completo spiega dal punto di vista dottrinario e storico perché gli sciiti sono dei “Rafidah”. Viene anche fatto un accostamento agli ebrei, cosa che agli occhi di un profano può sembrare sbalorditiva. Tuttavia la lettura di questo passaggio dimostra che, se gli esecutivi di base di Daesh – soprattutto i volontari stranieri – non sono particolarmente ferrati in religione, le alte sfere del movimento hanno una conoscenza approfondita dei testi sacri dell’islam, versione sunnita.
Da oggi in poi gli sciiti devono costituire un bersaglio per i membri dello Stato Islamico. Incredibilmente, Daesh insiste sul fatto che l’islam sunnita è stato troppo tollerante verso gli sciiti, considerati come apostati che devono essere semplicemente sterminati. Non ne fa oggetto di quella “indulgenza” che si riserva agli ebrei e ai cristiani, che pure vengono considerai come “gente del Libro” dal Corano (sura 41, versetto 34). Anche questo passaggio viene però messo in discussione dagli eruditi di Daesh, che lo giudicano risalente ad un tempo in cui i mussulmani non erano ancora tanto potenti da poter imporre la loro superiorità. In questo vi è una contraddizione: il salafismo-jihadismo cui si ispira Daesh è una ideologia che predica il ritorno dell’islam alle origini e al rispetto scrupoloso dei testi sacri che non possono essere oggetto di interpretazione, perché provengono da dio. Si scopre adesso che questi eruditi i testi li interpretano, almeno quando conviene loro.
Gli autori citano Abou Moussab Al-Zarqawi, considerato il fondatore dello Stato Islamico dell’Iraq (ISI), l’antenato di Daesh, che ha polemizzato con Al-Zawahiri (all’epoca numero 2 di Al Qaeda) a questo proposito, in una corrispondenza risalente al 2005. Zawahiri già all’epoca gli contestava l’eccessiva aggressività nei confronti degli sciiti, che impediva ad Al Qaeda di raggiungere i suoi obiettivi di lungo termine. Zarqawi ribatteva che la politica di Al Qaeda verso gli sciiti era chiaramente fondata sull’idea “deviante” che essi siano dei veri “mussulmani”, mentre invece egli li riteneva solo dei traditori dell’islam, così come egli stesso lo concepiva (3). Per il GSI, Zawahiri persiste nel suo errore, considerando gli sciiti come dei “fratelli”. Viene anche accusato di intrattenere rapporti con i “Rafidah” iraniani, di avere criticato le sanzioni dell’ONU contro l’Iran (4) e di condannare gli attacchi contro gli sciiti.
Un esempio della propaganda anti-iraniana: l'ex presidente Ahmadinejad accostato ad un ebreo ortodosso
I Talebani vengono considerati allo stesso modo di Al Qaeda “canale storico”. Daesh li accusa di legami con l’Inter-Services Intelligence (ISI), i servizi segreti pachistani. Lo sceicco Hafidh Said Khan, presentato come il governatore (wali) della Wilaya (provincia) di Khorasan, comprendente l’Afghanistan e il Pakistan, riprende le medesime insinuazioni nei confronti di Al Qaeda e i Talebani. L’unico obiettivo di questi ultimi, secondo lui, è di combattere il califfato che tenta di farsi spazio nella zona AfPak. Conferma peraltro che alcuni membri del Movimento Islamico dell’Uzbekistan (MIU) – che hanno giurato fedeltà ad Abou Bakr al-Baghdadi e che quest’ultimo chiama “fratelli mujaheddin uzbechi” - sono stati attaccati dai Talebani. Ricorda che i Talebani presentarono le condoglianze in occasione della morte, nel 2015, del generale Hamid Gul, che guidò l’ISI negli anni 1980 e che promosse una feconda collaborazione tra ISI (servizi segreti pachistani), Talebani e anche Al Qaeda. Said Khan afferma che alcuni elementi dell’attuale shura dei Talebani e anche il successore del mullah Omar (5), il mullah Akhtar Mohammad Mansour in persona, sono agenti dell’ISI. Hafid Said Khan non distingue tra Telabani afghani e pachistani. Ritiene che essi non rispettino affatto la legge islamica, ma dei “costumi tribali” e “aspirazioni e tradizioni” locali.
Tutte queste considerazioni sono evidentemente destinate ai mujaheddin che operano in Afghanistan e in Pakistan. Bisogna convincerli che sono stati per anni ingannati dai Talebani (viene ricordata anche la menzogna di aver nascosto per più di due anni la morte del mullah Omar) e da Al Qaeda, e che l’unica soluzione è di unirsi alle forze della wilaya Khorasan, che dipende dal GSI, unico detentore della vera fede. Gli scontri che hanno cominciato a registrarsi tra Daesh, i governi di Kabul e Islamabad e i Talebani dovrebbero quindi considerevolmente crescere di intensità nei prossimi mesi, col passaggio verosimilmente di molti combattenti nei ranghi del GSI.
Lo sceicco Hafidh Daid Khan
Presi di mira anche la famiglia reale saudita e gli “eruditi di palazzo”
Gli altri bersagli presi di mira sono i membri della famiglia reale saudita, ma anche quattro dei suoi più importanti eruditi (definiti “eruditi di palazzo”) che sono stati ufficialmente condannati a morte dallo Stato Islamico. Sono tutti accusati di avere tentato di dissuadere i mussulmani dal jihad e dalla istituzione della sharia. Vengono anche definiti schiavi dei Tawaghit (coloro che trasgrediscono alla legge di dio), perché “collaborano” con gli ebrei, i cristiani e i pagani, avendo come unico obiettivo di distruggere l’islam. Viene ovviamente condannata l’esecuzione di oltre 40 membri di Al Qaeda, il 2 gennaio 2016, anche se i condannati erano stati operativi tra il 2003 e il 2006, vale a dire ben prima della creazione dello Stato Islamico dell’Iraq (ISI). Dabiq rimprovera d’altra parte ad Al Qaeda centrale di non avere dato una risposta a questi crimini. Ciò vuol dire ignorare che Al Qaeda nella Penisola arabica (AQPA), il braccio armato di Al Qaeda centrale nella regione, ha promesso una vendetta implacabile dopo le esecuzioni.
L’Arabia Saudita va dunque incontro ad un intensificarsi delle azioni terroriste. Sia provenienti da AQPA, che dal GSI. Daesh ha fatto appello ai mussulmani della penisola araba perché si sollevino contro l’apostasia e gli “eruditi di palazzo”. Il rischio reale sembra ancora limitato, giacché una rivolta con tutti i crismi sembra allo stato prematura. Però potrebbe ben scoppiare una lotta di palazzo, dal momento che il re Salman è in pessime condizioni di salute e gli aspiranti alla successione assai numerosi.
Nel vicino Yemen, dove Riyadh guida una coalizione contro i ribelli al-houthi e i seguaci dell’ex presidente Abdallah Saleh, che si sono impadroniti della parte ovest del paese all’inizio del 2015, Daesh ha un arco ancora più ampio di nemici: i Sauditi e i loro alleati, i ribelli e AQPA. Al momento, all’attivo del GSI vi sono soprattutto i gravi attentati terroristi perpetrati nella capitale Sanaa (in mano ai ribelli) e ad Aden (teoricamente controllata dal governo legale yemenita appoggiato da Riyadh). Anche queste operazioni sono destinate ad intensificarsi.
Bilancio delle recenti operazioni
Dabiq fa un bilancio delle recenti operazioni dello Stato Islamico nel mondo, particolarmente le operazioni in Bangladesh, in Yemen, in Egitto (soprattutto nella regione del Cairo), in Siria (contro il PKK, considerando tutti i Curdi come aderenti a questa organizzazione), in Iraq, in Indonesia (dove vengono ufficialmente rivendicati gli attentati di Giacarta), ecc. Per contro, nemmeno una parola sugli attentati in Turchia (a Suruç, ad Ankara e poi a Istanbul), che non sono stati mai oggetto delle minima rivendicazione da parte di Daesh. Sono state le autorità turche ad attribuirgliene la responsabilità.
Così diverse ipotesi, anche le più complottiste, sono state formulate per spiegare questo silenzio di Daesh. La più logica sembra essere che GSI non intende scontrarsi direttamente col governo turco, del quale ha bisogno per i suoi approvvigionamenti e per garantirsi una via di uscita eventuale in caso di sconfitta militare in Siria. Una diretta rivendicazione delle azioni terroriste sarebbe considerata come una vera dichiarazione di guerra dal presidente Erdogan (nella foto a sinistra), che si vedrebbe quindi costretto a modificare la sua politica di sicurezza, che considera attualmente i Curdi del PKK e del PYD siriano come i suoi nemici principali. La cosa conviene a Daesh, che è anch’essa in guerra contro queste due formazioni. Da notare anche che i terroristi hanno avuto cura di scegliere come bersagli gli oppositori al regime dell’AKP (partito della giustizia), al governo in Turchia, e dei turisti tedeschi, e ciò può essere stato un caso, oppure una decisione deliberata per punire Berlino della diretta partecipazione alla coalizione anti-Daesh.
Nell’ultima pagina, in un annuncio dal titolo “Un terrore giusto” (espressione già usata nel numero 12 di Dabiq) si vedono nove individui che avrebbero preso parte agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Vi si legge che i due kamikaze non identificati dello stadio di Francia sarebbero stati degli Iracheni con passaporto siriano. La legenda è: “che Parigi sia di monito per le nazioni che vogliano prenderne nota”. Stranamente gli attacchi di Parigi non sembrano rivestire un’importanza fondamentale agli occhi dei leader del GSI. D’altronde, nell’ultimo messaggio audio successivo al 13 novembre, Abou Bakr al-Baghdadi non li ha nemmeno menzionati.
Minacce sul Maghreb
In questo numero di Dabiq non si parla della situazione nel Maghreb, eppure Daesh sta pubblicando, da un po’ di tempo, diversi testi e video miranti a reclutarvi nuovi adepti, soprattutto tra i ranghi di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI). Il GSI non fa mistero di volere essere più presente in Africa, in generale, e nel Maghreb, in particolare.
Si riparla di Jund al Khilafah (I soldati del Califfato), un gruppuscolo di AQMI attivo nella zona a est di Algeri e che giurò fedeltà ad Abou Bakr Al-Baghdadi nel luglio 2014. Questo movimento si era tristemente fatto conoscere assassinando il francese Hervé Gourdel, nel settembre dello stesso anno. Questa katiba originaria della Cabila sarebbe stata peraltro annientata dall’esercito algerino nell’autunno 2014.
Daesh usa la Libia come base di partenza. Localmente, lancia offensive da Sirte, la “capitale” della sua wilaya, conquistando circa 250 chilometri di costa e avanzando verso sud. Ha di mira le istallazioni petrolifere ma, al momento, continua a non avere le capacità di sfruttarle. Per questo preferisce distruggerle, come ha fatto a Es Sider e a Ras Lanouf, a inizio gennaio. Fenomeno inquietante, il GSI è presente anche in altre località costiere, come Derna, dove è impegnata in scontri sanguinosi coi gruppi locali (6) che non hanno voluto giurargli fedeltà. La formazione di un governo di unione nazionale libico, sotto l’egida delle Nazioni Unite, se dovesse mai compiersi, consentirebbe allo stesso di chiedere ufficialmente l’aiuto internazionale contro Daesh.
Se Mosca e Pechino non opponessero il veto ad una risoluzione dell’ONU di autorizzazione all’uso della forza (7), il movimento terrorista dovrebbe allora attendersi gli attacchi aerei di una coalizione da formarsi per l’occasione. La presenza del GSI in prossimità delle coste europee potrebbe così ritorcerglisi contro, perché oramai è alla portata degli attacchi di bombardieri in partenza dall’Europa meridionale. In vista di ciò, Daesh tenta attualmente di guadagnare il massimo di territorio, per disperdere gli obiettivi potenziali e utilizzare la stessa tattica usata sul fronte siro-iracheno: confondersi con la popolazione civile.
La Nigeria costituisce il secondo punto di appoggio per Daesh. Boko Haram, per quanto fortemente provato, prosegue le sue operazioni terroriste nel paese, ma anche negli Stati vicini, in particolare nella regione del lago Ciad. La voce di una unificazione tra Boko Haram e la provincia (wilaya) libica sembra esagerata, anche se è vero che vi sarebbe stato qualche “scambio” di attivisti. In particolare una decina di combattenti di Boko Haram – tra cui qualche camerunense – si sarebbero uniti alla wilaya libica.
Il problema per il GSI è che il territorio tra i due paesi è zona sotto l’influenza di AQMI, più specificamente della katiba Al-Mourabitoune, anche chiamata Al Qaeda per l’Africa dell’ovest. Il suo leader, Mokhtar Belmokhtar (MBM) – che avrebbe aderito ad AQMI, dopo un periodo di dissapori durato più di due anni (8) – controlla il Sahel che conosce benissimo, dalla Mauritania alla Libia. Sarebbero da attribuirsi a lui gli attacchi di Ouagadougou (capitale del Burkina Faso, ndt) e di Bamako (capitale del Mali, ndt), Altri gruppi, come Ansar Dine o quel che resta del MUJAO, sono ancora attivi nella zona del Sahel. Sono proprio loro che, in qualsiasi momento, potrebbero cambiare casacca e arruolarsi nel GSI.
L'immagine di Mokhtar Belmokhtar
La Somalia, infine, costituisce un caso un po’ a parte. La leadership degli shabab resta ancora fedele ad Al Qaeda centrale, ma cominciano a crescere di numero le defezioni di alcuni loro elementi. La guerra di influenza tra i due movimenti salafiti-jihadisti del corno d’Africa rischia di intensificarsi considerevolmente nei prossimi mesi. Per il momento è Al Qaeda, attraverso gli shabab, ad avere il monopolio delle operazioni, moltiplicando le azioni in Somalia e nel vicino Kenya.
Conclusioni
Nel 2016 si registrerà verosimilmente un accrescersi delle difficoltà (relative) del GSI nella sua terra di origine siro-irachena, ciò che non esclude la possibilità di forti contrattacchi, col loro carico di massacri di massa, come è avvenuto a Deir ez-Zor a inizio gennaio. L’obiettivo di questi orrori è di dissuadere le popolazioni dal collaborare in qualsiasi modo col nemico. Le operazioni all’estero andranno intensificandosi, per nascondere l’inversione di tendenza in atto in Iraq e in Siria. I bersagli sono chiari: per primi, gli sciiti saranno attaccati su tutti i fronti. Oltre ai combattimenti classici che saranno impegnati contro le forze governative siriane, irachene, le milizie, Hezbollah, i pasdaran, si moltiplicheranno gli attentati contro questa comunità e i suoi luoghi di culto, soprattutto in Pakistan, in Bahrein e forse anche in Iran, la cui normalizzazione dei rapporti con l’Occidente costituisce per Daesh la “prova” della “collusione” sciiti/cristiani/ebrei. A questa si deve assolutamente reagire, punendo gli apostati iraniani!
In Arabia Saudita, proseguiranno le azioni terroriste con un duplice obiettivo: colpire la minoranza sciita e indebolire la famiglia reale. Daesh cercherà anche di accrescere la propria influenza nella zona AfPak, in Yemen, in Libia, in Egitto (dove ha allargato l’area delle azioni dal Sinai fino alla regione del Cairo) e in Estremo Oriente, soprattutto in Indonesia, dove la maggior parte degli attivisti della Jemaah Islamiya (JI) ha giurato fedeltà al califfo Ibrahim. Dovunque si troverà contro Al Qaeda “canale storico”, cui tenterà di sottrarre attivisti.
Infine si faranno azioni terroriste dovunque sarà possibile. Sembra che gli obiettivi principali siano il Caucaso, la Russia, l’Europa e l’Estremo Oriente. Infine Daesh incoraggerà tutti i suoi simpatizzanti presenti nel mondo o a unirsi a loro (9) o a passare all’azione dovunque si trovino. Nessun paese è al riparo.
Note:
[1] Come viene oramai designato dalle autorità e dalla stampa
[2] Che commemora il massacro dell’imam Hussein e di 72 seguaci da parte degli omayyadi a Kerbala (Iraq).
[3] Zarqawi, un ex ladruncolo giordano, non era certamente ferrato in fatto di religione. In seguito lo Stato Islamico si è assicurato il contributo di veri eruditi dell’islam, fautori di un salafismo-jihadismo duro e puro, consistente nel rispetto letterale dei testi originari e nel rifiuto di ogni successiva interpretazione. Ciò spiega il vero e proprio odio verso gli sciiti
[4] Sbalorditivo riferimento all'ONU da parte di Daesh, che non si lascia fermare da una contraddizione
[5] Daesh sostiene di avere avuto dei sospetti sulla morte del mullah Omar fin dal 2013, perché i suoi adepti non rispettavano più la sharia
[6] Tra i quali alcuni islamisti radicali “nazionalisti” che considerano quelli di Daesh come degli stranieri
[7] Non hanno ancora digerito l’utilizzazione abusiva della risoluzione 1973 da parte dei Francesi e dei Britannici, sostenuti dagli USA, per lanciare una operazione militare contro Gheddafi
[8] Nessuno sa cosa sia veramente diventato. E’ stato dato più volte per morto, tanto da meritarsi uno dei suoi soprannomi, “Mister Fantasma”
[9] Il GSI ha un bisogno disperato di accrescere il numero dei suoi effettivi, in quanto le zone che intende controllare sono troppo estese