Crisi Siriana
Siria: cosa si nasconde dietro l’offensiva su Manbij?
- Dettagli
- Categoria: crisi siriana
- Visite: 6220
Crisi siriana, giugno 2016 - Il 31 maggio le Forze Democratiche Siriane (FDS) hanno lanciato una vasta operazione con l’obiettivo di liberare la città di Manbij, situata ad una ventina di chilometri a sud di Jarabulus, sulla frontiera turca
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 5 giugno 2016 (trad. ossin)
Siria: cosa si nasconde dietro l’offensiva su Manbij?
Alain Rodier
Il 31 maggio le Forze Democratiche Siriane (FDS) hanno lanciato una vasta operazione con l’obiettivo di liberare la città di Manbij, situata ad una ventina di chilometri a sud di Jarabulus, sulla frontiera turca. Mentre da settimane i media annunciavano con gran clamore una offensiva su Raqqa, la « capitale » dello « Stato Islamico », le unità delle FDS si preparavano invece in gran segreto a riprendere l’avanzata verso est, attraversando l’Eufrate.
L'obiettivo di questa operazione è duplice :
- tentare di indebolire i collegamenti tra il gruppo Stato Islamico e la Turchia, soprattutto in direzione di Raqqa; addirittura, in prospettiva, isolare le forze di Daesh, che occupano 80 chilometri lungo la frontiera turca, dalle loro posizioni poste più a sud. In caso di successo, potrebbe risultare considerevolmente diminuito il flusso di volontari stranieri che transitano attraverso la Turchia, in quanto l’unica porta di entrata in Siria resterebbe la provincia di Hatay;
- proseguire l’allargamento del Rojava (il Kurdistan siriano) a partire dal cantone di Kobané, per riunirlo a quello di Efrin. L’obiettivo dei Curdi siriani resta lo stesso fin dall’inizio della ribellione del 2011: istituire una zona autonoma curda nel nord del paese. Gli altri attori regionali si dicono contrari a questa ipotesi che, però, diventa sempre più una realtà sul campo.
La sorprendente reazione di Ankara
Assai curiosamente Ankara, che aveva dichiarato alto e forte che l’attraversamento dell’Eufrate in direzione est da parte delle FDS sarebbe stato considerato un casus belli, reagisce al momento in modo moderato. Le autorità dichiarano di non essere in grado di intervenire nei combattimenti, giacché le postazioni di artiglieria turca operative sulla frontiera non possono raggiungere le regioni in questione, troppo lontane. L’argomento e del tutto falso giacché i numerosi cannoni di 155 mm - compresi alcuni semoventi Firtina[1] in dotazione all’esercito turco – possono colpire fino a distanze superiori ai 40 chilometri, in particolare con granate HE ER FB-BB. Potrebbero intervenire anche elicotteri armati e caccia bombardieri. D’altronde si sarebbero registrati attacchi turchi contro le posizioni di Daesh, poste a ovest dei luoghi interessati dall’offensiva delle FDS verso Manbij.
Il presidente Recep Tayyip Erdoğan si oppone fermamente alla creazione di una entità curda (il Rojava) autonoma lungo la sua frontiera di sud-est, anche se inserita in una entità federale siriana più ampia. In termini generali, egli considera le FDS come una coalizione nella quale i Curdi delle YPG (Unità di protezione del popolo) costituiscono la colonna vertebrale. Ebbene le YPG (e le YPJ che sono le unità femminili) sono vicine al movimento separatista PKK, il nemico numero 1 di Ankara, nella sua lista di priorità.
Ed è vero che le YPG costituiscono la maggioranza degli effettivi delle FDS, i cui capi militari sono tutti Curdi. Tuttavia sempre più milizie locali arabe, assire, armene, turkmene e anche circasse si uniscono alle FDS, che posseggono il fascino di qualsiasi unità in « odore di vittoria », soprattutto dopo la liberazione di Kobané nel 2015. Per questa ragione, dall’originario 90%, la percentuale di attivisti curdi presenti nella coalizione FDS sarebbe scesa al 60 o 70%.
Per quanto riguarda l’offensiva su Manbij, seguendo le raccomandazioni degli Statunitensi, « ufficialmente » sarebbero elementi arabi, turkmeni e circassi in azione in prima linea, mentre i Curdi si occuperebbero solo dei rifornimenti e della logistica. Le YPG non farebbero nemmeno parte del comitato militare che dirige l’operazione. Il comando è affidato a Adnan Abou Amjad, un combattente arabo distintosi nei campi di battaglia siriani da più di un anno. Sarebbe al comando di circa 3000 uomini, solo 500 dei quali sarebbero Curdi. Il consiglio civile che dovrà amministrare la città dopo la liberazione è presieduto anch’esso da un arabo, lo sceicco Farouk Al-Machi. Questo consiglio è stato creato nella città di Sarrine, conquistata dalle FDS nel 2015. Infine Ankara è stata informata dell’inizio delle operazioni in anticipo.
Il segretario statunitense alla difesa, Ashton Carter, ha dichiarato : « Sappiamo che è nella città di Manbij che si organizzano azioni terroriste contro i territori europeo, turco, tutti eccellenti alleati ed amici, nonché contro gli Stati Uniti ». Oltre a rabbonire Ankara, queste parole servono anche a giustificare l’impegno delle forze statunitensi in sostegno delle FDS dal momento che, oltre all’appoggio aereo, viene fornita anche assistenza militare sul campo, particolarmente da 250 elementi delle forze speciali.
Il presidente Erdogan resta comunque diffidente e afferma che i servizi di informazione turchi sorvegliano la situazione da vicino. Ma ciò che davvero spiega la sua relativa « moderazione » è forse il fatto che egli ha finalmente preso coscienza che anche Daesh è un « nemico primario » per la Turchia. I vari attentati che si sono registrati nel paese – seppure mai rivendicati da Daesh, sono comunque ad esso attribuiti – hanno molto pesato in questa nuova convinzione. Anche sul piano ideologico, i ripetuti attacchi degli ideologi di Daesh contro i Fratelli Mussulmani vengono considerati come una aggressione contro il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) che governa la Turchia dal 2002. Infatti l'AKP ha legami assai stretti con la confraternita islamista.
Se le FDS riusciranno a impadronirsi di Manbij, ciò potrà rappresentare una sconfitta tatticamente importante per la logistica dello Stato Islamico, perché questa città è un vero e proprio crocevia per l’organizzazione. La battaglia rischia però di essere dura giacché, dopo un primo momento di sorpresa, Daesh sembra essersi ripresa e mobilita la popolazione locale a difesa di quello che in loco viene chiamata la « sacca di Manbij ».
Questo non significa che Raqqa sia in pericolo, nonostante l’agitazione messa in campo dagli Stati Uniti: lanci di volantini che invitano la popolazione civile ad abbandonare la città, movimenti di truppe con concentrazione di veicoli – anche blindati – a nord e a est dell’agglomerato, dichiarazioni belliciste, ferme e ripetute ecc. Il 21 e 22 maggio, il generale statunitense Joseph Vogel, capo del CENTCOM[2], ha perfino reso visita alle FDS per affermare il sostegno degli Stati Uniti alla coalizione. Si è premunito di passare per Ankara onde rassicurare l’alleato turco circa la « limpidezza » delle intenzioni di Washington. Ma le FDS non hanno nessuna intenzione di lanciarsi in una costosa guerra di strada a Raqqa che, comunque, è una città a maggioranza di popolazione araba.
In linea generale, il gruppo Stato Islamico è meno indebolito di quanto pretenda la propaganda ufficiale. Questo movimento presenta una capacità di resilienza importante e, come a Falluja in Iraq, sembra determinato a difendere tenacemente le sue posizioni. Consapevole che la sua salvezza è nel movimento, lancia vigorosi contrattacchi, con l’appoggio di azioni suicide usate come armi di sfondamento. Riesce a mettere i suoi avversari in difficoltà militare, soprattutto a Deir ez-Zor. L’annunciata offensiva dell’esercito regolare siriano, per liberare la guarnigione accerchiata e poi per riprendere Raqqa, non sembra imminente. Il problema principale è che, con un numero di effettivi insufficiente a mantenere il controllo del territorio, qualsiasi avanzata rischia di trovarsi tagliata dalle retrovie da una manovra di Daesh o di altri gruppi terroristi, come il Fronte Al-Nosra.
Note:
[1] Tre di questi semoventi collocati sulla frontiera turco-siriana, a sud di Gaziantep, sarebbero stati distrutti da Daesh a fine aprile. Gli attivisti avrebbero usato un sistema di arma anticarro russo. Non sembra che i militari turchi fossero in stato di allarme, giacché il medesimo posto di tiro 9K115-2 Metis-M è stato utilizzato per distruggere tutti e tre i mezzi, uno dopo l’altro. Questa informazione non è mai stata confermata da Ankara.
[2] Comando che copre il Medio Oriente e l’Asia Centrale.