Crisi Siriana
Elogio di Hezbollah e dell'antimperialismo
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Crisi siriana, 28 dicembre 2017 - Israele voleva sradicare Hezbollah. E’ riuscita solo a massacrare dei civili. Sconfitto, il suo esercito ha ripassato la frontiera con la coda tra le gambe (nella foto, il presidente siriano Bachar el-Assad e il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah)
Palestine Solidarité, 25 dicembre 2017 (trad. ossin)
Elogio di Hezbollah e dell’antimperialismo
Bruno Guigue
“La guerra, diceva Clausewitz, pone fine col sangue ad una divergenza di interessi”. E’ un pregiudizio da sfatare quello che gli USA e i loro alleati abbiano tentato di abbattere la Siria perchè volevano impadronirsi dei suoi idrocarburi. Questo può forse valere per il Qatar, e spiegare il suo impegno al fianco degli insorti, ma gli idrocarburi siriani, da soli, non avrebbero potuto alimentare un conflitto di tale ampiezza. La rabbia distruttrice dei padrini di questa guerra sanguinosa non era neppure motivata dalla difesa dei “diritti umani”. Solo gli ingenui hanno potuto credere ad una simile fandonia, sebbene accreditata da un profluvio di propaganda senza precedenti.
La vera ragione di questa guerra per procura non è né economica né ideologica. Dispiegando mezzi colossali, l’imperialismo aveva un altro obiettivo, molto più ambizioso: intendeva scongiurare una minaccia strategica. Distruggendo la Siria, Washington sperava di liquidare l’unico Stato arabo rimasto ancora in piedi di fronte a Israele, uno Stato che appoggia senza riserve la Resistenza armata all’invasione sionista. Colpire a morte la Siria doveva servire a farla finita con Hezbollah, e il crollo dello Stato siriano a porre fine all’anomalia di un governo arabo, alleato del “regime dei mullah” e della Russia di Vladimir Putin.
La prova definitiva che questo fosse il disegno politico è stata fornita dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton con la email del 30 novembre 2015, rivelata da Wikileaks : “Il miglior modo di aiutare Israele a gestire la crescente capacità nucleare dell’Iran, scriveva, è aiutare il popolo siriano a rovesciare il regime di Bachar el-Assad”. Se fosse riuscito, questo tentativo di “regime change” ad opera del terrore miliziano avrebbe privato l’asse Teheran-Damasco-Beirut del suo anello centrale. Avrebbe lasciato Hezbollah orfano della Siria, respingendo l’Iran nel cortile di servizio di un Medio oriente riportato nell’orbita occidentale.
Purtroppo per Washington e i suoi fan, questa vasta operazione è fallita. Malgrado le migliaia di mercenari lobotomizzati dal wahhabismo, malgrado i miliardi di dollari spesi dalle monarchie del Golfo, l’impresa takfir si è schiantata contro il muro d’acciaio di un esercito nazionale sostenuto dagli alleati russi, libanesi, iracheni e iraniani. Anche se non ha eliminato la potenzialità nociva degli Stati Uniti, questa disfatta ha inflitto un colpo d’arresto alla politica del “caos costruttivo” voluta da Washington per provocare l’implosione del Medio Oriente e lo smembramento dei suoi Stati sovrani.
L’anno 2017 resterà negli annali come quello di una nuova sconfitta dell’imperialismo. Destinata a eliminare una parte essenziale della Resistenza araba, la guerra imposta alla Siria intendeva vendicare l’umiliazione subita da Israele nel luglio-agosto 2006. Mirava a cancellare l’incubo di una forza araba vittoriosa, che è stata capace di scacciare il potente esercito sionista da un paese che quest’ultimo considerava alla sua mercé. Raramente menzionato, questo significato del conflitto siriano è tuttavia essenziale. Lungi dall’essere separati, tutti i conflitti del Medio Oriente sono intimamente legati tra loro. La crisi regionale ha diverse dimensioni, ma è sempre la stessa crisi.
Cosa sarebbe diventato il Libano se le fazioni estremiste si fossero infiltrate nella parte est del paese? Hezbollah, insieme all’esercito libanese, le ha estirpate. Sopprimendo questi nidi di scorpione su entrambi i lati della frontiera, la Resistenza ha onorato il suo ruolo di protettore del Libano, e perfino quelli che criticavano il suo intervento in Siria sono stati costretti ad ammetterlo. Ossessione di Israele, Hezbollah ha pagato un prezzo di sangue, traendo però dal conflitto siriano una esperienza preziosa. L’imperialismo voleva abbatterlo privandolo del suo alleato. Fatica sprecata. Incubo dei sionisti, vincitore di Al Qaeda, protettore delle minoranze, Hezbollah è più forte e rispettato che mai.
Non è un caso se l’esercito israeliano ha moltiplicato le aggressioni in territorio siriano nel corso degli ultimi mesi. Parecchi responsabili sionisti lo hanno detto: la prossima guerra vedrà nuovamente contrapposti Israele ed Hezbollah, e sarà di rara violenza. Ma c’è ancora molta strada da fare e l’aggressore dovrebbe meditare sulle lezioni del precedente conflitto. Il 12 luglio 2006, prendendo a pretesto la cattura di due soldati israeliani alla frontiera libanese, una impressionante armada israeliana invase il Libano con l’obiettivo riconosciuto di “sradicare Hezbollah”. L’esito dell’operazione ha però riservato molte soprese ai suoi iniziatori.
Durante questa guerra di 33 giorni, vi era un enorme squilibrio di forze. Israele disponeva di una forza militare colossale, quasi mai battuta sui teatri operativi del Medio Oriente, e alimentata dai trasferimenti tecnologici del suo potente protettore USA. Fanteria meccanizzata, artiglieria pesante, blindati, aviazione, marina da guerra e droni da combattimento si abbatterono sul Libano. Di fronte a questo corpo di spedizione di 40 000 soldati e 450 blindati pesanti, si levò Hezbollah, un partito politico di minoranza in Libano che dispone di una milizia coraggiosa, ma sprovvista di mezzi pesanti.
Per costruire la narrazione della minaccia rappresentata da questa organizzazione detestata dalle Potenze occidentali, venne allora orchestrato un vero melodramma su qualche razzo lanciato verso Israele. Da un punto di vista psicologico il fatto profittava a entrambi i belligeranti: consentiva a Hezbollah di sfidare Israele e a Israele di inscenare la commedia dell’aggressore aggredito. Ma il melodramma mascherava soprattutto la sproporzione dei danni provocati nei due campi. Mentre un migliaio di Libanesi erano già periti sotto le bombe di “Tsahal”, i media puntavano i riflettori su una decina di civili uccisi dai razzi di Hezbollah.
Accecati dalla loro stessa potenza, i sionisti cominciarono allora a colpire ponti, fabbriche, porti, aeroporti, devastarono Beirut sud, dispiegando un apparato di distruzione senza precedenti contro il paese. Ma questo vantaggio aereo non era garanzia di vittoria. Hezbollah, da parte sua, disponeva di innegabili atout: il suo radicamento nella comunità sciita, la sua coesione interna e il valore dei suoi combattenti, l’appoggio di una larga maggioranza della popolazione libanese. Mobilitando i Libanesi al fianco di Hezbollah, la nuova invasione israeliana, inoltre, ne mise anche in evidenza l’utilità militare.
Ancora confusa alla vigilia del conflitto, l’idea che Hezbollah fosse un bastione contro Israele si impose poi con l’evidenza dei fatti materiali: se Hezbollah cede, il Libano non esiste più, diventa un altro bantustan (le zone in cui il Sudafrica dell’apartheid concentrava i neri, ndt) israeliano. Semplice pretesto, la duplice cattura del 12 luglio fornì ai dirigenti israeliani, infatti, l’occasione sognata di una nuova guerra di cui intendevano assicurarsi i dividendi. Messa in ginocchio la Resistenza, il Libano avrebbe potuto essere ridotto ad un semplice Stato cuscinetto, privo di una vera sovranità, di coesione nazionale e di forza militare.
Perché Israele non è disposto a tollerare alla sua frontiera nord null’altro che uno Stato fantoccio. Ne ha distrutto la flotta aerea civile nel 1968, ne ha invaso il territorio nel 1978 e ha lanciato un’offensiva militare devastante contro Beirut nel 1982. Invaso, occupato e bombardato per decenni, il Libano ha visto andarsene le truppe israeliane dal sud del paese solo nel 2000. Questa tardiva vittoria, il Libano la deve a Hezbollah, che ha tormentato l’occupante per venti anni, uccidendo 900 soldati israeliani e costringendoli ad un ritiro unilaterale. Il violento attacco israeliano del 12 luglio 2006 era, chiaramente, un regolamento di conti.
Facendo gli sbruffoni i leader israeliani promisero di infliggere una lezione magistrale alla Resistenza. Considerati indistruttibili dagli esperti, 52 blindati di “Tsahal” vennero però trasformati in colabrodo. 170 soldati furono uccisi, 800 feriti. Più di 1 500 Libanesi perirono sotto i bombardamenti sionisti, e Hezbollah riconosce la perdita di 200 combattenti. Coi loro lanciarazzi anticarro, i combattenti di Hezbollah costrinsero le forze sioniste a mollare la presa. Inconcepibile per gli ammiratori di Israele, una dura realtà si impone: il “più potente esercito del Medio oriente” ha ripiegato di fronte alla milizia di un partito politico libanese.
All’indomani del conflitto, Hezbollah era ancora in piedi e il suo potenziale militare ancora più minaccioso. Adornato da un’aureola di gloria per la sua resistenza all’invasore, ha goduto nel mondo arabo di un prestigio senza eguali che trascende la divisione artificialmente alimentata tra sunniti e sciiti. Volendo dare a questa guerra un carattere punitivo, Israele si è punita da se stessa. I suoi soldati si sono dimostrati incapaci di conquistare un pugno di villaggi di frontiera e la sua massima azione armata è stata una campagna di bombardamento aereo devastante. Israele voleva sradicare Hezbollah. E’ riuscita solo a massacrare dei civili. Sconfitto, il suo esercito ha ripassato la frontiera con la coda tra le gambe.
Il ricordo di questa vittoria araba riportata a 1 contro 10 non cessa di ossessionare i dirigenti israeliani e occidentali. E’ una delle ragioni essenziali del loro accanimento contro la Siria, e l’aggressione contro Damasco del 2011, in fondo, ea già in nuce nella sconfitta di Israele del 2006. Ma gli avvenimenti non hanno seguito il corso sperato dai loro brillanti strateghi. Con la rotta della fanteria wahhabita in Siria, il piano ha deragliato e il fallimento ha alimentato il fallimento. Nel 2006, Israele ha subito una disfatta di fronte ad un Hezbollah appoggiato dalla Siria. Nel 2017, l’imperialismo ha perso la partita di fronte ad una Siria appoggiata (tra gli altri) da Hezbollah. I tentativi disperati di rompere questa alleanza si sono infranti come il vetro contro la Resistenza dei popoli fratelli, siriano e libanese.