Giorgio Napolitano: cinquant'anni dalla parte del più forte - parte 1°
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Giorgio Napolitano: cinquanta anni dalla parte del più forte (parte 1°)
Azzazello
Fascista da studente, iscritto al Guf. Quando nel 1944 il vento prese a spirare dall'altra parte, cominiciò a frequentare i circoli studenteschi napoletani e, l'anno successivo, si iscrisse al PCI.
Nel 1956, mentre tanti suoi compagni osservavano attoniti lo scioccante spettacolo dell’Armata Rossa che interveniva in Ungheria per reprimere una rivolta popolare, il giovane Giorgio Napolitano non mostrava particolare emozione e definiva quella rivolta “un focolaio di provocazione”. Con la stessa sicurezza che abbiamo imparato a conoscere nel corso del tempo e l’ arroganza di chi sta dalla parte del più forte. Allora per lui il più forte era l’Unione Sovietica, e non aveva dunque problemi a dichiarare: “l'intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d'Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare l’ aggressione imperialista nel Medio Oriente (ha) contribuito in misura decisiva, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo”.
Quando l’Unione Sovietica intervenne in Cecoslovacchia nel 1968, il nostro non si espose, anche perché questa nuova invasione era stata criticata perfino dal segretario Berlinguer, seppure con prudenza. Giorgio Napolitano si trovava però tra i componenti del Comitato Centrale dei PCI che votarono, nel 1969, per la radiazione del gruppo de Il Manifesto (Rossana Rossanda, Luigi Pintor e Aldo Natoli), colpevoli di avere fondato una rivista di opposizione, Il Manifesto appunto, che aveva intitolato un editoriale: “Praga è sola” e criticava fortemente l’Unione Sovietica. Stando a quanto ricorda Massimo Caprara (ex segretario di Togliatti e esponente del gruppo dissidente), la ragione di questa radiazione sarebbe stata tutta di ordine economico. Giorgio Amendola, maestro e gran protettore di Napolitano, gli avrebbe infatti confidato: "Voi del Manifesto ci costate almeno due miliardi di dollari l'anno. Se vi teniamo nel partito, questa è la somma che non ci arriverà più dall'Urss".
La storia ha dimostrato che aveva ragione, come sempre, Giorgio Napolitano: l’URSS alla fine è implosa, è vero, ma Lucio Magri, uno dei leader del gruppo de Il Manifesto, si è suicidato l’anno scorso riconoscendo di essere uno sconfitto, mentre re Giorgio è stato plebiscitato per un secondo mandato presidenziale.
Col tempo l’Urss cominciò a dare segni di cedimento, fino alla dissoluzione completa del 1989. Difenderla non equivaleva più a stare dalla parte del più forte. La storia viaggiava veloce verso il trionfo dell’unica superpotenza mondiale, gli Stati Uniti, e il suo piccolo-grande alleato Israele…
Così il nostro divenne il primo esponente del Pci ad andare negli Stati Uniti. Kissinger lo definì il suo comunista preferito, storico fu il suo viaggio in Israele per dare maggiore attenzione alle istanze della comunità ebraica.
Arriviamo così al 2007, quando – già presidente della Repubblica italiana - l’on. Giorgio Napolitano regalò agli amici israeliani un monito contro l’antisionismo, considerato come una forma di antisemitismo: “Col vostro appassionato contributo possiamo combattere con successo ogni indizio di razzismo, di violenza e di sopraffazione contro i diversi, e innanzitutto ogni rigurgito di antisemitismo. Anche quando esso si travesta da antisionismo: perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza, oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele.” (Dal discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 25 gennaio 2007 in occasione del "Giorno della memoria”).
Il sionismo è una forma di razzismo, così recitava la risoluzione 3379 approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 10 novembre 1975 (poi revocata dalla stessa Assemblea Generale con la risoluzione 46/41 del 16 dicembre 1991, quando la capacità di influenza degli USA era massima). E che razzismo sia davvero lo dimostra la politica di apartheid del governo sionista israeliano nei confronti dei Palestinesi. Ma tutto questo non può turbare la tranquilla sicurezza del presidente Napolitano che, da laureato in giurisprudenza, de minimis non curat (“minimis” essendo la vita e il futuro di milioni di Palestinesi, che non sono certo “il più forte”).
E poi nel 2011, fu Giorgio Napolitano a insistere perché l’Italia, forzando il tenore della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza che disponeva una “no fly zone” in Libia – una risoluzione già di per sé illegale, in quanto costituiva una ingerenza nel conflitto interno al paese africano – intervenisse coi propri Tornado a bombardare la Libia, contribuendo significativamente al risultato orrendo che abbiamo davanti agli occhi: un governo di bande islamiste, la distruzione del paese, migliaia di morti, milioni di rifugiati.
Infine, qualche giorno prima della scadenza del suo mandato, nel 2013, il presidente Napolitano ha “concesso la grazia al colonnello Joseph L. Romano III, in relazione alla condanna alla pena della reclusione e alle pene accessorie inflitte con sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 dicembre 2010, divenuta irrevocabile il 19 settembre 2012” (comunicato del Quirinale).
La vicenda è quella del rapimento in territorio italiano, da parte delle forze speciali statunitensi, del religioso egiziano, Hassan Mustafa Osama Nasr, conosciuto con l’appellativo di Abu Omar, il 17 febbraio 2003. Una delle tante “extraordinary renditions” avviate dall’amministrazione Bush dopo l’11 settembre. Una pratica che, insieme a Guantanamo, alla guerra sporca contro l’Iraq, le torture di Abu Ghraib e a molti altri orrori, hanno segnato quegli anni drammatici, suscitando la riprovazione e il disgusto di tutto il mondo.
Di quasi tutto il mondo… non forse del presidente Napolitano, per il quale gli atti criminali delle amministrazioni USA hanno magari “contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss (opss, degli USA), ma a salvare la pace nel mondo”.
Il cerchio si chiude: cambia il volto, cambia lo stile e la lingua del più forte, ma l’imperturbabile e autorevole Giorgio Napolitano è sempre pronto a comprenderne e sostenerne le ragioni.