Afrique Asie, ottobre 2012 (trad.ossin)



Egitto. La marea umana che ha spazzato via meno di due anni fa il regime di Mubarak è stata tradita dalle maldestre manovre del Consiglio militare, che hanno consegnato il paese al potere tentacolare dei Fratelli Mussulmani

Bilancio provvisorio di un imbroglio
Amadeo Piegatore


L’ampiezza della rivolta cominciata il 25 gennaio 2011 in piazza Al-Tahrir ha sorpreso più d’uno, a cominciare dai suoi protagonisti. Il dissenso verso il regime di Mubarak, da molto tempo compresso in molte frange della popolazione, esasperate dalle difficoltà del quotidiano, inquiete per la mancanza di prospettive e indignate dagli eccessi di autoritarismo, ne è stato il motore principale. E’ riuscito a unire gli Egiziani come non lo erano mai stati dopo la rivoluzione del 1919 contro gli Inglesi.

Certamente vi erano state delle avvisaglie, come gli scioperi di Mahalla el-Kobrannel 2006 e 2007 e le grandi proteste provocate dall’uccisione da parte della polizia del blogger Khaled Said ad Alessandria, nell’estate del 2010. Tuttavia, al di là delle occasioni particolari, queste manifestazioni hanno mostrato l’emergere di un’ampia classe media, non visibile fino a quel momento, desiderosa di modernizzazione e insofferente sia verso l’autoritarismo del Potere che verso le rigidità arcaiche del suo contrappeso, l’integralismo.


Un presidente fantoccio
Le tumultuose vicende che sono succedute all’avvio del sollevamento hanno rivelato una competizione a tre per il potere. Che vede opporsi queste classi emergenti, la casta militare e le correnti integraliste. La mancanza di una struttura capace di unificare i protestatari intorno ad un progetto condiviso ha reso difficile l’affermazione dei primi, ad onta della loro incontestabile rappresentatività. E’ stato solo quando ha saputo sfruttare le rivalità tra militari e religiosi che la piazza al-Tahrir si è fatta sentire e, in certi momenti, avrebbe potuto imporsi. Nello stato degli attuali rapporti di forza, la sua voce ha potuto farsi sentire solo quando una rivalità aperta ha opposto i suoi due concorrenti.

Per contro, tanto i militari che i religiosi, sono stati capaci di strumentalizzare la rivolta di questo terzo stato a loro vantaggio. L’esercito, in conflitto con la crescente influenza acquisita dal clan di civili formatosi attorno a Mubarak e ai suoi figli, ha approfittato della rivolta contro il suo regime (che minacciava anche i suoi privilegi) per liberarsene senza compromettersi troppo. Quanto agli islamisti e soprattutto ai Fratelli mussulmani, avendo trovato chi poteva levare loro le castagne dal fuoco senza che per essi vi fosse il rischio di bruciarsi, hanno lasciato che le forze civili prendessero l’iniziativa, operando discretamente intanto per organizzare l’infrastruttura della rivolta.

La fragilità di questi chabab al-thawra (giovani della rivoluzione) è apparsa evidente durante il secondo turno dell’elezione presidenziale. La difficoltà di prendere posizione tra religiosi e militari ha provocato loro molti danni. Ed è la ragione del loro attuale oscuramento. La battaglia elettorale ha debordato dal loro campo di azione, soprattutto per l’intervento di forze straniere.

Una opinione molto diffusa e documentata, tanto negli ambienti informati che tra i diplomatici stranieri in Egitto, è effettivamente sorprendente. Si dice che il vero vincitore dell’elezione presidenziale del giugno scorso sarebbe stato Ahmad Chafik. Un intervento USA sul Consiglio militare avrebbe imposto in extremis Mohammed Morsi come presidente. A sostegno di questa tesi qualche fatto certo (vedi più sotto: “Il gioco delle tre carte”).

Poi, la speranza dei modernisti di diventare gli arbitri della situazione post-elettorale, mettendo insieme tutti i sostenitori di uno Stato civile (al-dawla al-madaniyya), è svanita con il ridimensionamento del Consiglio Superiore delle Forze Armate (CSFA). Disponendo dell’esercito e con i Tribunali ai suoi ordini, il CSFA sembrava protetto dalla muraglia di decreti che aveva promulgato alla vigilia delle elezioni. Nonostante l’elezione di Mohammed Morsi. Il CSFA pensava di poter mantenere il potere reale, con un presidente fantoccio che sarebbe stato possibile manovrare. E che si sarebbe bruciato, perché sarebbe apparso lui in prima fila.


Matrimonio forzato
Per raggiungere questo risultato, l’esercito ha avviato una violenta campagna di denigrazione, contro Morsi  e la sua confraternita, tanto nei media che attraverso la diffusione di voci insidiose e persistenti. Prima ancora che varasse il suo primo governo, già gli veniva addossata la colpa di tutti i mali. In pieno ramadan, interruzioni di elettricità di diverse ore mettevano a dura prova i nervi di chi era a digiuno, alcuni quartieri  subivano interruzioni nell’erogazione dell’acqua durante le lunghe e calde giornate estive, l’insicurezza e i disordini (furto di centinaia di chilometri di cavi di alta tensione, violenze contro le forze armate in Sinai, interruzione di alcune vie di comunicazione) invitavano a rimpiangere il vecchio ordine. Molti di questi fatti, deliberatamente provocati o amplificati dai sostenitori del vecchio regime, avevano l’obiettivo di restaurarlo, praticando in un primo momento la politica del tanto peggio.

Paradossalmente queste manovre si sono ritorte contro chi le ha ideate (vedi più sotto “Il castello di carte crollato”). Di conseguenza il ruolo di arbitro che gli oppositori volevano giocare nei confronti del binomio militari-integralisti è svanito con l’espulsione (forse temporanea) dell’esercito dalla scena politica. Non si può infatti tenere una bilancia in equilibrio se uno dei due piatti è vuoto. Ancor più se i pesi scivolano da uno dei piatti verso l’altro… stando a quanto afferma la stampa del Cairo.

Nel numero del 31 agosto 2012, il settimanale Al-Youm al-sabi ha pubblicato quasi una cinquantina di foto di un matrimonio, festeggiato in un prestigioso albergo di proprietà dell’esercito egiziano. Si tratta del matrimonio tra il figlio del generale Mamdouh Chahine, eminente membro del CSFA, e la nipote di Saad Katatni, Fratello mussulmano e presidente dell’ultima Camera dei deputati, e vi era una platea di invitati del Cairo davvero singolare. A cominciare dall’ex capo di stato maggiore Samy Anan, seduto affianco a Katatni, da Ali Gomaa, mufti di Al Azhar, fino ad alcuni sceicchi salafisti e ai loro rivali sufiti, a qualche uomo d’affari più o meno equivoco, a qualche politico liberale fianco a fianco di noti integralisti, ad alcuni parlamentari disoccupati, ad ex ministri e, per completare il quadro, a due o tre artisti. 

Quelli che ancora ieri minacciavano di sbudellarsi, e forse lo faranno domani, stavano tutti insieme in una apparente armonia. Paul Valery non scriveva forse:
“La guerra è fatta per gente che non si conosce e si uccide per conto di gente che si conosce e non si uccide”?





Il gioco elle tre carte

Durante le elezioni legislative da dicembre 2011 a febbraio 2012, i Fratelli mussulmani avevano rastrellato più del 44% dei seggi. Non hanno raccolto più del 24,3% dei voti al primo turno delle presidenziali di maggio. La causa va ricercata nella pessima impressione suscitata nell’opinione pubblica dalla loro attività nel nuovo Parlamento. Dall’altro lato, l’esigenza di un ritorno all’ordine incarnato da Chafik (23,3%) o il bisogno di cambiamento espresso da Hamdine Sabbahi (20,4%) manifestavano la presenza di una massa di oppositori all’avventura integralista. Però, prima ancora che cominciassero i conteggi del secondo turno, e poi durante lo spoglio, i canali ufficiali dei Fratelli mussulmani hanno subito proclamato urbi et orbi la vittoria del loro candidato.

Mentre ancora non si disponeva dei risultati, il martellamento della Confraternita imponeva all’opinione pubblica internazionale l’immagine di una vittoria certa di Morsi. Il tono dei Fratelli diventava sempre più minaccioso in sintonia coi ricorsi legali proposti dai due partiti. Prima in un sussurro, poi ufficialmente, diversi loro portavoce hanno cominciato a tuonare, mettendo in guardia contro uno “scontro tra l’esercito e il popolo”, nel caso in cui Chafik fosse stato dichiarato vincitore. Anche quest’ultimo di diceva certo della sua vittoria. Continua ancora adesso a ripeterlo. In questo clima, i servizi di polizia hanno sequestrato molte armi, anche molto potenti (ivi compreso dei missili antiaereo) nelle mani di gruppuscoli non identificati. Di modo che, alla vigilia della proclamazione dei risultati, la tensione era giunta al colmo. Quella stessa sera, la guardia presidenziale si è schierata intorno al domicilio del presunto futuro presidente, Ahmed Chafik. Il capo di stato maggiore, Sami Anan, gli ha telefonato in piena notte per felicitarsi.

Il giorno dopo, il lungo discorso del presidente della Commissione elettorale ha sorpreso. Affermando di essere indifferente alla forte pressione della piazza, è sembrato dare ragione ai due più importanti motivi di ricorso presentati da Chafik. Da un lato le false schede elettorali che erano state consegnate dalla Stamperia Nazionale (Al-Amiriyya) ai partigiani dei Fratelli; dall’altro i molti elettori, soprattutto copti, cui era stato vietato l’accesso ai seggi nell’Alto Egitto. Verso la fine del discorso però, rigirando il suo ragionamento, il magistrato ha calcolato il numero delle schede false in… 2000. Ha sostenuto che le persone cui era stato vietato l’accesso ai seggi al secondo turno non avevano votato al primo, cosicché non erano stati privati del loro diritto. Dopo qualche altro chiarimento di dettaglio, ha proclamato Morsi vincitore. Tre ore più tardi, la guardia presidenziale, allontanatasi dal domicilio di Chafik, si disponeva intorno a quello di Morsi.

Però alcuni alti dirigenti della Stamperia nazionale erano stati incriminati. In cambio di 20 milioni di lire (circa 3 milioni di euro) pagati da Khayrat el-Chater (uno dei grandi finanziatori dei Fratelli), tra due e otto milioni di schede in bianco erano stati effettivamente forniti alla Confraternita. In Egitto si vota sbarrando una scheda prestampata che viene consegnata nel seggio . Quanto agli elettori cui era stato impedito di votare al secondo turno, ne erano già stati impediti al primo turno.

Informazioni convergenti confermano che il ribaltamento dei risultati ufficiali in senso contrario a quello reale si sarebbe realizzato dopo un negoziato imposto dagli USA al Consiglio militare con eminenti rappresentanti dei Fratelli. In particolare Khayrat el-Chater (aggiunto della guida suprema e uomo forte della Confraternita) e Saad el-Katani (presidente della Camera sciolta dal potere militare) avrebbero trattato con la supervisione e la garanzia degli USA. Le trattative si sarebbero svolte sotto la minaccia di una sollevazione armata dei Fratelli mussulmani. La paura di una insurrezione alla siriana, insieme al ricatto esercitato sui membri del Consiglio superiore delle forze armate (CSFA), coinvolti in numerosi episodi di tangenti legate all’acquisto di armi dagli Stati Uniti, avrebbero indotto il CSFA a cedere. Di qui il discorso paradossale del presidente della Commissione elettorale il cui testo, modificato in fretta e furia, ha annunciato il contrario di quanto emergeva dalle cifre che leggeva.






Il castello di carte crollato

Un primo tentativo di ricostituire il Parlamento islamista con un colpo di forza giuridico, l’8 luglio, è fallito nei meandri del diritto costituzionale. La seconda volta, con l’intervento del ministro della Difesa degli Stati Uniti, Leon Panetta, al Cairo il 31 luglio, la strategia del “divide et impera” ha provocato il crollo del Consiglio superiore della forze armate (CSFA). Come antipasto, tre dei più importanti comandanti di regioni militari (Il Cairo, Ismailia e Alessandria) avevano passato la mano a comandanti più giovani (il 12, 16 e 17 luglio). Il molto opportuno decesso negli Stati Uniti, il 19 luglio, di Omar Suleiman, ha aperto una prima breccia nell’edificio. A lungo potentissimo capo della intelligence, Suleiman aveva dossier su tutto ciò che succede in Egitto, soprattutto contro i Fratelli Mussulmani.


Revoche e promozioni
Il 5 agosto un attacco attribuito agli islamisti uccideva sedici guardie di frontiere nel nord dei Sinai. Il CSFA ha tentato di utilizzare questo fatto per ravvivare il sentimento patriottico in suo favore. Invano. Il presidente Morsi ne ha approfittato e, il 9 agosto, ha dimissionato i diretti responsabili di questo fallimento, tra cui Mourad Mouafi, successore ed ex braccio destro di Suleiman, il governatore del Nord-Sinai e, trovandosi, anche il comandante della guardia presidenziale. Morsi ha anche chiesto la sostituzione del capo della potente polizia militare. Infine, il 12 agosto, con un vero e proprio colpo di mano, venivano collocati a riposo il maresciallo Hussein Tantaoui, capo del CSFA e comandante in capo dell’esercito, e Sami Anan, capo di stato maggiore. Nello stesso tempo, il giudice Mahmoud Mekki, probabilmente segretamente affiliato ai Fratelli mussulmani e membro del loro potente tanzim al-sirri (apparato clandestino), veniva nominato vice-presidente della Repubblica. Inoltre Mohamed Morsi decideva di “annullare la dichiarazione costituzionale adottata il 17 giugno” dal CSFA, con la quale quest’ultimo si attribuiva il potere legislativo e riduceva il potere del presidente. A credere al quotidiano Al-Chorouk, il capo dello Stato si sarebbe appropriato di “prerogative maggiori di quelle di Mubarak”.

In dettaglio, la giocato  la carta delle ambizioni e delle rivalità interne promuovendo alcuni membri del CSFA, che la normale rotazione non avrebbe premiato così rapidamente, ai posti di responsabilità lasciati vacanti dai dimissionati. Così è stato con il capo della intelligence militare , Abdel Fattah al-Sissi, diventato comandante in capo, e col generale Sedki Sobbi, comandante della regione di Suez, promosso capo di stato maggiore. Altri hanno lasciato le loro poltrone per acquisire posizioni più invidiabili, come il capo della marina, il vice-ammiraglio Mohab Mamish, promosso alla direzione del canale di Suez. Il nuovo vice-ministro della difesa, il generale Mohamed al-Assar, del quale Mubarak aveva già prolungato la carriera quando doveva andare in pensione nel 2001, è riuscito a restare ancora in sella e ad essere addirittura promosso. Al contrario, i comandanti della difesa antiaerea e dell’aeronautica sembrano essere stati posti a riposo senza altra forma di procedura. Forse erano troppo vicini a Ahmad Chafik. Di fronte a questa invasione di campo, Tantaoui ha in un primo momento ricusato la sua destituzione, secondo la televisione egiziana. Poi, insieme a più recalcitranti, ha riconosciuto la nuova situazione ed accettato i falsi onri tributatigli da Morsi.

Cosa dire del nuovo comando? Il 25 giugno, il giorno dell’elezione di Morsi, Toufik Okacha, del canale televisivo Al Far’in, accusava Sissi di essere un uomo della Confraternita in seno al CSFA. Sedki Sobhi scriveva, durante uno stage negli Stati Uniti nel 2005: “La religione mussulmana è profondamente legata, a vari livelli, al funzionamento della maggior parte dei governi arabi e delle rispettive società”. Quanto ad Assar, a lungo supervisore dell’acquisto di armi, sarebbe l’esponente del nuovo gruppo di comando più  legato agli USA.       

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