Dell'amarezza e di molte altre questioni
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Dell’amarezza e di molte altre questioni
Incidenti confessionali - Dopo il dramma del 6 gennaio, quando 8 persone, tra cui 7 copti, sono stati uccisi a colpi di fucile, la calma è tornata nella cittadina di Nag Hamadi. Ma resta palpabile un profondo malessere.
Nag Hamadi, a 700 km a sud del Cairo. Una calma prudente avviluppa questa città dell’Alto Egitto. Sui visi stanchi degli abitanti si legge solo l’amarezza. Qualche giorno dopo il dramma del 6 gennaio, quando 8 persone, tra cui 7 copti, sono stati uccisi dai colpi di un aggressore sconosciuto, la città si lecca le ferite. Quel giorno di vigilia del Natale copto, diverse decine di cittadini di questa confessione si erano raggruppati in chiesa per celebrare l’avvenimento. Erano circa le 23.30, quando all’improvviso una raffica di fucile automatico ha riecheggiato e squarciato la calma notturna. I colpi provenivano da un’auto Fiat 131. Le tre persone che si trovavano a bordo si sono subito date alla fuga. Davanti alla chiesa si è svolto il dramma: 8 corpi giaccevano inerti al suolo: 7 copti ed una agente della sicurezza mussulmano. Il seguito è stato raccontato da tutti i media. Nonostante la messa in opera di un imponente dispositivo di sicurezza, sono scoppiati degli scontri tra le due comunità, mussulmana e cristiana, a Nag Hamadi e nei vicini villaggi di Bahgoura e di Exbet Tarka, durante i quali delle abitazioni e dei magazzini copti e mussulmani sono stati incendiati. Gli incidenti confessionali di Nag Hamadi sono stati tra i più violenti che si siano visti negli ultimi anni. Se è grande la costernazione, sono tante le domande. Chi sono stati gli aggressori e, soprattutto, per quali ragioni?
Domenica 10 gennaio. Malgrado il ritorno alla calma, la maggior parte dei negozi di Nag Hamadi sono chiusi. Sembra che tutta la città sia a lutto. Davanti alla chiesa dove si sono svolti i fatti, il silenzio è d’obbligo. Il solo segno di vita è la presenza di un’auto della Sicurezza davanti all’edificio, All’interno Amba Kyrillos, vescovo della chiesa, parla con amarezza. “Non riusciamo a capire – dice il vescovo - perché ci è toccata questa sorte. Non riusciamo a capire le ragioni di questo odio. Oggi c’è una discriminazione nella nostra società e non solo in ambito religioso”. Dopo l’incidente la polizia ha annunciato il fermo di 3 sospetti, tra i quali dovrebbe esservi l’assalitore, uno scagnozzo che si chiama Mohamad Al-Kammouni. Tuttavia non si è riusciti ancora a stabilire con chiarezza le ragioni del crimine. Circolano i si dice. Al-Kammouni sarebbe stato pagato per commettere questo atto per vendicare lo stupro di una ragazzina mussulmana di 12 anni commesso da un cristiano del vicino villaggio di Farchout. L’uomo in questione è stato poi arrestato e posto in stato di detenzione.
Il vescovo Kyrillos afferma di avere avvisato le autorità del rischio di atti violenti contro la comunità. “Io ascolto le voci della strada, la gente viene a trovarmi, le voci mi giungono rapidamente” dice. Anche lui sospetta che il capo del commando abbia agito per conto di mandanti. “Kammouni non è un uomo religioso, è uno che agisce a pagamento”, aggiunge il vescovo. E spiega che aveva, per precauzione, deciso di abbreviare la messa di Natale e chiesto ai suoi preti di non assistervi, perché alcuni fedeli avevano “ricevuto delle minacce telefoniche”.
Cambiamenti di mentalità
Gesto commissionato? Ma da chi? Nessuno al momento lo sa. Quello che è certo è che i fatti del 6 gennaio hanno accresciuto le tensioni tra comunità copta e mussulmana. Eppure da secoli le due comunità vivono da buoni vicini nella città di Nag Hamadi conosciuta per le sue vaste piantagioni di canna da zucchero e le sue fabbriche di zucchero. “Copti e mussulmani lavorano nelle stesse piantagioni ed hanno interessi identici”, spiega Sameh Barsoum, che lavora nel Governatorato di Qéna. Ma, come in altre regioni dell’Egitto, negli ultimi anni si sono sviluppate delle tensioni tra i membri delle due comunità. Un’atmosfera che alcuni attribuiscono ai cambiamenti di mentalità e al fallimento delle politiche statali relative al “malessere confessionale”. “Lo Stato non fa niente per risolvere i problemi di fondo. Quando scoppia un litigio tra mussulmani e copti, le Autorità cercano solo di calmare le acque e talvolta si esercitano delle pressioni sui copti per giungere ad una soluzione amichevole”, precisa Romani Ryad, un copto. E’ la famosa soluzione securitaria adottata dallo Stato. Ma curare la febbre non significa curare la malattia. “Lo Stato deve agire rapidamente se desidera farla finita coi problemi confessionali. Occorre risolvere i problemi di fondo. Alcuni progetti di legge dormono da anni, come quello della costruzione di luoghi di culto” spiega Hafez Abou-Seada, segretario generale dell’Organizzazione Egiziana dei Diritti dell’Uomo (OEDH). Aggiunge che la situazione attuale favorisce l’integralismo e la contrapposizione verso l’altro: “Noi abbiamo dei canali satellitari che attaccano l’islam ed altri che attaccano i cristiani. Abbiamo dei libri come quello di Mohamad Emara che ha offeso i sentimenti dei cristiani e, allo stesso modo, abbiamo libri che insultano l’islam. In una tale atmosfera, il minimo incidente può degenerare”, pensa Abou-Seada.
Prendendo coscienza del problema, alcuni intellettuali hanno invitato lo Stato a prendere provvedimenti. Al Cairo quasi seicento artisti, insegnanti, responsabili di ONG e studenti hanno manifestato questa settimana davanti la Procura generale nel centro della città, per protestare contro le violenze confessionali. Molti avevano dei cartelli che denunciavano “il silenzio scioccante delle Autorità”. D’altra parte un gruppo di copti, mussulmani e di esponenti del movimento di opposizione Kefaya hanno depositato alla Procura generale una denuncia contro i servizi di sicurezza, accusandoli di non essere stati capaci di proteggere i luoghi di culto. Nel corso di un’intervista rilasciata a Al-Aharam Hebdo, il governatore di Qéna, il generale Magdi Ayoub si difende: “Non ci sono state falle nel sistema di sicurezza. La chiesa era ben protetta e gli assalitori hanno sparato da lontano!” Comunque il governatore ha annunciato un rafforzamento delle misure di sicurezza a protezione dei luoghi di culto.
May Atta
Hamdi Abdel Karim, vice ministro degli Interni
“Le forze di sicurezza hanno fatto il loro dovere”
Al-Ahram Hebdo: Che cosa è successo esattamente il 6 gennaio? Come è stata possibile una simile aggressione? E’ stato veramente una vendetta per lo stupro di una ragazzina mussulmana da parte di un cristiano, un mese fa, in un villaggio vicino a Nag Hamadi?
Hamdi Abdel-Karim: Prima di tutto occorre dire che si è trattato di un crimine orribile contro tutti gli Egiziani e non solo contro i cristiani, perché noi siamo tutti Egiziani. Per ciò che concerne le circostanze nelle quali l’aggressione è stata posta in essere, per il momento, non se ne conoscono i veri moventi e bisognerà aspettare che sia terminata l’inchiesta condotta dalla Procura. Possiamo solo dire che non si è trattato di un atto terrorista. Questa ipotesi è assolutamente da scartare, perché nessuno degli accusati fa parte di gruppi integralisti o islamisti. Sappiamo tuttavia che gli aggressori hanno dei precedenti penali. Per contro non scartiamo l’idea di un atto commissionato. Bisogna dire che le modalità dell’aggressione: una persona armata di un fucile automatico che spara sui pedoni, non è abituale. L’atto può essere stato dettato da una vendetta, come lei ha sottolineato, perché questa cultura domina nell’Alto Egitto, a prescindere dai motivi religiosi.
- Alcuni accusano la polizia di non aver fatto bene il suo lavoro, esponendo i copti al pericolo. Come è potuto succedere che un atto così manifesto sia potuto avvenire senza reazioni da parte delle forze di sicurezza? La chiesa non doveva essere protetta?
- Prima di tutto occorre segnalare un punto importante. I colpi sono stati sparati sulla chiesa da una distanza di almeno 100 metri, vale a dire che l’aggressione non è stata posta in essere davanti alla chiesa come alcuni media hanno riferito. Vi è stata una reazione da parte della polizia e gli aggressori sono stati inseguiti. Io credo che se non vi fosse stata questa reazione, vi sarebbe stato un maggior numero di morti e di feriti. La presenza delle forze di polizia nei dintorni ha consentito che gli assalitori fossero inseguiti e non potessero rifugiarsi nelle montagne. Ricordo che la polizia ha arrestato i colpevoli nelle 24 ore successive all’aggressione.
- Ma alcuni dirigenti cristiani hanno dichiarato di avere avvertito la polizia delle lettere di minaccia che avevano ricevute, ma che nessuna misura di sicurezza è stata adottata. Cosa ne pensa?
- Non è vero. Noi non abbiamo ricevuto alcuna segnalazione di sorta. E’ normale che durante le feste siano rafforzate le misure di sicurezza. Ed è ciò che abbiamo fatto. La prova è che siamo stati in grado di arrestare i tre accusati in 24 ore.