Canto e Rivoluzione
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Il Manifesto, 28 settembre 2012
Canto e Rivoluzione
Dimitri Papanikas (*)
In quell'estate del 1967 il mondo sembrava implodere su se stesso. I cieli del Vietnam si tingevano di nero, le sue strade, le campagne e villaggi del sangue di milioni di vite falciate dai bombardamenti di una nuova sciagurata guerra, al sapore ustionante del napalm. Mentre la periferia dell'Impero cercava la sua difficile via alla decolonizzazione, le strade delle capitali dell'Occidente si popolavano di migliaia di studenti e lavoratori, sindacalisti e operai, disoccupati, artisti e intellettuali non più disposti ad accettare di buon grado l'ordine imposto dai propri padri. Poche settimane dopo in terra boliviana se ne andava per sempre Ernesto «Che» Guevara.
In questo contesto, a pochi mesi dalla morte di un'altra grande icona del Novecento latinoamericano, la cantautrice cilena Violeta Parra in un'isola dell'arcipelago cubano, significativamente chiamata «Isla de la Juventud», nasceva ufficialmente la Canzone di protesta latinoamericana. Protest songs of Latin America secondo il titolo di un famoso disco pubblicato nel 1970 dallo storica Paredon Records e registrato dal vivo nel luglio del 1967 durante il Primer Encuentro internacional de la Canción protesta di Cuba. Secoli di risentimento nei confronti di un endemico colonialismo, e delle sue moderne derive neoliberali, spinsero la nuova generazione di cantautori latinoamericani a sposare la causa della Rivoluzione cubana. Un movimento di liberazione nazionale che, a partire dalla entrata trionfale di Fidel Castro a Santiago di Cuba nel capodanno del 1959, nel giro di pochi anni cercò di trascendere, almeno nelle intenzioni, i propri confini geografici e temporali. Quel sogno gioioso, anche se rapidamente frustrato, di emancipazione da ogni alienante sfruttamento del Capitale sul Lavoro, divenne presto il nucleo principale intorno al quale si consolidò il nascente movimento della canzone popolare latinoamericana. Nascevano così alcune tra le esperienze musicali più interessanti e significative dell'epoca. Dalla Nueva trova cubana, al Cancionero popular argentino, dalla Nueva canción uruguaiana al tropicalismo brasiliano, fino ad arrivare a quello che si convertí immediatamente nel principale fenómeno discográfico dell'epoca: la Nueva canción cilena.
Dopo la prematura scomparsa di Violeta Parra nel febbraio del 1967, sarà proprio Víctor Jara, nato un 28 settembre di ottant'anni fa, ad assumere simbolicamente le redini del movimento cantautorale cileno, insieme ad una nuova generazione di artisti come Quilapayún, Inti-Illimani, Isabel e Ángel Parra, Patricio Manns e Osvaldo «Gitano» Rodríguez. Musicisti che nel 1970 parteciparono attivamente alla campagna elettorale dell'allora candidato presidenziale Salvador Allende, nella convinzione di trovare nella coalizione politica della Unidad Popular un'originale via cilena al socialismo.
Curioso ed eclettico, sensibile e responsabile, dopo gli studi in seminario Víctor Jara decise di intraprendere il cammino del teatro, firmando la regia di alcuni interessanti allestimenti con cui avrà modo di farsi conoscere lungo il continente latinoamericano. Ma sarà nella canzone, orgogliosamente imparata in forma autodidatta, che incontrerà la propria strada. Dopo una collaborazione di otto anni con il gruppo folclorico Cuncumén, nel 1965 debuttava come solista con un singolo intitolato El cigarrito. Il suo primo disco, Víctor Jara, del 1966, contiene classici come Paloma quiero contarte e El arado. Seguiranno opere fondamentali come Pongo en tus manos abiertas... (1969), Canto libre (1970), La población (1972) e l'ultimo Canto por traversura (1973). Ad ogni modo l'interesse per il folclore continuerà ad accompagnarlo durante tutta la vita, come mostrato dalla collaborazione con la storica formazione Quilapayún nel disco Canciones folklóricas de América (1967).
Quelle di Víctor Jara sono storie d'amore eterne, senza patria, tempo né bandiera. I suoi protagonisti sono lavoratori tessili e contadini, operai e minatori, i cui amori, sogni e delusioni sono raccontati sempre in forma delicata e discreta, con un lirismo responsabile e cosciente, nato dall'empatia di chi nutre un profondo rispetto per le persone. Sono personaggi che hanno sempre un nome... come Amanda e Manuel (chiamati come i suoi genitori contadini), protagonisti della struggente storia d'amore ai tempi della fabbrica e al ritmo del lavoro di Te recuerdo Amanda (1969, nel video qui sotto, interpretata da Joan Baez)
Formatosi nell'epoca dei grandi movimenti per i diritti civili, con figure come Malcolm X e Martin Luther King, passando per il riformismo cattolico del Concilio Vaticano II, fino ad arrivare all'effimera esperienza della Teologia della liberazione, affossata definitivamente nei primi anni Ottanta da Giovanni Paolo II a causa del suo sogno frustrato di emancipazione reale dell'individuo, Víctor Jara continua a essere un cantautore imprescindibile nella storia della canzone latinoamericana. Due anni dopo aver firmato nel 1969 la versione spagnola del celebre If I had a hammer di Pete Seeger e Lee Hays, nel 1971 pubblicherà quello che diventerà la propria summa esistenziale, ma anche, al tempo stesso, il testamento spirituale di un uomo destinato a morire troppo giovane. Sono i famosi versi di El derecho de vivir en paz, dedicato alla resistenza delle truppe del presidente Ho Chi Minh sul fronte vietnamita. Un album che conta con la collaborazione di Ángel Parra, Inti-Illimani e Patricio Castillo (de Quilapayún) e che di fatto contribuirà in forma determinante a portare a piena maturazione il movimento della Nuova canzone cilena.
Una rivoluzione anche in senso musicale, considerando che si trattava della prima volta che nella musica popolare cilena venivano inseriti i suoni della chitarra e dell'organo elettrici. Molte delle sue canzoni furono registrate dal vivo nella Peña de los Parra, spazio culturale autogestito in forma di cantina, fondato da Ángel e Isabel, figli di Violeta, nel 1965 e chiuso nel 1973, con la dittatura militare di Pinochet.
Víctor Jara oggi avrebbe compiuto ottant'anni. Ne sono passati quasi quaranta dalla sua tragica morte, all'età di quarantun'anni, ucciso per mano dei sicari con uniforme militare del dittatore Augusto Pinochet, nello stadio di Santiago del Cile, oggi chiamato Estadio Víctor Jara, in quel settembre nero del 1973, appena cinque giorni dopo il bombardamento del palazzo de La Moneda e l'assassinio del presidente Salvador Allende. Quasi cinque lustri sono trascorsi dall'inizio della lentissima transizione democratica cilena, inaugurata con il plebiscito che pose fine al regime militare di Pinochet nel 1988, anche se di fatto questi manterrà l'incarico di comandante in capo delle Forze armate del Cile democratico per altri dieci anni, per poi divenire senatore a vita. Il resto è noto. Incriminato nel 1998, durante un suo viaggio a Londra, per diritti di «lesa umanità» dal magistrato spagnolo Baltasar Garzón, l'ex dittatore cileno verrà liberato nel 2000 e potrà far ritorno in patria, dove morirà impunito, protetto dall'immunità di senatore e da una pensione statale dorata, da ex presidente.
Gli assassini di Víctor Jara, e di decine di migliaia di persone arrestate, detenute e torturate, in alcuni casi davanti alle televisioni di tutto il mondo, continuano a muoversi impuniti per le strade del paese, come inguaribili nostalgici di ordine, sicurezza e disciplina.
* Storico della canzone latinoamericana e critico musicale. Dal 2009 dirige e presenta il programma di storia Café del sur (Radio 3 - Radio Nacional de España).