Fischia il vento
- Dettagli
- Visite: 27844
Fischia il vento
Oggi, 25 aprile 2015, sono settanta anni dalla Liberazione e non si può non ricordare la Resistenza, per quanto si tratti di un argomento di solito poco digeribile per l’establishment di turno.
Che rimedia cercando di sterilizzarla, quest’anno è di moda la rivalutazione del contributo dato “dai liberali e dai cattolici”, tutto pur di dimenticare che la Resistenza è stata soprattutto socialista e comunista (come lo era stata d’altronde in Spagna, qualche anno prima).
Per andare contro corrente (come è nostra abitudine) vogliamo ricordarla con una canzone che più comunista non si può, e che per giunta ha anche una melodia russa
Fischia il vento
Fischia il vento è una celebre canzone partigiana italiana su aria russa, il cui testo era stato scritto dal giovane poeta e medico ligure, neolaureato a Bologna prima dell'8 settembre 1943, Felice Cascione (Porto Maurizio, 2 maggio 1918 - Alto, 27 gennaio 1944). La melodia che fu poi utilizzata durante la Resistenza è quella della famosa canzone popolare sovietica Katyusha, composta nel 1938 da Matvei Blanter e Michail Isakovskij.[1]
La canzone fu diffusa dopo l'8 settembre 1943 tra l'alta valle di Andora - Stellanello in località Passu du Beu alle spalle del Pizzo d'Evigno e successivamente sopra Curenna, nel Casone dei Crovi, nell'alta Valle di Albenga, dove era accampata la squadra partigiana comandata dal giovane medico ligure Felice Cascione.
In quel momento non esistevano ancora canzoni partigiane e si cantavano quindi vecchi canti socialisti e comunisti: L'Internazionale, La guardia rossa, Bandiera rossa o la canzone di origine anarchica Addio Lugano Bella, trasformata in Addio Imperia Bella, Vieni o maggio (o Canzone del maggio), sull'aria del Nabucco. Sul cippo eretto in memoria della medaglia d'oro Felice Cascione a Fontane di Alto, una lapide porta la strofa finale del canto Vieni o Maggio.
«date fiori al ribelle caduto con lo sguardo rivolto all'aurora al vegliardo che lotta e lavora al veggente poeta che muor»
Alla squadra partigiana comandata da Felice Cascione si aggiunse Giacomo Sibilla, nome di battaglia Ivan, reduce dalla campagna di Russia, ove era incorporato nel 2º Reggimento Genio Pontieri. Nella regione del Don, Ivan aveva fatto conoscenza con prigionieri e ragazze russe, e da loro imparò la canzone Katjuša. Ivan la portò nella mente con sé in Italia, e al Passu du Beu ne abbozzò alcuni versi insieme a Vittorio Rubicone Vittorio il Biondo. A questo punto intervenne il comandante Cascione. Con Silvano Alterisio, detto Vassili e altri compagni vennero adattati sull'aria russa i versi scritti da Felice poco tempo prima, mentre si stava laureando nella Facoltà di Medicina dell'Università di Bologna.
Di recente è stato ritrovato il casone nel comune di Stellanello dove U Megu e i suoi compagni iniziarono la stesura del celebre testo.
La canzone fu cantata per la prima volta a Curenna, frazione di Vendone, nel Natale 1943. Ma fu diffusa ufficialmente ad Alto, nella piazza di fronte alla chiesa, il giorno dell'Epifania 1944). Tre settimane dopo Felice Cascione fu ucciso in battaglia dai nazifascisti, e la sua squadra da quel momento portò il suo nome. Subito dopo, questo nucleo partigiano si ingrandì, e anche il ventenne Italo Calvino, abitante San Remo, si arruolò in quel gruppo, con nome di battaglia Santiago, dato che era nato a Cuba nel paesello avanero di Santiago de Las Vegas. In seguito Fischia il vento divenne l'inno ufficiale delle Brigate Partigiane Garibaldi[2].
Il professore Francesco Biga, direttore scientifico dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea[3] della Provincia di Imperia, ha scritto due testi dedicati alla Medaglia d'Oro Felice Cascione e sulla sua canzone immortale. Si parla di ciò anche nella "Storia della Resistenza Imperiese 1ª Zona Liguria" di Carlo Rubaudo, il cui capitolo 9 viene riservato alle canzoni partigiane della zona.
Fischia il vento, oltre ad essere l'inno ufficiale di tutte le Brigate Partigiane Garibaldi, viene indicata dallo storico Roberto Battaglia nella "Storia della Resistenza" come la canzone più nota ed più importante nella lotta italiana di Liberazione.
Fischia il vento e infuria la bufera,
scarpe rotte e pur bisogna andar
a conquistare la rossa primavera
dove sorge il sol dell'avvenir.
A conquistare...
Ogni contrada è patria del ribelle,
ogni donna a lui dona un sospir,
nella notte lo guidano le stelle,
forte il cuor e il braccio nel colpir.
Nella notte...
Se ci coglie la crudele morte,
dura vendetta verrà dal partigian;
ormai sicura è già la dura sorte
del fascista vile e traditor.
Ormai sicura...
Cessa il vento, calma è la bufera,
torna a casa il fiero partigian,
sventolando la rossa sua bandiera;
vittoriosi, al fin liberi siam!
Sventolando...
Testo: Felice Cascione
Musica: sul tema russo "Katiuscia"
Anno: 1944
La corrente centrale della folla li derivò verso un assembramento di rossi: avevano issato un compagno su una specie di podio e lo invitavano, lo costringevano a cantare con una selvaggia pressione. Il ragazzo nicchiava, una fiera, tarchiata e grinning figura. Da intorno e sotto aumentarono le insistenze e quello allora intonò «Fischia il vento, infuria la bufera» nella versione russa, con una splendida voce di basso. Tutti erano calamitati a quel podio, anche gli azzurri, anche i civili, ad onta della oscura, istintiva ripugnanza per quella canzone così genuinamente, tremendamente russa. Ora il coro rosso la riprendeva, con una esasperazione fisica e vocale che risuonava come ciò che voleva essere ed intendere, la provocazione e la riduzione dei badogliani. L’antagonismo era al suo acme sotto il sole, il sudore si profondeva dalle nuche squadrate dei cantori. Poi il coro si spense per risorgere immediatamente in un selvaggio applauso, cui si mischiò un selvaggio sibilare degli azzurri, ma come un puro contributo a quell’ubriacante clamore. Qualche badogliano propose di contrattaccare con una loro propria canzone, ma gli azzurri, anche la truppa, erano troppo nonchalants e poi quale canzone potevano opporre, con un minimo di parità, a quel travolgente e loro proprio canto rosso? Disse Johnny ad Ettore che aveva ritrovato appena fuori della cintura rossa: - Essi hanno una canzone, e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. É una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.
tratto da Beppe Fenoglio, "Il partigiano Johnny"
Giovanna Daffini - Festa d'aprile