Sacco e Vanzetti
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L’Humanité, 23 agosto 2007
Sacco e Vanzetti: hanno voluto condannare l’anarchia
Lucien Degoy
Ottantatrè anni fa, negli Stati Uniti, i militanti anarchici Sacco e Vanzetti morivano sulla sedia elettrica, accusati di un delitto che non avevano commesso. Intervista a Ronald Creagh, professore emerito dell’Università di Montpellier, che ha consultato gli archivi del FBI, resi pubblici pochi anni fa.
Ricordatevi del 23 agosto 1927
"Lacreme 'e cundannate" nell'interpretazione di Daniele Sepe
E’ appena suonata la mezzanotte. Nella prigione di Charlestown, vicino Boston (Stato del Massachussets) questa mattina del 23 agosto 1927 due uomini sono condotti al supplizio. Legati con cinghie e corregge alla sedia elettrica, ci metteranno rispettivamente sette e cinque minuti a morire sotto la barbara scarica. Prima Nicola Sacco, poi Bartolomeo Vanzetti. Prima di morire “Bart”, come lo chiamavano i figli, ha riaffermato la sua innocenza: “Io non ho commesso né delitto né peccato… Perdono qualcuno per il male che mi fanno”.
I due compagni sono operai immigrati italiani. Sbarcati sul suolo nordamericano nel 1908, si conoscono da una decina d’anni per la comune militanza nei circoli anarchici della comunità italiana. Essi non hanno niente a che vedere col delitto che la Giustizia attribuisce loro, l’uccisione nel villaggio di Braintree, il 15 aprile 1920, durante una rapina a mano armata, di due portavalori che trasportavano 16.000 dollari. Sacco e Vanzetti sono innocenti, ma sono anarchici e schedati dalla polizia come agitatori. Dei “rossi” dunque, e in questo periodo di violenta crisi sociale ed economica, mentre soffiano i venti maligni del razzismo e della xenofobia soprattutto contro gli immigrati dell’Europa centrale e meridionale, l’impegno politico e sociale dei due imputati costituisce ben più che un indizio agli occhi del procuratore Katzmann e del giudice Thayer che presiede il dibattimento: una prova irrefutabile di colpevolezza. “I loro principi ammettono il delitto”, arriverà a dire il giudice durante le assise tenute nella pacifica città di Dedham, nella Nuova Inghilterra.
E’ a causa delle loro idee – che non hanno mai rinnegato durante tutti i lunghi sette anni che hanno preceduto l’esecuzione – che i due militanti sono stati uccisi. Ed è grazie a questa loro fedeltà alle proprie convinzioni che essi sono entrati, questo 23 agosto, nella leggenda del movimento operaio. Due vittime della giustizia accecata da pregiudizi sociali, di una America borghese che osservava terrorizzata l’eco sollevato negli ambienti intellettuali e nel mondo sindacale dalla giovane rivoluzione sovietica, e che considerava più che mai la contestazione dell’ordine sociale come un delitto di diritto comune.
La repressione si scatena
Niente predestinava questi due immigrati a un simile martirio. Nicola Sacco, nato nel 1891 in un villaggio della Puglia, ha abbandonato la scuola a 14 anni per lavorare la terra. Ma sogna di viaggiare e di fare fortuna e s’imbarca per l’America e Boston. Qui frequenta la diaspora italiana, trova lavoro in una fabbrica di scarpe e fa conoscenza col gruppo anarchico “Circolo di studi sociali”, del quale diventa in qualche anno un elemento attivo. Impiega il suo tempo tra riunioni e collette per aiutare i lavoratori in sciopero, che gli valgono condanne e ammende. Quando gli Stati Uniti entrano nella Prima Guerra Mondiale, nel 1917, va in esilio per qualche mese in Messico per evitare la coscrizione. E così anche Vanzetti. Lui è nato nel 1888 in un villaggio del Piemonte. Scolaro eccellente, non ha potuto proseguire gli studi per mancanza di mezzi ed è diventato apprendista pasticciere. Dopo la morte di sua madre è andato a piedi fino a Le Havre per imbarcarsi. E’ sopravvissuto grazie a piccoli lavori, che alternava alla lettura di autori rivoluzionari. Si lega agli anarchici, organizza scioperi, invita alla rivolta contro il capitalismo e lo Stato. Mai tuttavia partecipa ad attentati, qualche volta mortali, contro uomini politici, che maturavano allora in un ambiente di disperazione ed estrema miseria che colpiva milioni di lavoratori e le loro famiglie. La repressione poliziesca, perfino militare, le fucilate mortali, gli arresti massicci, le deportazioni (espulsioni) si abbattono in quel periodo su tutti quelli che fanno resistenza. E’ in questo contesto di violenza esacerbata che Sacco e Vanzetti vengono fermati in un tram nella serata tra il 5 e il 6 maggio 1920, in possesso di volantini e di due armi da fuoco. La polizia che è alla ricerca degli assassini dei portavalori finisce con accusarli del delitto. Per la sola ragione che Vanzetti porta i baffi e che uno dei rapinatori, secondo una grottesca testimonianza, “camminava come uno straniero”! Il processo è una parodia di giustizia. Non vengono in alcun modo verificati gli alibi degli imputati, le testimonianze si contraddicono, e anche gli esperti balistici. Il procuratore pronuncia una requisitoria contro la “mancanza di sottomissione” di Sacco e Vanzetti e invita i giurati al “patriottismo”. Senza alcuna prova, il 14 luglio 1921, i due uomini sono condannati a morte.
E’ a questo punto che la vicenda assume tutta la sua dimensione pubblica. All’inizio timidamente, attraverso i resoconti apparsi in Francia nei mesi successivi sul settimanale anarchico Le Libertaire e sul giornale della CGTU, la Vie ouvrière, poi sull’Humanité che, l’8 settembre, denuncia una sentenza di classe. La protesta cresce, si moltiplicano meeting e manifestazioni di anarchici e comunisti a Parigi e in provincia. A fine novembre viene annunciato il rinvio dell’esecuzione. Seguono diversi anni di battaglie giudiziarie. Ma i due condannati restano in prigione e ogni possibile ricorso si esaurisce all’inizio del 1927. Nel frattempo un gangster, Celestino Madeiros, ha confessato di essere stato lui l’autore della rapina insieme a due complici. E tuttavia il giudice Thayer rigetta ogni istanza di riapertura del processo. Petizioni e manifestazioni si susseguono, in America Latina, negli Stati Uniti, in Europa… Le ambasciate USA sono assediate. Grandi nomi della scienza e della letteratura chiedono clemenza. Milioni di uomini e donne di ogni condizione e nazionalità partecipano alle proteste. La polizia spara sui manifestanti a Londra, a Berlino, a Ginevra, i padroni licenziano moltissimi scioperanti e lavoratori che protestano.
“La giustizia è crocifissa”
A Washington il presidente Coolidge, puritano d’assalto, rifiuta la grazia. In Francia la vicenda viene seguita giorno per giorno da l’Humanité. Fino al fatidico 23 agosto, quando la notizia dell’esecuzione occupa tutta la prima pagina di una edizione speciale col titolo “Li hanno folgorati! Il proletariato li vendicherà”. “E’ l’ultimo atto della civiltà capitalista”, scrive Vaillant-Couturier nel suo editoriale. L’annuncio dell’esecuzione provoca un uragano di proteste. Folle immense manifestano a New York, Detroit, Philadelphia I funerali sono seguiti da 400.000 persone che portano un bracciale dove è scritto: “La giustizia è stata crocifissa. Ricordatevi del 23 agosto 1927”. Ottantatrè anni sono passati. Il processo iniquo non è mai stato revisionato. Sacco e Vanzetti sono stati, indirettamente, riabilitati nel 1977, nel cinquantenario dell’esecuzione, dalla bocca del governatore del Massachussetts, Mike Dukakis, che ha riconosciuto in un comunicato ch’essi non avevano beneficiato di un processo equo. Una decina di anni fa la città di Boston ha inaugurato un bassorilievo realizzato dallo scultore Gutzon Borglum… negli anni trenta. Ricorda le parole di Vanzetti che sperava che il loro caso avrebbe costituito “una lezione per le forze della libertà”. Sacco e Vanzetti non sono stati dimenticati.