Iran: prevale la logica dello scontro
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), marzo 2019 (trad.ossin)
Iran: prevale la logica dello scontro
Alain Rodier
Secondo gli Occidentali, le attività clandestine iraniane sono cresciute negli ultimi anni. Il Ministero della Intelligence e della Sicurezza (VAJA, ex-VEVAK) e la Direzione dei Servizi di Informazione dei Guardiani della Rivoluzione islamica – il cui braccio armato all’estero è costituito dalla forza Al-Qods -, costituiscono la spina dorsale del sistema di intelligence e di azione clandestina del regime iraniano. Per non comparire troppo direttamente, questi servizi si servono spesso di intermediari, il più noto dei quali è Hezbollah libanese. Il principale atout di questa organizzazione è l’importante diaspora libanese sparsa nel mondo, che costituisce un vero e proprio «vivaio di agenti». All’interno di questo movimento vi è poi una pletora di sottogruppi dai nomi più diversi che consentono di confondere le piste. Una di esse si è però molto distinta nel passato: l’Organizzazione del jihad islamico (OJI) o «Unità 910». L’OJI è stata spesso usata in Libano negli anni 1980 e sarebbe ancora attiva.
Teheran sostiene anche dei movimenti palestinesi in opposizione frontale con Israele: Hamas[1] e il Jihad islamico palestinese.
Aumento dei casi di spionaggio
Un caso un po’ datato è stato svelato alla stampa nel 2019: la defezione di Monica Witt, una ex militare dell’Ufficio delle Inchieste Speciali dell’Air Force (AFOSI) in Iran, nell’agosto 2013 .
Il 9 giugno 2018, il Dipartimento della Giustizia USA ha svelato i nomi di due sospetti statunitenso-libanesi – Ali Kourani e Samer El Debek – che dipenderebbero dall’OJI. Entrambi sono stati arrestati per «sostegno ad un’organizzazione terrorista» e per «partecipazione ad una formazione militare finanziata da un’organizzazione terrorista». Né Kourani, né El Debek sono accusati di attentati. Il primo sembrerebbe un «agente di infratsruttura» col limitato compito di redigere dossier di obiettivi «nel caso che». El Debek sembrerebbe un agente operativo. Entrambi si sono costituiti spontaneamente in quanto sarebbero stati «radiati» dai servizi iraniani!
Ad agosto 2018 è toccato a due Statunitensi di origine iraniana di essere arrestati in California come «agenti di una potenza straniera»: Majid Ghorbani, 59 anni e Ahmadreza Mohammadi Doostdar 38 anni. Un’inchiesta durata un anno avrebbe dimostrato che questi agenti illegali raccoglievano informazioni sui movimenti di opposizione iraniani presenti negli Stati Uniti e su interessi israeliani.
Il 15 gennaio 2019, la Procura Generale di Karlsruhe ha annunciato l’arresto del tedesco di origine iraniana Abdul Hamid S., consigliere culturale e linguistico della Bundeswehr. E’ accusato di avere «trasmesso informazioni ad un servizio di intelligence iraniano». Secondo Der Spiegel, Abdul Hamid S. lavorava da «diversi anni» per Teheran e aveva soprattutto accesso a informazioni sull’impegno delle forze tedesche in Afghanistan.
Più in generale, l’Iran è interessata a quanto accade in Afghanistan, in Iraq, in Siria in Libano, in Yemen, in Cisgiordania, a Gaza e in Bahreïn. In questi paesi, la raccolta di informazioni si congiunge ad interventi diretti. Nei paesi, invece, considerati ostili (Israele, Stati Uniti, Unione Europea, Turchia, Giordania, ecc), si raccolgono solo informazioni. Difficile credere che gli Iraniani non raccolgano informazioni anche in Russia e Cina, ma si direbbe solo attraverso rappresentanze diplomatiche e culturali.
La defezione di una ufficiale dell’intelligence dell’US Air Force in Iran
Monica Witt, un’ex militare dell’Ufficio delle Inchieste Speciali dell’Air Force (AFOSI) ha fatto defezione in Iran nell’agosto 2013, portando con sé molte informazioni classificate. Il caso è stato reso pubblico solo all’inizio del 2019 con la divulgazione alla stampa del capo di imputazione redatto ad agosto 2018 da parte del Dipartimento della Giustizia. Anche 4 ciberattivisti iraniani, certamente pasdaran, sono accusati di aver tentato di entrare in contatto con alcuni ex colleghi di Monica Witt.
Monica Witt entra nell’US Air Force nel 1997. Si dimette nel 2008 ma continua per due anni a lavorare come consulente del Pentagono. Solo dopo aver lasciato la Difesa, si reca nel frebbraio 2012 in Iran ad una conferenza dal titolo «Hollywoodismo e cinema», organizzata dalla New Horizon Organisation, che sarebbe una sigla di copertura della forza Al-Qods dei pasdaran. E’ una società che organizzerebbe «conferenze internazionali» con due obiettivi: reclutare soggetti interessanti e fare propaganda antisionista e contro gli Stati Uniti e Israele. Oltre ai video in cui Witt compare criticando gli Stati Uniti, ce n’è uno che mostra la sua conversione all’islam.
Il 25 giugno 2012, FBI l’avverte che gli Iraniani potrebbero tentare di reclutarla. Ma già convinta della sua scelta politico-religiosa, Witt non vi dà seguito. Sembra sia stata allora messa in contatto con una giornalista statunitense-iraniana (designata come «Individuo A» nel capo di imputazione) residente in Iran, che stava facendo un reportage negli Stati Uniti.
Witt torna a Teheran nel febbraio 2013 per partecipare alla stessa conferenza del 2012 ma si mostra impaziente col suo contatto («l’Individuo A») perché gli Iraniani si mostrano sordi alle sue sollecitazioni. Avrebbe minacciato di rivolgersi a WikiLeaks o alla Russia. Decide di traferirsi a Teheran il 28 agosto 2013, quando finalmente viene accolta dagli Iraniani. A partire dal dicembre 2014, i ciberattivisti più su menzionati avrebbero cominciato a lanciare manovre di penetrazione informatica dirette verso ex colleghi di Witt.
Omicidi
In termini più inquietanti, le autorità occidentali temono che gli Iraniani abbiano ripreso le missioni di eliminazione fisica degli oppositori residenti all’estero, come facevano dopo la rivoluzione del 1979.
L’organizzazione più in vista è l’OMPI (l’Organizzazione dei mujaheddin del popolo iraniani o Mujahedeen El-Khalq/MEK) riconosciuta un tempo come «terrorista» dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, ma tornata nelle grazie di Bruxelles nel 2009 e di Washington nel 2012. Bisogna riconoscere che è stata l’OMPI che, nel 2002, ha consentito agli Occidentali di scoprire una parte importante del programma nucleare clandestino iraniano.
All’inizio del 2018, due operativi dei pasdaran sono stati espulsi dall’Albania mentre effettuavano sopralluoghi in questo paese che ospita da un po’ un’importante campo di addestramento paramiliatare del l’OMPI a Manëz, vicino alla capitale Tirana. In seguito, l’ambasciatore iraniano e uno dei suoi aggiunti sono stati anch’essi espulsi con grande soddisfazione di Washington.
Il 30 giugno 2018 sarebbe stato sventato un attentato contro l’assemblea annuale dell’OMPI a Villepinte. Dopo una segnalazione proveniente dal Mossad, una coppia belgo-iraniana – Amir e Nasimeh S., di una trentina d’anni – è stata arrestata dalla polizia belga a Woluwe-Saint-Pierre, alla periferia di Bruxelles. 500 grammi di esplosivo TATP e un dispositivo di innesco sono stati scoperti in due diversi pacchetti presenti nella loro vettura. E’ stato arrestato in Germania anche Assadollah Assadi, un diplomatico iraniano in servizio all’ambasciata iraniana di Vienna (Austria).
L’Iran è anche accusato dai Pesi Bassi di essere dietro all’assassinio di Ali Motamed nel 2015, ad Almere. Il suo vero nome era Mohammad Reza Kolahi Samadi, avrebbe appartenuto all’OMPI e sarebbe stato istigatore dell’attentato terrorista realizzato nel 1981, in Iran, contro la sede del Partito della Repubblica Islamica a Teheran, che provocò 79 morti. Nel 2017, Ahmad Molla Nissi, il segretario generale dell’ASMLA (il Movimento di lotta araba per la liberazione dell’Ahwaz [2]) è stato assassinato a la Haye. A causa di questi due episodi, due diplomatici iraniani sono stati espulsi dai Paesi Bassi nel giugno 2018.
In settembre 2018, è stato anche sventato un progetto di assassinio di tre militanti dell’ASMLA a Ringsted, nella regione di Copenaghen. Un Norvegese di origine iraniana venne soprpreso mentre fotografava l’abitazione del capo dell’ASMLA. Arrestato nella città svedese di Gothenbourg, è stato poi estradato in Danimarca.
Theresa May ha espresso solidarietà alla Danimarca durante un incontro a Oslo nel corso del quale ha paragonato questo tentativo di assassinio a quello del marzo 2018 a Salisbury (Regno Unito), contro Sergueï e Youlia Skripal. Il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, ha espresso apprezzamento alla Danimarca per avere arrestato «un assassino del regime iraniano».
Albania, la discretissima base dei mujaheddin del popolo
L’Organizzazione dei mujaheddin del popolo ha costruito una base vicino alla città di Manëz, nella regione di Durazzo. Attivisti di questo movimento di opposizione al regime iraniano e le loro famiglie sono cominciati ad arrivare nel 2013, giacché l’Iraq – paese in cui si erano istallati dopo la guerra Iran-Iraq del 1986 – non era più sicuro per loro. Questo movimento – la cui ideologia è un miscuglio di islam e di marxismo-leninismo – dopo essere stato all’opposizione dello Scià, ha anche violentemente contestato i mullah che hanno preso il potere a Teheran nel 1979. Durante la guerra Iraq-Iran, i suoi attivisti hanno perfino combattuto al fianco delle forze irachene, ragione per cui vengono considerati come traditori della Patria dalla maggior parte degli Iraniani, anche di quelli che non sono favorevoli al regime attuale. L’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 ha provocato la caduta del loro protettore, Saddam Hussein. In seguito non sono più stati i benvenuti nel campo di Ashraf dove erano confinati. Posto in un primo tempo sotto la responsabilità degli Statunitensi, questi ultimi ne hanno trasferito la competenza al governo di Bagdad il 1° gennaio 2009. Quindi sono avvenuti diversi episodi sanguinosi, il più cruento dei quali ha avuto luogo il 1° settembre 2013 (52 uccisi). Sarebbe stato un commando di pasdaran ad attaccare il campo con l’appoggio di una milizia sciita irachena. Un piccolo gruppo di elementi dell’OMPI è stato poi trasferito al «campo Libertà», nei pressi di Bagdad.
In Albania, l’OMPI – sostenuta da Washington – ha acquistato nel 2013 34 ettari di terreno dove ha costruito edifici in stile militare. Già 2 000 persone vi si sarebbero istallate, ma si tratta di cifre che potrebbero essere sottodimensionate dal momento che all’interno del campo non è autorizzato alcun controllo. Il Consiglio nazionale della resistenza iraniana (CNRI) – il ramo politico dell’OMPI – è presieduto da Maryam Rajavi, la moglie di Massoud Rajavi, il fondatore del movimento misteriosamente sparito nel nulla nel 2003. Ella si divide tra il suo ufficio parigino, New York e l’Albania. Il movimento è stato per lungo tempo considerato terrorista dagli Occidentali, ma ha conosciuto il suo momento di gloria nel 2002, quando ha rivelato il programma nucleare segreto iraniano. I suoi finanziamenti restano opachi, ma i politici statunitensi – soprattutto i neoconservatori come Rudy Giuliani e John Bolton – non hanno remore a partecipare attivamente alle loro manifestazioni pubbliche. Washington vedrebbe di buon grado la sostituzione dei mullah a Teheran da parte dell’OMPI, che già dispone di una struttura tipo «governo ombra». L’affermazione dell’OMPI, di non intrattenere alcuna relazione coi servizi segreti stranieri – USA, Israele e Sauditi – sembra molto discutibile in quanto il movimento dispone di sponsor discreti che ne garantiscono la sopravvivenza.
La reazione degli Occidentali
A inizio ottobre 2018, dopo l’affaire Villepinte, Parigi ha congelato per sei mesi i beni del VAJA. Identica sanzione è stata adottata nei confronti di Assadollah Assadi – il diplomatico arrestato in Germania – e del capo dei servizi di intelligence iraniani, il vice minsitro Saeid Hashemi Moghadam. All’inizio del 2019, l’Unione europea ha deciso a sua volta sanzioni all’Iran come reazione alle operazioni di cui sopra.
Il regime di Teheran è piuttosto indebolito dopo più di un anno di quasi blocco mondiale, che Washington ha imposto quando è uscita dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), trattato che prevedeva l’arresto del programma nucleare iraniano in cambio della cessazione delle sanzioni. L’economia, che già non era florida, è stata colpita in pieno. Teheran ha enormi difficoltà ad esportare il suo petrolio, che costituisce la sua principale risorsa finaziaria, in quanto nessun paese osa pagare questo petrolio in dollari per paura di azioni giudiziarie da parte degli Stati Uniti. Gli osservatori – soprattutto anglosassoni – ritengono che il regime tenti di mantenersi saldo accrescendo la repressione interna, sviluppando il suo programma di missili balistici e moltiplicando le operazioni estere, compresi gli omicidi mirati di oppositori rifugiati all’estero. Se un attacco diretto contro il territorio iraniano sembra da escludersi, le autorità statunitensi dicono a chi voglia intendere che loro obiettivo è rovesciare il regime dei mullah per mezzo di una rivoluzione interna. E’ per questo che Washington sostiene, per il tramite di diverse fondazioni e l’aiuto finanziario dei paesi del Golfo Persico, tutti i movimenti di opposizione al regime di Teheran stabiliti all’estero, dai monarchici ai marxisti-leninisti, passando per i separatisti. Ed è ancora questo che spiega l’attuale lotta di influenza ai più alti livelli, a Teheran, tra moderati e conservatori.
Emarginazione del Ministro degli affari esteri, Mohammad Javad Zarif
Il 25 febbraio 2019, il presidente Bachar el-Assad ha effettuato la sua prima visita a Teheran dopo l’inizio della guerra civile in Siria nel 2011. E’ stato ricevuto dalla Guida suprema della Rivoluzione, l’ayathollah Ali Khamenei e dal suo omologo, Hassan Rohani. Si è notata la presenza anche del maggiore generale Qasem Soleimani, capo della forza Al-Qods dei pasdaran. Per contro, il ministro degli Affari esteri Mohammad Javad Zarif, considerato un moderato, non è stato invitato. Offeso, ha presentato le sue dimissioni che non sono state però accettate dal presidente Rohani. Soleimani – che non è però il portavoce dell’ayathollah – ha affermato che il ministro degli Affari esteri iraniano gode di tutta la fiducia di Khamenei e che si era trattato solo di una «malaugurata dimenticanza» del protocollo della presidenza. Nessuno se l’è bevuta: è Soleimani che guida le danze, a dimostrazione del fatto che, se il ministero degli Affari esteri sembra tuttora competente in materia di relazioni internazionali – anche se il ritiro di Washington dal Joint Comprehensive Plan of Action è stato per lui un fallimento pesante -, la gestione dell’«arco sciita» (Iran-Iraq-Siria-Libano-Bahrein-Yemen) resta appannaggio dei pasdaran.
In effetti l’offensiva politica posta in essere da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita nei confronti dell’Iran fa sì che il tempo della diplomazia rappresentato da Mohammad Zarif si esaurisca progressivamente a favore di quello dello scontro, personificato da Soleimani. Alle parole di Donald Trump: «arrivano le sanzioni», il capo di Al-Qods replica: «Starò davanti a lei». Rispondendo ai recenti attentati contro i pasdaran compiuti da attivisti arabi separatisti, si rivolge all’Arabia Saudita sospettata di sostenere i terroristi che operano sul suolo iraniano: «Vi avverto, non abusate della pazienza iraniana». La conferenza sulla sicurezza in Medio Oriente organizzata da Washington a Varsavia a metà febbraio è stata d’altronde molto significativa in proposito. Parlando al fianco del Primo Ministro isrealiano Benjamin Netanyahu, Mike Pompeo, il segretario di Stato statunitense, ha dichiarato «non potete assicurare la stabilità in Medio Oriente senza affrontare l’Iran. Non è assolutamente possibile». Rischia di essere ascoltato.
Ritratto del maggiore generale Qasem Soleimani
Da quando Teheran ha cominciato ad apportare aiuto ai regimi siriano e iracheno, nella lotta contro i ribelli islamisti, la propaganda iraniana mette in avanti il maggiore generale Qasem Soleimani. Infatti è stato fotografato, e talvolta filmato, in tutti i punti caldi del fronte siro-iracheno. Questa mediatizzazione a oltranza pare un po’ strana per un uomo che aveva caratterizzato la sua carriera sotto il segno della discrezione.
Ma, nel campo della guerra segreta, niente capita a caso. Lo statuto di eroe nazionale che gli è stato attribuito - e di nemico numero uno per i suoi avversari – è verosimilmente destinata a galvanizzare il popolo iraniano nelle guerre nelle quali Teheran è impegnata. E contribuisce a legittimare l’intervento dell’Iran contro Daesh. Abou Mohamed Al-Adnani, il defunto portavoce del gruppo Stato Islamico gli ha reso un gran servizio dichiarando: «Oh sunniti! L’alleanza tra ebrei e sciiti è oggi chiara. Ecco l’Iran alleata degli USA scambiarsi i ruoli nella guerra contro Islam e sunniti. (…) Il leader di questa battaglia è l’immondo safavida Soleimani: è il loro maestro e colui che ne riceve la benedizione».
Nato l’11 marzo 1957 a Qanat-e Maleh, nel distretto di Rabor (provincia di Kerman), da una modesta famiglia contadina, comincia una carriera di operaio edile appassionandosi ad attività sportive come il sollevamento pesi e le arti marziali.
Durante la Rivoluzione del 1979, è una delle prime reclute del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica appena costituito. Si fa notare per il suo zelo durante la repressione della prima rivolta curda (1979-1982) sopraggiunta nella provincia dell’Azerbagian occidentale, all’estremità nord-ovest del paese. Comincia la guerra contro l’Iraq (1980-1988) alla testa di una compagnia formata da soldati provenienti dalla sua provincia natale. Si fa rapidamente notare per il suo coraggio e, nonostante la giovane età, gli viene assegnato il comando della 41* Divisione Sarallah. Ma compie anche azioni dietro le linee nemiche per conto dello «stato maggiore Ramadan» incaricato delle operazioni speciali, l’antenato della forza Al-Qods. Durante tali azioni, conosce dei responsabili curdi iracheni e quelli dell’organizzazione Badr, tutti oppositori del regime di Bagdad. Contatti che gli saranno preziosi più tardi.
Finita la guerra, assume il comando di Kerman, la sua provincia natale, nel sud est del paese, dove opera con energia contro il traffico di droga proveniente dall’Afghanistan.
Ufficialmente entra nella forza Al-Qods, il «service Action» dei Pasdaran, a fine 1997, poi ne prende il comando nel 1998. Pare verosimile però che vi sia entrato molto prima, avendo compiuto tante missioni clandestine nel corso della guerra con l’Iraq. A luglio 1999, è uno degli ufficiali dei Pasdaran che scrivono al presidente Mohammad Khatami, chiedendogli di reprimere la rivolta studentesca se non vuole essere rovesciato.
Dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003 da parte della coalizione occidentale, Qasem Soleimani supervisiona le operazioni sciite antistattunitensi. I servizi di informazione USA lo identificano rapidamente e, a maggio 2007, Washington ottiene dall’ONU la sua iscrizione nella lista delle personalità iraniane colpite da sanzioni ai sensi della risoluzione 1747. Gli Stati Uniti, seguiti dall’Unione Europea, aggravano tali sanzioni nel 2011 a causa del suo appoggio a Bachar el-Assad.
Il 24 gennaio 2011 viene nominato maggiore generale, il più alto grado dei pasdaran. Prende parte attiva alle guerre civili in Siria e in Iraq. Ma, se la propaganda iraniana tende a mettere in evidenza la forza Al-Qods, effettivamente in azione, dà meno visibilità agli ufficiali dei bassidji (Forza di mobiltazione della resistenza che anche dipende dai pasdaran) e, in Siria a partire dal 2016, agli elementi della 65° brigata aeroportuale dell’esercito regolare.
Soleimani sembra essere stato una volta a Mosca nel luglio 2015, in violazione della risoluzione 1747 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Avrebbe illustrato ai Russi la gravità della situazione allora presente in Siria. Sarebbe allora stato deciso l’intervento militare russo, e Mosca avrebbe accettato di fornire un massiccio appoggio aereo, ma nessuna forza di terra, riservando tale compito all’esercito siriano, alle milizie locali e a quelle che dipendono da Teheran (milizie irachene, afghane e pakistane, senza dimenticare Hezbollah libanese).
Sembra proprio che il maggiore generale Soleimani svolga un ruolo controffensivo nella prova di forza ingaggiata oggi in Medio Oriente. Ciò detto, è uno solo degli atout di cui Teheran dispone, giacché le sue forze militari sono perfettamente in grado di resistere a qualsiasi attacco del territorio (durante la «sacra difesa» dal 1980 al 1988, gli Iraniani non sono arretrati di un centimetro davanti alla forze irachene che pure godevano dell’appoggio logistico delle principali potenze planetarie). Peggio ancora, un attacco militare unirebbe la popolazione dietro al regime. Certo Soleimani potrebbe sparire, avendolo gi Israeliani iscritto nella loro lista di assassini da compiere, ma non è insostituibile e diventare un martire sarebbe la sua più grande vittoria personale. Da notare che nelle immagini che vengono pubblicate, non porta mai armi né particolari protezioni (caschi, giubbotto antiproiettile).
Molti osservatori si interrogano sul suo futuro politico. I funerali di sua madre nel 2013 e di suo padre nel 2017 sono stati ampiamente coperti dalla stampa iraniana e hanno dato atto della presenza delle più alte autorità dello Stato, e questo dimostra l’alta stima in cui è tenuto. Ma oltre a non corrispondere forse alle sue aspirazioni di «umile soldato», come ama definirsi, le molte sanzioni internazionali decretate contro la sua persona ostacolano molto i suoi spostamenti all’estero e nuocerebbero all’efficacia di una politica estera serena.
Note:
[1] Dopo un periodo di dissapori dal 2012 al 2016, dovuti alla simpatia di Hamas per la contestazione in Siria.
[2] L’ASMLA è un gruppo – diviso in due entità distinte, una con sede a Londra e l’altro a Copenaghen – che milita per l’indiependenza del Khuzestan. Teheran l’accusa dell’attentato di Ahwaz del settembre 2018 che ha provocato 24 morti (ma anche Daesh ha rivendicato l’operazione con un video)