Che baraonda!
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IRAN. Dei neo-conservatori nel paese dei mullah? E’, ahinoi, la prevedibile reazione alla competizione con l’ultraconservatorismo nordamericano. Ma è anche la diabolica conseguenza delle lotte intestine ai vertici dello Stato. Ahmadinejad è contestato e la Guida suprema se ne rallegra. Il paese, dal canto suo, rischia di pagarla cara.
Che baraonda!
di Subhi Hadidi (da Afrique Asie, dicembre 2007)
Proprio nel momento in cui l’influenza dei neoconservatori nordamericani declina negli Stati Uniti, per effetto dei successivi rovesci subiti dall’Amministrazione Bush in Afghanistan e in Iraq, è divertente constatare che questo declino si accompagna alla nascita, nella stessa Europa e particolarmente in Francia, di correnti neoconservatrici che riprendono a loro volta alcuni principi fondatori di questa ideologia-madre nordamericana. Come se quella non si fosse ancora dichiarata vinta oltre-atlantico.
Insuccesso dei riformatori?
Se questo fenomeno può essere, al limite, comprensibile in Europa, cosa dire dell’emergere di correnti neoconservatrici in Iran? I vecchi conservatori guidati dagli ayatollah e dai mullah hanno perso tanto credito da sentire il bisogno di favorire la nascita di una nuova generazione di ultraconservatori? Se è esatto parlare di una comparsa politica e non ideologica, questo consentirebbe di concludere che siano state sconfitte le correnti riformatrici in seno all’establishment iraniano attuale, perfino nell’insieme degli apparati ed istituzioni della Rivoluzione islamica? Più precisamente, nel contesto internazionale e regionale, dove si parla sempre di più di un intervento militare nordamericano che prenderebbe di mira non solo le istallazioni nucleari iraniane ma anche, prioritariamente, migliaia di obiettivi strategici, civili ed economici (secondo taluni rapporti, gli strateghi del Pentagono avrebbero fin d’ora redatto una lista di 2000 obiettivi che hanno sottoposto al presidente Bush), quale significato occorre attribuire alla nascita della corrente neoconservatrice a Teheran?
Non c’è dubbio che una tale novità non costituisca una buona novella né per il popolo iraniano, né per gli altri popoli della regione. E’ suscettibile di rigettare il paese dieci anni indietro, cioè prima del primo mandato presidenziale di Mohammed Khatami, nel 1997, quando sembrò che le correnti riformatrici fossero sul punto di realizzare una apertura significativa. L’avvento dei neo-conservatori iraniani, che si raccolgono soprattutto nell’entourage del presidente Mahmoud Ahmadinejad, appare come una contro-riforma, una reazione contro una parte importante delle conquiste fatte dai cittadini iraniani grazie alla Rivoluzione islamica, e che costituiscono un progresso rispetto all’era dello shah.
La chiusura di un centinaio di giornali, pubblicazioni e siti internet che operavano nel paese in modo del tutto legale significa che questi media avevano acquistato presso l’opinione pubblica una tale notorietà ed influenza che il regime ha ritenuto di doverli ridurre al silenzio. Ma, qualsiasi siano i vizi dell’attuale sistema politico iraniano, retto dalla dottrina Wilayet al-Faqih (la tutela dell’imam che è più o meno il regno di diritto divino), esso è certamente meno corrotto del sistema politico pakistano guidato dal generale Pervez Musharraf. Che tuttavia gode del sostegno degli Stati Uniti e della maggior parte dei paesi occidentali.
La ragione dell’emergere di una corrente ancora più conservatrice nell’ambito dell’attuale sistema democratico iraniano, sta nel fatto che essa consente al larghi strati della popolazione iraniana di assumere una posizione di opposizione alla gran parte delle scelte fondamentali della classe dirigente, confondendo tutte le correnti e tutti i programmi. Questa opposizione potrebbe manifestarsi su questioni di politica interna, a proposito dei diritti, delle libertà, delle scelte ideologiche e dottrinarie, così come sulle questioni della politica estera o del ruolo dell’Iran, sia come Stato che come Rivoluzione islamica. Le dimissioni di Ali Larijani, segretario del Consiglio supremo della sicurezza nazionale e principale negoziatore nel dossier nucleare iraniano, e la sua sostituzione con un giovane diplomatico, Said Salili, che aveva ricoperto fino ad allora il posto di vice-ministro degli Affari esteri, con delega sulle questioni europee ed americane, sono solo la punta dell’iceberg delle lotte intestine in seno allo stesso potere iraniano.
Gli osservatori avvertiti della scena iraniana non avevano per niente bisogno degli ultimi sviluppi per farsi una idea della natura e della virulenza delle lotte ai vertici dello Stato. Citiamo a titolo di esempio delle vicissitudini interne l’interruzione da parte del presidente Ahmadinejad della sua visita ufficiale in Armenia ed il suo precipitoso ritorno a Teheran, o la lettera firmata da 180 membri del Majlis (Parlamento) e rivolta alla Guida Suprema della Rivoluzione islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, per vantare le qualità e le realizzazioni di Ali Lariani quando era nel Consiglio Supremo.
La voce del padrone
Se si mette tra parentesi il fatto che Said Salili non è che la voce politica, ideologica e amministrativa del suo padrone Ahmadinejad, e che egli è uno degli uomini di maggior fiducia nell’eseguire missioni molto speciali (come la visita, alla fine del 2005, a La Havana per convertire, secondo quanto riferisce il giornale Farda, il presidente Fidel Castro all’islam!), la sua nomina costituisce una violazione flagrante della Costituzione. Perché fino ad oggi, per accedere al ruolo di segretario del Consiglio Supremo di sicurezza nazionale, bisognava prima farne parte. I componenti di questo Consiglio sono: il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, due rappresentanti della Guida Suprema della Rivoluzione, il Presidente del Dipartimento della pianificazione e del Bilancio, il Ministro degli Affari Esteri, il Ministro dell’Interno ed il Ministro della Sicurezza. Alcuni comandanti del corpo dei Guardiani della Rivoluzione (pasdaram) e alcuni ministri possono partecipare ad alcune riunioni, se vi sono invitati per trattare argomenti specifici.
Se i neoconservatori iraniani sono giunti a considerare un uomo come Larijani un ostacolo, a trattarlo come un “liberale” o anche un “riformatore”, per rimpiazzarlo poi con una marionetta nelle mani del presidente, questo dimostra fino a quale punto gli uomini della nomenklatura attuale sono caricati gli uni contro gli altri.
Ma quello che è più grave è che Ali Khamenei, la Guida Suprema, non sembra per niente preoccupato da questo tipo di misure che, tutto sommato, potrebbero ben rinforzare il suo potere.
Dal momento che esse non prendono direttamente di mira i suoi fedelissimi, ma si limitano a collocarli in pensione per rimpiazzarli con uomini a lui ancora più devoti. Khamenei prova d’altronde un maligno piacere a osservare alcuni dei suoi fedelissimi criticare, senza riguardo e pubblicamente, il presidente iraniano. E’ il caso del generale Mohsen Rizai, il segretario generale del Consiglio di valutazione degli interessi del regime ed ex comandante in capo del corpo dei Guardiani della Rivoluzione, che ha criticato con virulenza la gestione calamitosa del dossier nucleare da parte del presidente. E’ anche il caso di Hassan Rouhani, principale negoziatore iraniano di questo dossier sotto la presidenza di Khatami, di Hossein Moussaoui, ex presidente della Commissione Affari Esteri del Consiglio Supremo della Sicurezza nazionale, dell’ayatollah Hossein Ali Montazeri, uno dei grandi padri della Rivoluzione islamica, o di Ali Akbar Wilayati, ex capo della diplomazia iraniana.
E’ utile ricordare che l’ascesa di Ahmadinejad non ha segnato, come era stato per i due mandati presidenziali di Khatami, un round nella lotta tra conservatori e riformisti, ma una tappa della lotta, ai vertici dello Stato, tra le fazioni conservatrici.
Bisogna ricordare che Ahmadinejad aveva battuto il suo avversario conservatore, l’ex presidente Ali Akbar Hachemi Rafsandjani, al secondo turno con l’astensione delle correnti conservatrici che avevano deciso di boicottare le urne? E che il centro del potere si è spostato dalle mani dei gruppi religiosi burocratici conservatori, rappresentati dagli ayatollah tradizionalisti che erano succeduti a Khomeini nei vari ingranaggi di potere, a quelle dei gruppi militar-religiosi ed ultraconservatori, incarnati dalla seconda generazione di grandi ayatollah come Mohammad Taqi Maebah Yazdi, considerato il padre spirituale e mentore ideologico dell’attuale presidente, e degli alti gradi dei Guardiani della Rivoluzione e dei servizi di informazione.
Populismo e provocazione
La crescita dei neo-conservatori in Iran è collegata al fiasco dei neo-conservatori negli Stati Uniti. Tanto più che l’occupazione nordamericana dell’Iraq e dell’Afghanistan in particolare e la politica nordamericana nella regione contribuiscono, in modo evidente, a rendere il discorso neo-conservatore, populista e provocatore di Ahmadinejad seducente agli occhi dell’opinione pubblica iraniana.
Last but not least, nella sua sfrenata competizione con l’omologo nordamericano G.W. Bush, che sostiene di ricevere istruzioni dirette da Dio, Ahmadinejad ribatte accusando l’inquilino della Casa Bianca di ricevere ispirazione soprattutto da Satana, a differenza di lui che non ha altri interlocutori se non Dio onnipotente, che mostra i suoi miracoli a chi crede veramente in lui.
Ecco, per esempio, cosa ha detto testualmente Ahmadinejad in uno dei suoi discorsi trasmessi in diretta: “Qualcuno mi ha domandato: Lei è in comunione? Sì, ho risposto. Un altro mi ha chiesto: Lei è veramente in comunione, e con chi? Con Dio, ho risposto io. E se restiamo credenti, Dio ci mostra i suoi miracoli”.
Miracoli che Ahmadinejad sta ancora spettando…