Repressione e opposizione in Iran
- Dettagli
- Visite: 9713
Iran - Repressione e opposizione della società civile
di Vittorio Agnoletto
L’Iran è indubbiamente uno dei Paesi dove la repressione dei diritti è maggiormente odiosa. Il regime degli ayatollah da trent’anni tiene la società sotto un dispositivo di controllo capillare che reprime qualunque manifestazione di dissenso, qualunque comportamento quotidiano che non rientri nei dogmi dettati dal sistema di leggi: Stato e religione formano un monolite che rende la vita delle persone sempre più infernale.
C’è però da rilevare che, negli ultimi anni, la società civile, pur tra mille comprensibili problemi, sta costruendo una forte opposizione dal basso che rende sempre più difficile la vita del regime.
Recentemente ho visitato l’Iran durante una missione per conto del Parlamento Europeo e il quadro che ne è emerso conferma questa duplice tendenza.
La repressione dei diritti colpisce molte componenti della società. Possiamo tuttavia individuare tre macro soggetti che da sempre sono le principali vittime della dittatura di Teheran e, allo stesso tempo, anche i pilastri dell’opposizione sociale alla dittatura.
Soprattutto le donne
Le donne sono la realtà che ha subito le conseguenze più pesanti dopo la nascita del regime, all’indomani della vittoriosa rivoluzione khomeinista. La legislazione mortifica e reprime duramente qualunque comportamento considerato “blasfemo” e sono numerosi gli esempi che potremmo citare. La famigerata legge di Hodoud, ovvero “legge sull’adulterio”, prevede la flagellazione per le donne e gli uomini non sposati. Nel caso invece si tratti di coniugi, vengono puniti con la lapidazione. La legge dà anche la possibilità alla vittima di poter fuggire nel momento in cui la sentenza sta per essere eseguita, e in tal caso la persona torna libera. Ma mentre per gli uomini la cosa è relativamente “facile” visto che sono sotterrati fino alla vita, per le donne è praticamente impossibile dato che nel loro caso la terra arriva fino al collo! Non si contano le donne che hanno dovuto subire questa orrenda condanna, spesso di fronte ai loro cari, obbligati ad assistere alla terribile esecuzione.
La discriminazione inizia sin dalla tenera età: le bambine possono di fatto essere comperate o vendute con il consenso dei loro tutori maschi. In teoria l’articolo 1041 del Codice Civile prevede il divieto del matrimonio prima della pubertà a meno che (fermo restando il consenso del tutore) “gli interessi del bambino sotto tutela siano debitamente osservati”. Ma la realtà è ben diversa e la pratica di vendere bambine a uomini maturi è assai diffusa.
Anche per quanto riguarda il campo lavorativo le restrizioni sono notevoli. L’85 per cento delle iraniane non ha un lavoro e il 40 per cento delle donne istruite è disoccupato. Sono gli stessi mass media governativi a confermare questi dati. Nell’ottobre del 2007 il quotidiano Khorasasan informava che le donne sono l’11 per cento della popolazione economicamente attiva. È da tenere presente che il 60 per cento dei laureati sono donne. Le statistiche ufficiali ci informano che le unità di produzione industriale sono decisamente poco rosa (1 per cento di presenza femminile!).
Ma nonostante questa situazione, sono molti i segnali che indicano proprio questo settore fondamentale della società iraniana come la maggiore spina nel fianco del regime. Da tempo è in corso una grande campagna per raccogliere un milione di firme a favore dei diritti delle donne e, nonostante la dura repressione delle autorità, che cercano di individuare i punti di raccolta per stracciare i moduli, sono state raccolte decine di migliaia di adesioni.
Discriminazioni etniche
La repressione delle minoranze è un altro dei capitoli più tragici e oscuri dell’Iran. Le minoranze etniche sono oggetto di leggi e pratiche fortemente discriminatorie.
Nel 2007 decine di arabi, molti dei quali donne, sono stati incarcerati. Almeno 36 di loro sono stati condannati a morte o si sono visti condannare a lunghe pene detentive. Alcuni attentati ad Ahavaz e Teheran hanno dato il pretesto a processi farsa terminati, appunto, con molti anni di carcere.
Gli azeri sono un’altra minoranza presente nel Paese. L’anno scorso hanno dato vita a numerose manifestazioni popolari per protestare contro una vignetta satirica, offensiva nei loro confronti, apparsa su un quotidiano governativo. Ironia della sorte, la vignetta vedeva un regime islamista nel ruolo di chi lede la sensibilità altrui. Le agitazioni sono state represse con la violenza e ci sono stati numerosi morti.
I kurdi costituiscono un settore etnico da sempre vittima del regime. Le carceri sono piene di attivisti di questa importante minoranza etnica. Numerosi gli esponenti condannati per il loro impegno. Tra questi Mohammad Sadeq Kabubvand, presidente dell’Organizzazione per i diritti umani in Kurdistan, che si è visto infliggere 18 mesi di reclusione, con sospensione della pena, per “pubblicazione di bugie e articoli finalizzata a suscitare tensioni e contrasti razziali e tribali”. In appello la pena è stata mutata in un anno effettivo di carcere.
I sindacati
Questa nostra breve e schematica analisi si conclude con il mondo sindacale, altra “storica” vittima della repressione di regime. Proprio in questi giorni ci sono stati numerosi appelli, anche dei nostri sindacati confederali, per l’immediata liberazione di Mansour Osanloo, presidente del sindacato indipendente dell’azienda di trasporto urbano di Teheran; di Mahmoud Salesi, sindacalista kurdo e di tutti quei militanti sindacali arrestati unicamente per la loro attività a favore dei lavoratori. Questi, come altri dirigenti sindacali, sono accusati di “minaccia alla sicurezza nazionale”. Una imputazione alquanto odiosa se si pensa che formalmente l’Iran aderisce all’Organizzazione Internazionale del Lavoro. C’è da tenere presente che nel Paese il sindacato nasce nel lontano 1968 ed è attivo fino al 1993. Negli ultimi quindici anni ha dovuto subire gli attacchi de “La casa del lavoro”, un partito filo governativo che si è autoarrogato, con il benestare governativo, la rappresentanza esclusiva del mondo del lavoro.
In conclusione, il quadro generale che emerge è innegabilmente drammatico. Il Paese vive in una cappa di piombo. Nel 2007 le esecuzioni capitali sono state 177, e si tratta di un numero che molto probabilmente è inferiore alle reali condanne a morte eseguite.
La speranza di un cambiamento, di un futuro migliore, è rappresentata dalla società civile e dal grande numero di giovani. Elemento, quest’ultimo, che alla lunga potrebbe rendere sempre più precaria la stabilità della dittatura.
È bene aggiungere che qualunque avventura militare potrebbe essere un insperato regalo al regime.
La fine di un’epoca tremenda e oscura, l’affermazione di forze realmente democratiche potrà avvenire solo sotto la spinta della società civile iraniana e dalla necessaria solidarietà militante dei movimenti globali.