Irib, 12 gennaio 2014 (trad. ossin)



Sharon: una vita con una scia di sangue

Raoul Marc Jennar



Le frasi pronunciate da François Hollande dopo la morte di Sharon riflettono il partito preso dei socialisti francesi del PS in favore delle politiche del governo di Israele. I commenti di una gran parte dei media dimenticano ovviamente quella che pure è stata la realtà della vita di quest'uomo che avrebbe dovuto essere giudicato per crimini contro l'umanità. Ma che, come ogni altro Israeliano responsabile di crimini di massa, beneficia scandalosamente dell'impunità più totale e della comprensione di un enorme numero di giornalisti.

E' stato proprio per sottrarsi alla Giustizia e proteggere Sharon che gli USA e Israele hanno esercitato forti pressioni sul Belgio perché abrogasse la sua legge detta di "competenza universale", che avrebbe consentito ai sopravvissuti di Sabra e Chatila di ottenere giustizia davanti ai tribunali belgi. E' proprio per fare in modo che i crimini commessi dall'esercito israeliano in Libano e nei territori palestinesi occupati non siano giudicati, che gli USA hanno preteso che la competenza della Corte Penale Internazionale (CPI) riguardasse solo fatti commessi successivamente alla sua istituzione, nonostante che il diritto penale internazionale sancisca la imprescrittibilità dei crimini di genocidio, dei crimini di guerra e dei crimini contro l'umanità. Non degli USA però che, come Israele, hanno sempre rifiutato di ratificare il trattato istitutivo della CPI.


Ecco la biografia di Sharon, come l'avevo riassunta nel 2002 in un documento che avrebbe dovuto essere utilizzato nel processo di Bruxelles, se le autorità belghe non avessero ceduto alle pressioni di USA e Israele. Io avevo, tra il 1999 e il 2002, effettuato una inchiesta approfondita sui massacri di Sabra e Chatila, anche recandomi diverse volte in Libano. il 18 giugno 2001, a Bruxelles, 23 persone hanno depositato una denuncia, con costituzione di parte civile, in applicazione della legislazione belga relativa alla repressione delle più gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, quali gli atti di genocidio, i crimini contro l'umanità e in danno di persone e beni protetti dalle Convenzioni di Ginevra firmate il 12 agosto 1949. I denuncianti si sono costituiti parte civile contro i signori Ariel Sharon, Amos Yaron e gli altri responsabili israeliani e libanesi dei massacri, le stragi, gli stupri e sequestri di civili che ebbero luogo a Beirut, da giovedì 16 a sabato 18 settembre 1982, nei campi di Sabra e Chatila. La denuncia non ha avuto seguito.


Quando il fine giustifica i mezzi...
Durante la campagna elettorale, inizio 2011, Ytzhak Berman, che fu ministro dell'energia nel secondo governo guidato da Menachem Begin e collega di Sharon, confidò al giornale Ha'aretz: "Ho immaginato che Sharon sarebbe stato un giorno candidato al posto di Primo Ministro? La mia risposta è no. Non credo che Sharon sia cambiato. Ma la maggioranza dei cittadini di questo paese non si sente affatto coinvolta dalla Storia. Quello che è successo prima non ha alcuna importanza. Io penso addirittura che la gente non si ricordi nemmeno della guerra in Libano".

Vien voglia di sfumare l'affermazione segnalando che la memoria dei popoli è assai spesso selettiva e che, in tutte le latitudini, ci si premura di dimenticare quello che dà fastidio, con lo stesso impegno che si mette nel ricordo di quanto sia utile al momento.  Si deve anche constatare che l'attuale governo israeliano non fa niente per restituire fedelmente la narrazione degli avvenimenti del 1982-1983. La biografia ufficiale del Primo Ministro Sharon è stranamente muta sugli atti e i discorsi del Ministro della Difesa Sharon nel 1982-1983. Conviene dunque, prima di definirne la personalità, ricordare tutte le tappe della sua vita, servendosi della sua propria autobiografia, oltre che di tutte le altre fonti disponibili.


1. Dall'Unità 101 a Sabra e Chatila: il percorso di un uomo di guerra
(I numeri tra parentesi rinviano alle pagine dell'edizione del 2001, in inglese, dell'autobiografia di Sharon, intitolata in modo assai significativo Warrior - guerriero in italiano, ndt - New York, Simon and Schuster, 1984 e Touchstone, 2001)


Ariel Scheirnerman nacque nel 1928 nel villaggio - un moshav - di Kfar Malal, a 25 chilometri a nord est di Tel Aviv, preferito dai suoi genitori ad un kibbutz perché potevano "essere proprietari delle loro terre" (p.14). Suo padre, Samuel, è agronomo di formazione. La madre, Vera, non ha potuto terminare i suoi studi di medicina, dopo il trasferimento dalla Russia. Il giovane Ariel partecipa attivamente ai lavori della fattoria. Vent'anni dopo, quando Ben Gourion esigerà che gli ufficiali portino un nome ebraico, sceglierà di chiamarsi Sharon.

Ha quattordici anni quando presta il giuramento di adesione alla Haganah, pieno di ammirazione per i gruppi terroristi ebraici Irgoun e Stern, che definisce "organizzazioni militari clandestine" (p.33 e 37). Tre anni dopo partecipa a un corso segreto di formazione militare di due mesi organizzato dalla Haganah (ebraico: "La Difesa", ההגנה, è il nome di un'organizzazione paramilitare ebraica in Palestina durante il Mandato britannico, è stata il nucleo delle moderne Forze di Difesa Israeliane -צה"ל - ossia le forze armate dello Stato d'Israele, ndt) ai bordi del deserto del Neguev. Al termine del corso, destinato ai futuri capi di gruppi, egli è nominato "soldato di prima classe", e non caporale come avrebbe sperato (p.35). Viene quindi integrato nelle forze di polizia che proteggono le zone con popolazione ebraica.
Dopo gli studi secondari in un liceo di Tel Aviv, si è appena iscritto alla Facoltà di Agronomia dell'Università Ebraica di Gerusalemme, quando nel dicembre 1947 viene mobilitato in permanenza nella Haganah dopo l'adozione da parte dell'ONU del piano di spartizione della Palestina. Distintosi nella conquista del villaggio palestinese di Bir Addas, viene promosso capo sezione. Dopo la dichiarazione di indipendenza di Israele, il 14 maggio 1948, la sua sezione, che è parte del 32° battaglione della Brigata Alexandroni, viene integrato nella 7° Brigata, creata per assumere il controllo di Latrun, una città strategica sulla strada per Gerusalemme. La battaglia di Latrun è la più importante della guerra 1948-1949. Sharon viene ferito durante il primo attacco, il 26 maggio. Ritorna al battaglione in luglio e partecipa a tutti i combattimenti come ufficiale di ricognizione, fino al cessate il fuoco del 1949.


 
La Nakba, la fuga dei profughi palestinesi dal terrorismo sionista


Il nuovo Stato ebraico organizza il suo esercito, battezzato Forze di Difesa di Israele (FDI). Sharon comanda la compagnia di ricognizione della Brigata Golani. Nel 1950 la sua dimestichezza con le "tecniche aggressive di ricognizione e di informazione" (p.69) gli vale la promozione a capitano. Viene poi assegnato come ufficiale dei servizi di informazione al quartier generale del Comando Militare Centrale. L'anno successivo è nominato capo dei servizi di informazione del Comando del settore Nord. Nel 1952 si iscrive alla facoltà di Storia del Medio Oriente, all'Università Ebraica di Gerusalemme, mantenendo il comando di un battaglione della riserva.


Qibya, Gaza
L'anno successivo, a fine luglio, fa una scelta decisiva. Rinuncia ai suoi studi e accetta la proposta del comandante in capo delle FDI di creare una unità speciale antiterrorista altamente qualificata, della quale riceve il comando. Questa unità viene battezzata "Unità 101".

Dopo una addestramento intensivo, questa unità comincia a operare contro quelle che Sharon chiama le "gang arabe" e i "terroristi" (p.85-86).  A fine agosto uccide 20 rifugiati del campo di Burayi nella striscia di Gaza.

Il 13 ottobre 1953 viene lanciata una granata in una casa della colonia israeliana Yehud, non lontano dalla frontiera con la Giordania (oggi Cisgiordania). Una madre e i suoi due figli restano uccisi. Ben Gurion e i capi delle FDI affidano una operazione di rappresaglia a Sharon nel villaggio palestinese di Qibya. L'Unità 101 penetra nel villaggio nella notte dal 14 al 15 ottobre e getta delle granate nelle case. Il risultato è un massacro collettivo del quale parla il giornale Ha'aretz il 26 ottobre: "Hanno sparato su ogni uomo, donna e bambino che hanno trovato. E alla fine anche sulle mandrie di vacche. Fecero poi saltare in aria con la dinamite quarantadue case, una scuola e una moschea". Sessantanove persone vi trovarono la morte, principalmente donne e bambini. Il Dipartimento degli Stati uniti, il 18 ottobre, dichiara che i responsabili "dovranno renderne conto". Il 25 novembre il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, unanime, condanna Israele per il massacro. Ben Gurion si felicita con Sharon. L'Unità 101 incarna la volontà di Israele di imporsi nella regione (p.90-91).

L'Unità 101 si fonde con una unità di paracadutisti. Sotto il comando di Sharon, questi commando si danno lustro con operazioni particolarmente sanguinose.
Come rappresaglia per gli attacchi dei fedayn provenienti da Gaza, i commando di Sharon, a fine febbraio 1955, attaccano il quartiere generale dell'esercito egiziano a Gaza, durante un'operazione battezzata "freccia nera". Trentotto soldati egiziani vengono uccisi nel sonno. In dicembre una operazione battezzata "foglie d'oliva" contro posizioni siriane lungo il lago Tiberiade si conclude con la morte di cinquantasei soldati siriani. Perfino Ben Gurion trova che queste azioni abbiano avuto "troppo successo" (p.126), ma Sharon nel suo libro non spiega il significato di questo strano apprezzamento.

Nell'ottobre 1956, poco prima della campagna del Sinai, un attacco israeliano guidato da Sharon contro il quartier generale delle forze giordane a Kalkilia provoca un fondamentale dibattito sui metodi di dissuasione da utilizzare contro le operazioni definite terroriste. Sharon prende posizione a favore dell'occupazione di nuovi territori.


Il Sinai
Durante la campagna del Sinai, Sharon, le unità sotto il cui comando formano oramai la Brigata 202, disobbedisce agli ordini e fa entrare i suoi uomini, al comando dei capi di battaglione Motta Gur e Rafael Eytan (battaglione 890), nel Passo di Mitla, dove cadono in una imboscata egiziana. Quando i soldati israeliani, a costo di pesanti perdite, riescono ad avere ragione dei nemici, massacrano i 49 Egiziani che avevano fatto prigionieri e legati. Venticinque operai del dipartimento egiziano della manutenzione stradale, con le mani legate, vengono anch'essi abbattuti. Quando la brigata di Sharon prosegue nella sua avanzata oltre il passo di Mitla, verso lo stretto di Charm el Cheik, a Ras Sudar, il battaglione 890 massacra i 56 occupanti - civili - palestinesi di un camion incrociato lungo la strada. Poco oltre, a al-Tur, a 15 km dallo stretto, il 4 novembre, incontra un reggimento egiziano in fuga e massacra 168 soldati. Venne aperta un'inchiesta dalle autorità militari, ma riguardava solo l’atto di disobbedienza di Sharon al Passo di Mitla. Protetto da Ben Gurion, non venne condannato, anche se la sua carriera ne risentì sensibilmente.

Nel settembre dell'anno successivo frequenta un corso all'Accademia militare di Kimberley, nel Surrey, in Gran Bretagna e al rientro, due mesi dopo,  viene promosso colonnello. Come tutti gli altri ufficiali del suo rango all'epoca, si iscrive al partito laburista (p.224). Poco dopo viene nominato Comandante della scuola di fanteria, con contestuale affidamento del comando di una brigata di fanteria della riserva. intraprende anche gli studi alla facoltà di Diritto dell'università ebraica di Tel Aviv.

Nel 1964 viene nominato capo di Stato Maggiore del comando del settore Nord e due anni dopo riceve il grado di Maggiore-Generale e va al comando del dipartimento di formazione militare con contestuale comando di una divisione blindata della riserva, riuscendo anche, nello stesso anno, a conseguire la laurea in Diritto.

Alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni viene trasferito nel Neguev. I suoi exploit militari durante questa guerra-lampo gli valgono una grande popolarità in Israele e nelle comunità ebraiche all'estero. Quando riprende la direzione del dipartimento di formazione militare, procede al trasferimento immediato nei Territori occupati (p.208-209) di tutti gli stabilimenti posti sotto la sua autorità (scuola di fanteria, del genio, della polizia militare, dei paracadutisti...).

In conflitto con Bar-Lev, il Comandante in capo delle FDI, gli viene rifiutata la richiesta di essere integrato nelle FDI. Allora fa conoscere la sua intenzione di iscriversi al partito liberale federato a Herut, il partito di Menachem Begin, e di candidarsi alle successive elezioni del 1969. In conseguenza di ciò, viene integrato nelle FDI e ottiene, dopo le elezioni, il posto di Comandante del Settore Sud, competente anche sulla Striscia di Gaza.

Quando nel settembre 1970 l'esercito giordano massacra migliaia di Palestinesi nei pressi di Amman, la Siria interviene militarmente. Gli USA chiedono a Israele di esercitare una minaccia sulla Siria che, a questo punto, si ritira dalla Giordania. Sharon disapprova l'appoggio dato alla monarchia hascemita. Secondo lui la sua caduta avrebbe consentito la creazione di uno Stato palestinese (p.246) in Giordania.


La striscia di Gaza
Nel 1971, sotto il suo comando, vengono creati quelli che il giornalista israeliano Yigal Mosko (Kol Ha'ir, 30 giugno 1995) chiama gli "squadroni della morte di Ariel Sharon". Si tratta di unità del Sayeret Matkal (forze speciali di ricognizione, ndt), costituite in commando di paracadutisti che parlano arabo, senza uniforme e autorizzati a commettere omicidi, vale a dire uccidere gente non in corso di combattimento. Dal luglio 1971 a febbraio 1972, assassinano 104 Palestinesi. Queste unità operano soprattutto nella Striscia di Gaza, dove vengono distrutte migliaia di case nei campi dei rifugiati palestinesi (2000 nel solo mese di agosto 1971). Vengono otturati dei pozzi d'acqua. Sharon vi istalla 4 colonie. Centinaia di Palestinesi, compresi donne e bambini, vengono arrestati.

Avendo compreso che non avrebbe mai ottenuto il posto di capo di Stato Maggiore, Sharon lascia il servizio attivo nel 1973 e assume il comando di una divisione blindata della riserva. E' al suo comando durante la guerra di ottobre e le fa attraversare il canale di Suez verso l'Egitto, rovesciando così il corso della guerra sul fronte egiziano. Per molti Israeliani, diventa "il re Aik".


Un guerriero in politica
Poco prima della guerra del Kippur, lancia un appello all'unione dei partiti all'opposizione dei Laburisti e conduce, insieme a Menachem Begin, dei negoziati che portano alla creazione del Likud. A fine dicembre, mentre era ancora al comando della sua divisione sulla riva ovest del Canale di Suez, viene eletto deputato alla Knesset nella lista del Likud. Un anno dopo, deluso dalla vita parlamentare, dà le dimissioni da parlamentare (p.341-342).

Si dedica ai suoi lavori agricoli quando, in giugno, il primo ministro Rabin gli propone il posto di consigliere speciale per le questioni della sicurezza. Scoppia la guerra civile in Libano, Sharon raccomanda di impedire qualsiasi presenza siriana nel paese (p.423). E' a questo punto che Israele comincia ad appoggiare il Maggiore Saad Haddad (p.424). Rabin e Peres, ministro degli affari esteri, annodano dei rapporti con i dirigenti cristiani libanesi. Nello stesso tempo Sharon prepara un piano di colonizzazione ebraica della Cisgiordania.

Avendo gustato il potere, Sharon vuole volare con le sue ali. Nel febbraio 1976, mentre il governo è indebolito da alcuni scandali, lascia Rabin e, contro il parere della maggior parte dei suoi amici, crea un suo proprio partito: il Shlomzion (Pace per Sion). Subito si rende conto delle scarse possibilità di riuscita (p.348-353). Tenta allora, ma troppo tardi, di fondersi col Likud. Lo Shlomzion guadagna solo 2 seggi alle elezioni del 1977. Il grande vincitore è il Likud. Il 15 luglio il primo governo Begin entra in carica., Sharon è ministro dell'agricoltura, carica cui si aggiunge, a sua richiesta (p.354), la presidenza del comitato ministeriale per la colonizzazione dei Territori occupati. In ottobre fa approvare, nonostante le reticenze di Begin, un piano di colonizzazione massiccia della Cisgiordania e dei dintorni di Gerusalemme. Realizza in questo modo il progetto a cui pensava da dieci anni (p.361). A più riprese Sharon si fa portavoce di Gush Emunim (Il Blocco dei credenti), gruppo di estremisti religiosi ultra-nazionalisti, a proposito dei quali "sente una profonda identificazione col loro tentativo di creare una comunità ebraica nella patria ebraica storica" (p.362) e ai quali vuole assicurare "il diritto di vivere nella Israele storica" (p.368).Quattro anni dopo, ci saranno 64 altre nuove colonie in Cisgiordania. Intensifica anche il ripopolamento ebraico della Galilea senza preoccuparsi dei diritti delle popolazioni palestinesi che vi vivono.

L'anno successivo Begin e Sadat firmano, con Jimmy Carter, gli Accordi di Camp David. Sharon si oppone alla parte relativa all'autonomia accordata ai Palestinesi. Pensa che potrebbe avere gli effetti della Dichiarazione Balfur per i Palestinesi e portare alla creazione di un secondo Stato Palestinese oltre la Giordania, cosa che è totalmente inaccettabile ai suoi occhi. "La Giudea, la Samaria e Gaza sono parte integrante dello Stato di Israele" e l'autonomia accordata non può riferirsi che alle persone, senza concedere loro la minima sovranità territoriale (p. 402-406). A partire da aprile 1980, il ministro dell'Agricoltura e delle colonie di ripopolamento si impegna, con Begin, a convincere il governo della necessità di distruggere il reattore nucleare iracheno di Osirak. Quattordici mesi dopo è cosa fatta.

La legislatura si chiude e, nel giugno 1981, durante la campagna elettorale, Sharon organizza, per 300.000 persone, lo "Sharon Tour": visita delle montagne dei Territori occupati per convincere gli elettori della loro importanza strategica e della necessità di annettere la Cisgiordania. Dopo le elezioni, diventa ministro della difesa nel 2° governo Begin, nonostante l'opposizione di numerosi esponenti del Likud che lo considerano pericoloso.

Ancora prima di assumere le nuove funzioni, si oppone al cessate il fuoco negoziato da Philip Habib, diplomatico statunitense, per porre fine agli attacchi dell'OLP nel Libano del sud (controllato da Haddad) e in Galilea e alle rappresaglie israeliane. Prima che l'Egitto riottenga la sovranità sul Sinai, in seguito agli accordi di Camp David, fa distruggere completamente la città ebraica di Yamit, costruita dieci anni prima, perché non diventi una città egiziana. In ottobre chiede allo Stato Maggiore delle FDI di preparare i piani di invasione del Libano. Essi si fermano a metà dicembre (p.436-437). Favorisce la cooperazione militare con alcuni paesi africani come il Sudan di Nimeiry, il Congo di Mobutu e l'Africa del Sud dell'apartheid, ma anche con le Giunte militari del Guatemala e di El Salvador. In dicembre firma il primo accordo di cooperazione strategico con gli USA.

L'anno 1982 è dedicato interamente all'invasione del Libano che porta al massacro di Sabra e Chatila e alla creazione di una commissione di inchiesta per la pressione di 400.000 manifestanti. L'8 febbraio 1983 la Commissione Kahan pubblica il suo rapporto. Sharon la considera come il "marchio di Caino sul popolo ebraico" (p.520) e di un "tradimento" (p.523). Il Consiglio dei Ministri approva il Rapporto Kahan con 16 voti contro 1, quello di Sharon. il 14 febbraio vengono accettate le sue dimissioni da ministro della Difesa, ma egli rifiuta di lasciare il governo, dove resta come ministro senza portafoglio. Sei giorni dopo viene reintegrato nel comitato ministeriale di difesa e dei negoziati sul Libano. Il 21 febbraio il settimanale statunitense Time Magazine pubblica un articolo nel quale riferisce che, durante l'incontro del 15 settembre 1982 tra Pierre e Amin Gemayel e Sharon, quest'ultimo avrebbe discusso "della necessità per i falangisti di vendicare l'assassinio di Bechir Gemayel". Sharon querela Times per diffamazione e chiede 50 milioni di dollari USA per danni e interessi davanti a un tribunale di New York. Sostiene che il Rapporto Kahan ha stabilito una sua responsabilità indiretta nei massacri. Un incitamento alla vendetta significherebbe una responsabilità diretta. Nega di avere avuto questo colloquio. Sei mesi dopo le dimissioni di Begin, si candida col Likud contro Shamir e ottiene il 42,5 % dei voti. Diventa uno dei leader influenti del Likud.


2. La Grande Israele, a qualsiasi prezzo
La storia militare ha avuto uomini eminenti e rispettabili, perfino per coloro che non subiscono per nulla il fascino dell’arte della guerra. Non li si è mai confusi però con questi assassini vestiti in uniforme che spuntano nelle situazioni di crisi. Non si può paragonare l’itinerario di Sharon a quello dei brillanti militari che hanno lasciato il loro nome alla Storia. Egli fu certamente in qualche caso uno stratega audace capace di colpi di genio, uno po’ alla maniera di Patton. Ma non ci si può accontentare dell’immagine di simpatico soldato che la maggior parte dei media occidentale ha dato di lui. Questi ritratti non sono sufficienti a descrivere il personaggio. Occorre aggiungervi dei tratti molto meno simpatici che lo fanno assomigliare a quei generali che si sono affrontati durante la guerra di Jugoslavia, i cui sogni nazionalisti non potevano realizzarsi se non attraverso l’eliminazione fisica di chiunque trovassero sul cammino.


Il sogno di Sharon, non lo ha mai nascosto e la sua autobiografia lo conferma, è il sionismo compiuto, è Eretz Israel, il Grande Israele, dal Mediterraneo alla Giordania, che incorpora la Cisgiordania (sempre indicata coi nomi biblici di Giudea e Samaria) e Gaza (p. 402). Certamente non è l’unico nel suo paese a pensarla così. L’estremista di destra Sharon non è diverso dal  socialdemocratico Shimon Peres che, nel momento in cui il piano Sharon di colonizzazione dei Territori occupati diventava realtà, dichiarava, come leader dell’opposizione: “Non c’è alcuna discussione in Israele a proposito del nostro diritto storico sulla terra di Israele. Il passato è immutabile e la Bibbia è il documento decisivo che determina il destino della nostra terra” (New York Times, 6 agosto 1978).


Ma la caratteristica di Sharon è la sua propensione a tradurre in atti che grondano sangue una convinzione che nega l’esistenza del popolo palestinese e che intende, con tutti i i mezzi, distruggere il nazionalismo palestinese in qualsiasi forma.

L’ostacolo al sionismo di Sharon sono le popolazioni che abitano da secoli questi territori. Quando parla di “civili”, non li chiama mai “Palestinesi” ma sempre “Arabi”. E il loro posto, secondo lui, si trova in Giordania. Quando parla di combattenti palestinesi, negando loro qualsiasi diritto di resistenza, li definisce sistematicamente “terroristi”, al punto da farne una specie di sinonimo dei Palestinesi.

I campi dei rifugiati, anche quando non v’è alcuna presenza militare, sono necessariamente ai suoi occhi dei “campi terroristi”.

Non bisogna dunque meravigliarsi della lezione che Sharon trae dai massacri che ha perpetrato a Qibya. Mentre il mondo intero si commuove alla vista delle vittime, Sharon considera che “il raid di Qibya fu una svolta (…) Le FDI erano nuovamente capaci di trovare e colpire degli obiettivi in profondità oltre le linee nemiche (…) con Qibya metteva radici una nuove senso di fiducia in sé” (p.90)


Quello che domina la biografia di Sharon, come quelle di Ben Gurion di Golda Meir, di Menachem Begin e di Yitzhak Shamir, i primi ministri coi quali ha lavorato e ai quali fa riferimento, è il disprezzo del Palestinese spinto fino al più estremo limite: la sua negazione che autorizza la sua eliminazione e fonda una logica di massacro di Stato.

La sua autobiografia ne fa fede, egli condivide senza riserve il discorso di Ben Gurion, il fondatore dello Stato di Israele che, a proposito di quanto occorreva fare contro i Palestinesi che resistevano alla politica di Israele, notava sul suo giornale: “Fare saltare una casa non basta. Quello che occorre sono reazioni crudeli e forti (…). Noi dobbiamo colpire senza pietà, anche le donne e i bambini. Altrimenti le reazioni non sono efficaci. Quando si reagisce, non si può distinguere tra colpevoli e innocenti” (1 gennaio 1948), o di Golda Meir, primo ministro, che dichiarava al Sunday Times (15 giugno 1969): “Non c’è un popolo palestinese… non esistono”, o ancora Menachem Begin che non esitava a dichiarare alla tribuna del parlamento israeliano l’8 giugno 1982: “I Palestinesi sono animali a due zampe”.


Uno dei tanti bambini palestinesi uccisi a Sabra


Ma nemmeno questo bastava a Sharon. Egli non crede ai vincoli giuridici. Non crede che Israele possa affidare la sua sicurezza ad accordi e garanzie internazionali. Al “sionismo politico” di Begin preferisce il “sionismo pragmatico” che gli ha insegnato il padre e che si fonda sulla convinzione che niente può realizzarsi con accordi di diritto, se non ci si è assicurati nello stesso tempo delle garanzie sul campo (p.392). Come Ben Gurion, Sharon è il fautore del fatto compiuto – imposto con la forza delle armi. L’uomo che non esita a dichiarare: “I nostri avi non sono venuti qui per costruire una democrazia, ma per costruire uno Stato ebraico” (Forward, 21 maggio 1993) non  si preoccupa affatto delle regole di diritto che rendono civili le società umane.

Ricordando la necessità di impossessarsi delle terre e di agire concretamente, scrive nella sua autobiografia di condividere la formula che si ripeteva nella cerchia familiare: “Non parlare di questo, fai in modo che questo accada” (p.279).


Appena nominato ministro della Difesa, Sharon ha fatto preparare dei piani per l’invasione del Libano. Il suo obiettivo era triplice: secondo quanto egli stesso ha dichiarato, si trattava di distruggere l’OLP. Ma un secondo obiettivo spiega meglio la barbarie organizzata dalle FDI. Infatti la campagna “La Giordania è la Palestina” è venuta a confermare le affermazioni secondo cui uno degli obiettivi di Israele nella guerra del Libano era l’espulsione di tutti i rifugiati palestinesi verso la Giordania per provocare la caduta del re Hussein e realizzarvi lo Stato palestinese. Infine Sharon riprendeva un progetto già formulato da Ben Gurion, il fondatore dello Stato di Israele. Nel maggio 1948, durante una discussione sulle strategie da mettere in atto nella guerra contro i paesi arabi, Ben Gurion dichiarava allo Stato maggiore della Haganah: “… Dobbiamo prepararci a passare all’offensiva… il punto debole è il Libano(…). Deve essere istituito uno Stato cristiano che abbia come frontiera sud il fiume Leonte. Noi faremo alleanza con esso…”. L’invasione del Libano nel 1982 intendeva anche istituire un protettorato libanese controllato dalla famiglia Gemayel. Sharon non ha raggiunto alcuno dei suoi obiettivi. Ma, per contro, decine di migliaia di persone sono morte tra sofferenze indicibili.


Amos Perlmuytter, specialista israelo-statunitense di storia militare e analista delle questioni strategiche, scriveva sul Foreign Affairs (autunno 1982): “Begin e Sharon condividono lo stesso sogno: Sharon è lo scagnozzo di questo sogno. Il sogno è quello di annientare l’OLP, di spegnere anche il più piccolo segno di nazionalismo palestinese, di distruggere gli alleati e i partigiani dell’OLP in Cisgiordania e, alla fine, di ricacciare i Palestinesi verso la Giordania e di paralizzare, se non di porre fine, l movimento nazionalista palestinese. Era questo per Begin e Sharon l’obiettivo ultimo della guerra del Libano”.


In termini più essenziali, bisogna convenire, con Annette Levy-Willard, che “Sharon è il più rappresentativo esponente di quella generazione di Israeliani per i quali – come Begin – le parole Ebrei, Israele, sicurezza giustificano qualsiasi ragione di Stato e qualsiasi immoralità… non importa quali mezzi si utilizzano per raggiungere i fini (Liberation, 11 febbraio 1983)


Philip Habib, che fu una specie di anti-Kissinger della diplomazia statunitense, dichiarava dopo i massacri: “Sharon è un assassino, animato da odio contro i Palestinesi. Io avevo dato ad Arafat garanzie che i Palestinesi non sarebbero stati toccati, ma Sharon non le ha onorate. Una promessa di quest’uomo non vale niente (…) E’ il più grande bugiardo di questa parte del Mediterraneo”.


Tutta la carriera di Ariel Sharon dimostra che egli ha condiviso con alcuni altri leader e una parte del suo popolo la convinzione che la sicurezza di Israele richiede una estensione del suo territorio  fino ai limiti biblici della Palestina, la più ampia omogeneità demografica e la trasformazione del Libano in un protettorato governato da una dittatura falangista. La storia di Israele, dal 1947 ai giorni nostri, come la biografia di Ariel Sharon, forniscono informazioni incontestabili sui certi metodi ai quali una parte della classe politica e dell’establishment militare non hanno avuto alcuno scrupolo a ricorrere per realizzare questi obiettivi: la conquista militare di nuovi territori, la pulizia etnica col terrore, l’invasione e l’occupazione del Libano dopo diversi anni di ingerenze e di raid militari, l’assimilazione delle popolazioni civili al nemico.


E’ quanto ha constatato la Commissione MacBride: “In altri termini, l’attuale leadership dello Stato di Israele è stata direttamente coinvolta nelle politiche terroriste contro la popolazione civile palestinese. La Commissione conclude che i massacri di Sabra e Chatila costituiscono solo un esempio culminante di questo tipo di coinvolgimento, rafforzando così il nostro giudizio che lo Stato di Israele, i suoi dirigenti civili e militari, in quanto responsabili ufficiali, sono responsabili giuridici di questi avvenimenti e della terribile tragedia che hanno provocato”.


Fin dall’inizio della sua carriera, Sharon ha scelto di perseguire simili obiettivi e simili metodi. Maestro nell’arte di imporre il suo punto di vista con la forza, dopo averlo nascosto o mentito, egli ha molto spesso posto la gerarchia militare, il primo ministro, i suoi colleghi di governo e i più fedeli alleati del suo paese davanti a fatti compiuti. Si è quasi sempre sforzato di imporre soluzioni militari ai problemi politici.


Guardati sotto questa luce, la storia di Israele e la vita di Sharon fanno apparire i crimini perpetrati a Sabra e Chatila, non come un incidente, non come una eccezione sfortunata, ma piuttosto come una tappa di un lungo susseguirsi di azioni militari estremamente costose in termini di vite umane e ampiamente distruttive, combinate a operazioni continuate di massacri destinate a terrorizzare e a far fuggire popolazioni cui si nega il diritto di esistere, beffeggiate nei loro diritti fondamentali e nella loro dignità fino al punto da essere trattate come “untermenschen” (i popoli inferiori nell’ideologia nazista, ndt), dei quali si giustifica l’eliminazione definendoli sistematicamente “terroristi”. Come ha scritto Thomas Friedman, “i soldati israeliani non hanno visto civili innocenti in procinto di essere massacrati e non hanno inteso le urla dei bambini innocenti ammazzati. Quello che hanno visto è stata ‘l’infestazione terrorista’ che è stata ‘spazzata via’  e degli ‘infermieri terroristi’ che fuggono e dei ‘ragazzi terroristi’ che tentano di difendersi e quelle che hanno inteso sono le urla di ‘donne terroriste”.


Robert Fisk ricorda, nel suo giornale, che Anna Frank ha descritto come Utrecht sia stata “ripulita” dagli Ebrei dai Tedeschi. Come se gli Ebrei fossero “scarafaggi”! si indignava. “Ripulire”, il verbo usato da Sharon e Eytan a proposito dei Palestinesi. “Scarafaggi”, la parola usata da Eytan alla Knesset nell’aprile 1983 per indicare i Palestinesi dei Territori occupati…      
  
Menahem Begin aveva scritto nelle sue Memoria che il massacro di Deir Yassine era una “vittoria”, Sharon, poco prima di Sabra e Chatila, aveva invitato i Palestinesi di ricordarsi di Deir Yassine. Su ordine di Sharon, attraverso l’azione coordinata delle Forze di Difesa di Israele e delle milizie cristiane libanesi, Sabra e Chatila sono state trasformate in campi di sterminio.


Simili pratiche non dovrebbero avere spazio in un mondo dove dovrebbero imporsi e prevalere i valori fondativi dell’umanità. Queste pratiche sono proibite. E non possono essere consentite a seconda delle opportunità politiche del momento, a seconda se i massacratori siano o meno amici di questo o quel paese. Esse devono essere sanzionate in tutte le latitudini e chiunque siano i responsabili. Gli uomini che se ne assumono la responsabilità attentano all’umanità intera e devono essere giudicati e puniti “per difendere l’onore e l’autorità di chi è stato offeso, perché l’assenza di punizione non comporti la degradazione delle vittime”, come invitava Grotius, il padre del diritto internazionale, citato nel corso del processo di Gerusalemme contro Eichmann.


Per l’onore di Israele e del popolo ebraico, 400.000 persone sono scese in piazza a Tel Aviv per rifiutare l’inaccettabile. Vi è stato un Yeshayahu Leibovitz, professore all’Università ebraica ed editore dell’Enciclopedia Ebraica, che ha dichiarato: “Il massacro è stato fatto da noi. I Falangisti sono nostri mercenari esattamente come gli Ucraini, i Croati e gli Slovacchi furono i mercenari di Hitler, che li aveva organizzati come soldati per fare il lavoro sporco. Allo stesso modo, noi abbiamo organizzato gli assassinii in Libano per uccidere i Palestinesi”.


Resta adesso di trovare dei magistrati coraggiosi. Poco importa dove, purché giudichino in nome dell’umanità assassinata da Sharon. Perché “gli assassini moderni, servitori dello Stato, autori di omicidi in serie, devono essere perseguiti in quanto hanno violato l’ordine dell’umanità”, insisteva Hanah Arendt in conclusione della sua riflessione sul processo Eichmann. 
     

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