Electronicintifada.net/blog, 4 giugno 2015 (trad. ossin)


Orange fa profitti con le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata

Le menzogne di Orange per giustificare la propria complicità nei crimini di guerra di Israele

Ali Abunimah


Di fronte alla crescente pressione della campagna internazionale di boicottaggio, il presidente-direttore generale del gigante francese della telecomunicazione Orange, afferma che la sua impresa vorrebbe porre fine ai suoi rapporti con la filiale israeliana Partner Communications. Però Stephane Richard afferma che, a causa degli obblighi contrattuali, non sarà possibile fare niente. E’ una scusa bidone


“Credetemi, se ne avessi la possibilità, procederi alla risoluzione del contratto già domani”, ha affermato mercoledì al Cairo, a margine di una intervista accordata al suo arrivo mercoledì al Daily News Egypt, nell’ambito di una conferenza stampa avente ad oggetto il boicottaggio contro la sua filiale Mobinil.

Le sue dichiarazioni e commenti non sono passati inosservati e hanno provocato una reazione violenta dei responsabili israeliani.

Occorre ricordare che BDS Egypte ha lanciato, il mese scorso, una campagna di boicottaggio di Mobinil, detenuta al 99% da Orange.

Con almeno 33 milioni di clienti di Mobinil, l’Egitto è considerato come uno dei più grandi mercati della società francese.


Guadagnare coi crimini israeliani

Orange è presente in Israele attraverso un contratto di franchising con la società privata Partner Communications Ltd. Quest’ultima versa delle royalty a Orange e una parte dei profitti per l’uso del logo.

Secondo una inchiesta pubblicata il mese scorso da un gruppo franco-palestinese di organizzazioni sindacali e di difesa dei diritti dell’uomo, Orange è complice, in virtù di questo accordo, alla sistematica violazione dei diritti dei Palestinesi.

Ma la cosa che ha indubbiamente suscitato più indignazione è il fatto che Orange Israele è lo sponsor diretto e ufficiale di due unità militari israeliane, una delle quali altro non è se non la brigata blindata Ezuz, protagonista di alcuni degli episodi più sanguinosi dell’offensiva lanciata l’estate scorsa contro Gaza e che ha ucciso più di 2200 Palestinesi.

Fatto degno di nota, il governo francese detiene ¼ delle azioni di Orange, ciò che fa di esso un beneficiario diretto delle attività economiche in quelle colonie che pure (il governo francese) considera illegali.

Direttamente o attraverso le sue filiali, Orange conta circa 250 milioni di clienti in decine di paesi e opera attraverso diversi accordi di proprietà: in Gran Bretagna con nome EE, in Belgio come Mobistar, in Marocco come Medi Telecom e in Iraq col nome di Korek Telecom.

In Francia, in Spagna, in Giordania e in Tunisia, per citare solo queste, la grande società conserva il nome della marca ORANGE.


Società che appartiene a un miliardario ostile alla campagna BDS

Ironia della sorte, l’azionario di maggioranza di Partner è il miliardario israelo-statunitense Haum Saban che si è accordato col magnate dei casinò Sheldon Adelson per convocare un summit segreto di “mega donatori ebrei”, per contrastare il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

Rispondendo a Richard, Saban ha dichiarato di essere fiero di possedere Partner e che lui non si farà mai dissuadere “dalle minacce”.


Un enorme rischio finanziario

Il presidente – direttore generale di Orange, Stephane Richard, ha affermato che l’accordo con Partner è una “eredità” precedente alla fusione con France Telecom. Ma l’accordo è stato rinnovato e modificato nel 2011.

In proposito Richard ha spiegato: “Non abbiamo rinnovato il contratto, volevamo rivederne i termini e inserire una data di risoluzione, che prima non era prevista, ed è per questo che, al momento, non abbiamo alcuna possibilità di recedere dal contratto”.

Benché le clausole del contratto non siano pubbliche, un comunicato stampa di aprile ha rivelato che il contratto avrà durata fino al 2015.

Richard ha peraltro spiegato che qualsiasi tentativo di recedere dal contratto esporrebbe la società ad un “enorme rischio finanziario”.

“L’unica alternativa sarebbe di intentare causa al partner, e a me dispiace dirlo, ma fare causa senza alcun fondamento giuridico davanti ai tribunali israeliani non è una via di uscita che io raccomando alla mia impresa”, – ha precisato.

Richard ha anche fatto altre dichiarazioni che sono state riportate dall’Associated Press e nelle quali ha riconosciuto che il ruolo di Orange in Israele costituisce una “questione delicata e sensibile qui in Egitto e anche altrove”.


Non convincente

Le scuse di Richard non sono convincenti per molte ragioni.

Dice che Orange non può basarsi su “alcun argomento giuridico” nei tribunali israeliani, e potrebbe incorrere in pesanti penalità se mai decidesse di recedere dal contratto prima della scadenza.

Però Orange non è proprietaria di Partner e non possiede probabilmente tanti beni in Israele suscettibili di sequestro nel caso che un tribunale israeliano pronunciasse un verdetto sfavorevole.

Per contro, l’importante atout di cui dispone Orange è il suo marchio, che è attualmente macchiato dovunque nel mondo, a causa della partecipazione diretta della sua filiale israeliana nelle attività criminali contro i Palestinesi.

E poi, qualsiasi contratto commerciale decentemente stipulato conterrà una clausola di risoluzione per forza maggiore, o nel caso che una delle parti venga coinvolta in attività criminali.

E, anche se i tribunali israeliani non considerano illegale l’occupazione, la colonizzazione e i crimini commessi contro i Palestinesi, Orange potrebbe senz’altro rivolgersi ad un tribunale francese o di un altro paese, per chiedere la condanna delle attività di Partner nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza e dimostrare che sono illegali secondo il diritto internazionale.


Illegale

Orange potrebbe semplicemente dire di non essere obbligata a partecipare ai crimini commessi da Israele.

L’azienda potrebbe evidenziare il fatto che il governo francese aveva messo in guardia le sue imprese contro tutte le transazioni commerciali con le colonie israeliane nei territori occupati.

E siccome le colonie sono “illegali secondo il diritto internazionale”, il governo francese dichiara che “vi sono dei rischi legati alle attività economiche e finanziarie nelle colonie”, ivi compresi “rischi giuridici ed economici”.

Orange può anche appellarsi alla nuova dottrina della responsabilità delle imprese per le flagranti violazioni dei diritti dell’uomo.

L’impresa potrebbe quindi rescindere il contratto adducendo che Partner la espone a rischi giuridici e morali inaccettabili.

Orange dovrebbe, non solo sostenere di non dovere nemmeno un centesimo a Partner, ma andare più lontano e chiedere lei a Partner di indennizzare l’impresa francese per i danni alla reputazione cagionate dalle continue attività criminali di Partner.

E infine, nel peggiore dei casi, se Orange fosse costretta a pagare delle penalità a Partner, dovrebbe ragionare in termini commerciali e valutare che cosa gli costerebbe di meno: ridurre le perdite attuali ovvero restare complice dell’apartheid israeliana e dei suoi crimini di guerra per un altro decennio.

Io non sono avvocato, lo riconosco, ma ciononostante sono capace di vedere e immaginare diverse vie di uscita per Orange se, ovviamente, essa fosse davvero pronta e desiderosa di smetterla con la sua complicità nei crimini commessi da Israele.

E’ inconcepibile, addirittura inimmaginabile, che i consulenti e gli avvocati ben pagati della società Orange abbiano già esaminato con attenzione tutte le possibili opzioni e le abbiano respinte tutte.

A onta di quel che afferma Richard, vale a dire che i profitti provenienti da Israele sono minimi in rapporto alle dimensioni di Orange, la sola conclusione ragionevole e accettabile che possiamo trarre dalla sua frettolosa conferenza stampa del Cairo, è che si tratti solo di un colpo mediatico finalizzato a attutire la rabbia suscitata dalla complicità della società nei crimini israeliani.

E’ chiaro che Orange sente la pressione, in patria e all’estero, ma Richard di fatto cerca solo delle scuse per mantenere lo status quo.

Se Orange fosse sincera, il minimo che Richard avrebbe potuto fare sarebbe stato di annunciare che la sua azienda avrebbe consultato gli avvocati, il governo francese e le organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo, per studiare la possibilità di andarsene il più rapidamente possibile da Israele.


Collera israeliana

Ovviamente c’è un’altra possibilità. La collera israeliana suscitata dalle dichiarazioni di Richard potrebbe spingere l’opinione pubblica israeliana a boicottare essa Partner, per colpire Orange.

Tzipi Hotovely, il nuovo vice ministro israeliano per gli affari esteri, che crede che il mondo debba accettare le giustificazioni bibliche della occupazione e colonizzazione israeliana, avrebbe già convocato una riunione di crisi per discutere della questione.

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