Arrestandone il co-fondatore, Israele dimostra di considerare il BDS come una minaccia strategica
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Middle East Monitor, 27 marzo 2017 (trad.ossin)
Arrestandone il co-fondatore, Israele dimostra di considerare il BDS come una minaccia strategica
Dr Daoud Abdullah
E’ oggi una settimana che le autorità israeliane hanno arrestato Omar Barghouti, co-fondatore del movimento Boycott, Désinvestissement et Sanctions (BDS) in Palestina. L’arresto è l’ultimo atto dopo anni di intimidazioni e minacce, da parte di diversi organismi pubblici. Se l’obiettivo era di isolare e far tacere Barghouti, il suo arresto appare come imprevidente e controproducente. Il BDS è diventato un movimento internazionale di ispirazione palestinese, che sarà impossibile fermare.
A maggio 2015, Reuven Rivlin, il presidente israeliano, ha definito il movimento BDS come una «minaccia strategica». Eppure, quando venne lanciato nel luglio 2005, era stato frettolosamente liquidato dai responsabili come una scadente imitazione del movimento di boicottaggio internazionale che aveva giocato un ruolo centrale nella sconfitta del regime di apartheid criminale in Africa del sud. Oggi più nessuno sottovaluta il BDS. Il solo fatto che Israele spenda milioni di dollari ogni mese per raccogliere dati utili a contrastare il BDS, all’interno come all’estero, dimostra che gli Israeliani adesso lo prendono molto sul serio.
Ricorrendo a tattiche arbitrarie di repressione e di intimidazione, Israele rende un pessimo servizio. Senza rendersene conto, questo paese ha, con tali iniziative, creato le condizioni ideali perché il BDS si sviluppi e attiri le simpatie del mondo intero, perché risulta facile convincere le persone aperte di spirito sulla necessità del BDS.
I comportamenti politici che violano le libertà fondamentali e i diritti umani ripugnano istintivamente agli esseri umani equilibrati che hanno il senso della giustizia.
Oggi quelli che appoggiano il BDS sono motivati dal loro attaccamento ai valori di uguaglianza e di equità, oltre che dalla consapevolezza che siamo tutti esseri umani. E’ per questo che considerano vergognoso negare la piena uguaglianza ai cittadini palestinesi di Israele; è per questo che esigono che sia posto fine all’occupazione militare dei territori palestinesi conquistati nel 1967; ed è per questo che vogliono sapere perché i Palestinesi espulsi dalle milizie ebraiche nel 1948 non sono autorizzati a esercitare il loro diritto al ritorno. Questa rivendicazione non ha niente di cospirativo né di estremista. E’ un diritto internazionalmente riconosciuto.
E’ prima di tutto la costante negazione di tutti i diritti palestinesi da parte di Israele, che ha alimentato il movimento BDS. In tutti i continenti, le comunità minoritarie e emarginate, le comunità religiose, i sindacati e le organizzazioni per la difesa dei diritti dell’uomo sostengono questa campagna non violenta, perché capiscono che ne va della loro stessa sopravvivenza.
Non è più il tempo in cui gli artisti e gli sportivi più famosi offrivano il loro appoggio incondizionato a Israele. Oggi il loro appoggio è a condizione; lo accorderanno solo quando Israele comincerà a rispettare la dignità del popolo palestinese. Non si vedono più oggi delle star sostenere o legittimare apertamente la discriminazione, chiunque ne sia l’autore. Non v’è semplicemente alcuna giustificazione, morale o legale, alla discriminazione, qualsiasi essa sia, e ancor meno quando essa è di Stato, come nel caso di Israele.
Per crudele che possa sembrare, l’arresto di Omar Barghouti era inevitabile; non perché abbia commesso qualche crimine, ma perché era troppo tempo che la minaccia incombeva su di lui. L’anno scorso, Amnesty International si è detta inquieta per la sua sicurezza e la sua libertà, dopo che diversi ministri israeliani avevano profferito velate minacce contro di lui, durante una conferenza anti -BDS a Gerusalemme il 28 marzo.
Il ministro dei Trasporti, dell’Informazione e dell’Energia atomica, Yisrael Katz, aveva profferito una minaccia particolarmente grottesca, invitando Israele a procedere alla «eliminazione civile mirata» dei dirigenti del BDS, con l’aiuto delle sue agenzie di informazione assassine. Amnesty ha notato che l’espressione si ispirava a quella di «omicidio mirato», usata per indicare la tattica israeliana di assassinare gli esponenti dei gruppi armati palestinesi.
Il Comitato nazionale palestinese del BDS (il BNC) non ha alcun dubbio sulle ragioni dell’arresto del suo co-fondatore; si tratta di repressione. Il BNC ha affermato che l’apertura di questa inchiesta, nell’ambito della quale gli è stato imposto il divieto di uscire dal territorio, non è una coincidenza, in quanto di qui a qualche settimana, Barghouti avrebbe dovuto recarsi negli Stati Uniti per ricevere il Gandhi Peace Award, insieme a Ralph Nader, nel corso di una cerimonia all’Università di Yale.
Il movimento BDS finirà se Omar Barghouti fosse imprigionato o ammazzato? Certamente no. Le somiglianze giuridiche, politiche e di violazione dei diritti umani che vi sono tra la realtà palestinese e quella che regnava nell’Africa del sud dell’apartheid, sono talmente evidenti che saltano agli occhi di tutto il mondo civilizzato.
A tutt’oggi, nessuna delle misure prese da Israele per combattere il BDS è stata coronata da successo. Né il divieto imposto ai militanti di fare ingresso in Palestina, né la creazione di unità speciali col compito di smuovere la merda per tentare di screditare i militanti, né gli arresti, tutti metodi già utilizzati nell’Africa del sud dove si sono dimostrati completamente inadeguati e inefficaci. Al contrario, addirittura, tutto quello che riuscirono ad ottenere fu di attirare ancora di più l’attenzione sulla natura ingiusta e criminale del sistema di apartheid.
Siate certi che i risultati saranno i medesimi in Palestina, con o senza la presenza fisica e l’incessante attività di Omar Barghouti. Attribuendogli tanta attenzione, Israele riconosce di fatto che la campagna di boicottaggio, disinvestimento e di sanzioni rappresenta davvero una minaccia strategica per questo paese.