La scia di sangue israeliana in America Latina
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Chronique de Palestine, 29 aprile 2020 (trad. ossin)
La scia di sangue israeliana in America Latina
Belen Fernandez
Israele ha sempre aiutato i governi più autoritari della regione nella repressione dei movimenti e delle sollevazioni indigene
Secondo un articolo apparso nel maggio del 2013 sulla stampa messicana, l’esercito israeliano provvede ad addestrare le forze di polizia nello Stato del Chiapas, nel sud-est del Messico, dove he le sue basi l’esercito di liberazione nazionale zapatista a predominanza indigena.
Yaron Yugman, rappresentante del Ministero israeliano della Difesa in Messico, in Honduras e in Repubblica Dominicana, viene citato in quanto avrebbe affermato che «la sicurezza di un paese è fondamentale per la sua crescita» e che i diritti dell’uomo sono uno degli assi dell’addestramento militare.
Naturalmente «sicurezza» e «crescita» non sono lussi generalmente destinati ai gruppi autoctoni nazionali. Un articolo pubblicato nel maggio 2013 da The Electronic Intifada ricorda gli esiti della rivolta zapatista del 1994, in coincidenza con l’inaugurazione dell’Accordo di libero scambio nord americano:
" «Il governo messicano ha dovuto rispondere ai diktat degli investitori stranieri, come ha rivelato un famoso appunto della Chase-Manhattan Bank: ‘Per quanto il Chiapas, a nostro avviso, non costituisca una minaccia fondamentale per la stabilità politica messicana, deve però essere percepito come tale e il governo dovrà eliminare gli zapatisti per dimostrare il suo controllo effettivo del territorio nazionale e della politica di sicurezza’»".
Per quanto riguarda la sedicente «attenzione» ai diritti umani, molto più commercializzabile è l’esperienza israeliana in materia di oppressione delle popolazioni autoctone e di aggressione alla loro dignità…
L’ambasciata di Israele in Messico avrebbe negato il proprio impegno militare nel sud-est, ma nemmeno Fox News Latino sembra convinto:
" «Il rifiuto dell’ambasciata israeliana di riconoscere che il suo governo lavora in Chiapas è motivo di dubbio, data la lunga storia di collaborazione tra il governo israeliano e il Messico. Dall’inizio degli anni 1970, il governo messicano ha acquistato aerei, elicotteri, navi lancia-missili, armi leggere e altre armi, sia dall’esercito israeliano, che da altre imprese militari israeliane» "
Contributi al genocidio
I Maya indigeni del Messico non sono gli unici a trovarsi nel mirino di Israele.
In una mail inviatami, l’autore e importante storico Greg Grandin ha citato un episodio precedente di un analogo intervento regionale «caritatevole»:
" «In Guatemala [durante la guerra civile] Israele, intervenendo per conto dell’amministrazione Reagan, ha fornito materiale militare – inclusi elicotteri e fucili Galil – e addestramento che era stato interrotto sotto la precedente amministrazione Carter. Israele ha anche rifornito [il regime guatemalteco con] computer, software e altro materiale utile alla sorveglianza. Tutto ciò all’apice del genocidio, il cui bilancio finale è stato di 200.000 morti, molti dei quali Maya» ".
Il giornalista investigativo Jeremy Bigwood, che da fotoreporter ha coperto le guerre civili latino-americane negli anni 1980 e 1990, ha confermato che gli Israeliani erano «coinvolti totalmente nel genocidio» in Guatemala. Ha dichiarato che gli Israeliani hanno fornito ai militari degli aerei Arava STOL e dei veicoli blindati per il trasporto di truppe, e realizzato una fabbrica di munizioni nella città di Coban.
Bigwood ha aggiunto: «Gli Israeliani hanno utilizzato un sistema di intercettazione delle comunicazioni telefoniche – simile a quello attualmente usato dalla NSA – e sono riusciti a distruggere completamente le reti della guerriglia urbana guatemalteca. Hanno anche fornito assistenza nella repressione nelle campagne, mappando ogni fattoria e segnalando le opinioni politiche dei suoi abitanti».
Un rapporto del 2012 intitolato “Israël’s Worldwide Role in Repression”, redatto da International Jewish Anti-Sionist Network rileva che la vasta esperienza di Israele nella deportazione forzata dei Palestinesi ha consentito a questo Stato di dare una mano alla pianificazione e alla realizzazione delle politiche di «terra bruciata» in Guatemala e in Salvador.
Secondo il rapporto, le operazioni guatemalteche «si sono intrecciate con l’istituzione di ‘poli di sviluppo’ – villaggi nei quali sono state concentrate le popolazioni deportate e che hanno consentito un più penetrante controllo governativo sul movimento popolare e la repressione di ogni forma di organizzazione popolare».
Andando più indietro nel tempo, un articolo del 1986 apparso nel Middle East Research and Information Project cita un ex membro del comitato per gli affari esteri della Knesset che difende l’impegno israeliano in Guatemala: «Israele è uno Stato paria. Quando ci chiedono qualcosa noi non possiamo permetterci di sottilizzare su questioni di ideologia. L’unico tipo di regime che Israele non aiuterà mai è un regime anti-statunitense».
Dal laboratorio palestinese alla «pista terrorista» israeliana
Un vantaggio evidente dell’essere costretti ad adeguarsi «[quando] ci chiedono qualcosa», è costituito dai considerevoli profitti delle vendite di armi.
Per quanto riguarda la presunta posizione di paria di Israele, la cosa sembra essere contraddetta dall’articolo di Bigwood del 2003 per Al Jazeera, “Israel’s Latin American trail of terror” [la pista terrorista latino-americana di Israele], nel quale enumera i paesi della regione dove Israele ha rifornito, formato e consigliato gruppi e regimi di estrema destra: l’Argentina, la Bolivia, il Brasile, la Colombia, il Costa Rica, la Repubblica domenicana, l’Ecuador, il Salvador, il Guatemala, Haïti, l’Honduras, il Nicaragua, Panama, il Paraguay, il Peru e il Venezuela. Questa la condizione del paria…
Il fatto che Israele non si preoccupi dell’ideologia è confermata, nell’articolo di Bigwood, dall’appoggio di Israele alla sporca guerra della giunta militare argentina del 1976-1983 – che è stata caratterizzata da massicce sparizioni forzate e da un uso generalizzata della tortura – malgrado, come nota Bigwood, l’orientamento antisemita della giunta. Una sovrapposizione ideologica viene tuttavia osservata nel caso della Colombia, dove il presidente Juan Manuel Santos non solo è apparso in un video promozionale di una società di sicurezza privata israeliana, ma ha anche annunciato: «Noi siamo stati anche accusati di essere gli Israeliani [sic ] dell’America Latina, cosa che mi rende personalmente molto fiero».
Oltre ad attestare la goffaggine di Santos, questa dichiarazione è particolarmente pertinente dato che Carlos Castano – il fondatore del moderno paramilitarismo colombiano – è stato addestrato in Israele e ha riconosciuto di avere imitato il concetto paramilitare degli Israeliani.
Il passatempo prediletto di Israele – la punizione collettiva – sembra essersi rivelato particolarmente istruttivo. Sebbene ufficialmente disciolti, i paramilitari colombiani continuano a terrorizzare la popolazione civile, spesso di concerto coi militari – anch’essi famosi per i massacri di civili, i cui cadaveri venivano poi camuffati da guerriglieri antigovernativi. Uno dei principali obiettivi di questo terrorismo su larga scala è di scacciare i gruppi autoctoni, i campesinos e altre persone la cui presenza impedisce lo sfruttamento pieno delle risorse.
In Chiapas, contemporaneamente, il movimento indigeno ha, con forza, contrastato i progetti neoliberisti. L’articolo di Electronic Intifada spiega: «Gli Zapatisti hanno ripreso ampie distese di terre [del governo] sulle quali hanno poi costruito delle cooperative di sussistenza, delle scuole autonome, degli ospedali collettivizzati e altre strutture comunitarie democratiche».
John Collins, presidente del Dipartimento di studi mondiali all’Università St Lawrence di New York, descrive la collaborazione militare israeliana col governo messicano in Chiapas come «un’ulteriore prova del modo in cui gli strumenti di sorveglianza e di repressione testati sul campo contro i Palestinesi vengono poi utilizzati in tutto il mondo», citando la valutazione dell’antropologo israeliano Jeff Halper secondo il quale «[l]’economia israeliana si basa sull’esportazione dell’occupazione [della Palestina] ».
Benché Israele affermi che «la sicurezza di un paese è fondamentale per la sua crescita», fatto sta che l’insicurezza mondiale è fondamentale per la crescita di Israele.
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