Il Kosovo Metohija a 13 anni dalla fine dell’aggressione Nato
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Il Kosovo Metohija a 13 anni dalla fine dell’aggressione Nato
Enrico Vigna
La “questione Kosovo” continua ad essere, e sempre più, un nodo irrisolto della comunità internazionale occidentale, la quale si illudeva che con il raggiungimento della cosiddetta “indipendenza” imposta ed avallata finora da soli 89 paesi, ovviamente tutti i sudditi dell’impero, tra cui naturalmente l’Italia (ma pare che anche lo stato di Tonga stia per fare il grande passo…), si sarebbero assopite le forme di resistenza del popolo serbo kosovaro e delle altre minoranze perseguitate. Ma non è stato così e lo dimostrano alcuni fatti chiarificatori di quanto sia pericolosa la situazione ed esposta a rischi per nuovi scenari di guerra e turbolenze.
Le barricate e il referendum di cui non si parla
Da ormai quasi nove mesi, il nord del Kosovo è bloccato da decine di barricate erette dai serbi, che cercano di impedire il passaggio delle forze NATO-Eulex e della Polizia kosovara (KPS); nonostante decine di scontri con morti e decine di feriti, assalti per smantellarle, esse vengono presidiate notte e giorno, e immediatamente rifatte se perse (… naturalmente il tutto nel più assoluto silenzio dei grandi media di informazione, vedere “Kosovo Notizie 5” del FBItalia).
Proprio nei giorni scorsi la KFOR ha attaccato una barricata per sgomberarla, ma la pronta mobilitazione e reazione di centinaia di serbi ha scatenato uno scontro che ha provocato otto feriti, quattro soldati USA e almeno quattro serbi. In questo clima Germania ed Austria hanno deciso di mandare altre truppe prevedendo una intensificazione delle lotte di resistenza.
Un altro dato su cui riflettere è il Referendum organizzato dalle municipalità serbe del Nord del Kosovo a febbraio, che ha confermato il rifiuto ad accettare le autorità di Pristina e l’esistenza del Kosovo indipendente. Il voto, dichiarato nullo da governo kosovaro e dalle autorità internazionali, ma anche, cosa più grave dal governo quisling serbo, segna però soprattutto un momento di rottura della comunità serba del nord con Belgrado, che temendo ripercussioni sul percorso di integrazione UE ha osteggiato il voto, facendo scendere in campo con ricatti, pressioni e minacce, anche l’allora presidente serbo filo occidentale Tadic.
Secondo i risultati ufficiali il 99.74% dei votanti ha detto “no” nel referendum organizzato in quattro municipalità del Nord del Kosovo. Il quesito su cui dovevano esprimersi era così formulato: “accettate le istituzioni della cosiddetta Repubblica del Kosovo?”
Nonostante il maltempo e l’ostilità di Belgrado, l’alta affluenza alle urne è stato un forte segnale di determinazione.
Altro dato è stata la “provocatoria” richiesta di decine di miglia di serbi kosovari di avere la cittadinanza russa, ritenendo che forse la Russia di Putin potrà avere più a cuore dei governanti filo occidentali di Belgrado il destino e i diritti di propri cittadini.
La grande Albania
Dalla parte albanese del Kosovo guidato dai criminali (come documentato anche dall’Intelligence occidentale) ex UCK, si continua a gettare benzina sul fuoco con atti e dichiarazioni che alimentano le tensioni; l’AKSH (Armata Nazionale Albanese) ha ufficialmente dichiarato a marzo, con un comunicato inviato ai media internazionali, l’apertura di un ulteriore confronto con i serbi del Kosovo, nell’ottica di una nuova guerra per la riunificazione di tutti gli albanesi sotto un'unica bandiera; lo stesso primo ministro albanese Thaci ha pubblicamente dichiarato che concorda con questa visione. Mentre in Macedonia questi terroristi dell’AKSH, facenti parte del FBSH (Fronte Unito Nazionale Albanese), hanno attaccato negli ultimi mesi la comunità slava e macedone del paese, con attacchi terroristici che hanno provocato morti e numerosi feriti, costringendo il governo macedone a proclamare il coprifuoco. La gravità di questo sta anche nel fatto che il Kosovo è il retrovia di questi terroristi, che dopo gli attacchi si rifugiano di là dal confine senza problemi.
Una ulteriore innalzamento della pericolosità di nuovi scenari di guerra è anche stata la notizia delle scorse settimane, della visita “fraterna e cameratesca” fatta in Kosovo da una delegazione della cosiddetta “opposizione siriana”, che è giunta riconoscendo alla storia dell’UCK e del Kosovo secessionista un esempio da seguire: “…siamo venuti per imparare, voi possedete un esperienza che potrà esserci molto utile…abbiamo molto da imparare dalla vostra esperienza e dalle vostre capacità di internazionalizzare il vostro conflitto…”. Certo tra criminali ci si intende bene.
Ma la notizia più seria è che la cosiddetta opposizione siriana ha chiesto di poter usare le ex basi UCK, per addestrare i propri combattenti, naturalmente sotto la guida dei capi militari terroristi UCK che hanno insanguinato e massacrato la regione kosovara.
Un narcostato nel cuore dell’Europa
Qual è la situazione per i popoli che abitavano la provincia serba, dopo tredici anni di “ democrazia e libertà”? Penso si dovrebbe partire dalla dichiarazione che fece la DEA (Agenzia Antidroga USA), che definì il Kosovo indipendente un “narcostato nel cuore dell’Europa”.
Questo staterello fantoccio, che si regge su due stampelle, una militare ed è la presenza delle forze di occupazione NATO-Eulex, l’altra economica ed è il fiorire e proliferare di tutte le attività criminose possibili: dal traffico di eroina, a quello delle donne, degli organi e delle armi.
Quest’area è diventata lo snodo tra Asia ed Europa dei più svariati traffici; dalle varie segnalazioni di molti rapporti di Intelligence, è ormai noto che le raffinerie presenti nella provincia producono oltre dieci tonnellate delle varie droghe, che arrivano poi nel continente soprattutto attraverso Montenegro ed Albania; ed anche lo smistamento delle ragazze avviate alla prostituzione passa da lì (negli ultimi anni sono state decine le cosiddette “agenzie” chiuse a Pristina, dove venivano offerte e vendute ragazze dell’est); così come, soprattutto per la clientela dei soldati occidentali lì presenti, si parla di circa 120 bordelli esistenti nella capitale kosovara ed altri 200 sparsi nella provincia.
Anche per il traffico di organi, di cui la mostruosità della famosa “casa gialla” di Burel in Albania è stato l’apice, ma che tuttora prosegue (…l’arresto proprio nelle scorse settimane del trafficante israeliano M. Harel, considerato la mente del traffico internazionale insieme ad altri albanesi locali).
…Nell’autobiografia dell’ex procuratrice Carla Del Ponte del Tribunale Internazionale dell’Aja per la ex Jugoslavia, che ha perseguito per anni soprattutto i leaders serbi, è scritto che i rapiti furono prima rinchiusi in campi a Kukesh e Trpoje, poi dopo essere stati esaminati da dottori albanesi per poter verificare quali fossero i più sani e robusti, venivano portati a Burel e dintorni, nell’Albania centrale, dove erano ben rifocillati, curati e non torturati, in modo da essere pronti per la mutilazione degli organi.
La Del Ponte ha detto che una parte di questi era rinchiusa in una casa gialla, situata a circa 20 chilometri a sud della cittadina albanese di Burel, in una stanza vi era una specie di infermeria, dove venivano asportati gli organi ai prigionieri. Poi questi venivano spediti attraverso l’aeroporto Madre Teresa di Tirana, verso le destinazioni occidentali che avevano pagato per poter effettuare i trapianti. In questi campi vi erano anche molte donne provenienti dalle province kosovare, dalle
repubbliche ex jugoslave, dall’Albania, dalla Russia e altri paesi, anche a loro furono poi estratti gli organi prima di essere uccise…
Dal punto di vista dei diritti universali dell’uomo, per le minoranze non albanesi i dati riferiscono una situazione degradata e terribile, a cominciare dalla situazione delle enclavi, dove decine di migliaia di persone vivono in campi di concentramento a cielo aperto, senza diritti umani minimi garantiti: da quello del lavoro a quello della sanità, dai diritti civili e politici, da quelli per l’istruzione a quelli religiosi, dal diritto al ritorno dei 250.000 espulsi ed esiliati a quello di avere giustizia per i 1.300 serbi e non albanesi rapiti ed assassinati dal 1999 ad oggi. Dal diritto alla libertà di movimento alla riappropriazione delle proprie case e terre espropriate con la violenza dai terroristi: nel Kosovo liberato e democratico sono TUTTI NEGATI e VIOLATI, compresa la risoluzione ONU 1244 del 1999.
Dal punto di vista sociale la situazione nella provincia serba resta devastata da tutti punti di vista, vige un economia drogata in tutti i sensi. Essendo infatti fondata su capitali ed attività criminali, tutto il resto non può che essere marginale e secondario; così la grande maggioranza degli stessi albanesi kosovari onesti non legati agli interessi criminali vive in una povertà profonda ed in condizioni difficili, con una disoccupazione che sfiora il 50%, le uniche industrie rapinate allo stato serbo, come la Centrale elettrica o le miniere Trepca di Zvecan, la Ferronichel, le Poste Telekom del Kosovo (PTK) o il birrificio di Pec, sono il bottino che le multinazionali occidentali hanno come premio per l’occupazione del Kosovo, in testa ovviamente USA, Francia, Germania e Gran Bretagna; quindi ulteriori licenziamenti e sfruttamento liberista selvaggio.
Certamente va rilevato che, comunque vada, c’è e ci sarà un problema “Methoija”, di quelle migliaia di serbi kosovari cioè che vivono nella parte del Kosovo a sud di Mitrovica. Per essi che sopravvivono nelle enclavi circondati da odio, ostilità e violenze quotidiane, i problemi e le scelte da fare sono molto più complesse e delicate. E questo non è un problema da poco, perché rischia di spaccare la già debole comunità serba della provincia.
Il nuovo presidente serbo
C’è un dato nuovo, che non potrà certamente rovesciare a breve termine la realtà della provincia e del popolo serbo, ma è un dato che potrebbe in prospettiva risultare importante: è la presidenza della Serbia ottenuta nell’ultima tornata elettorale da T. Nikolic, figura non limpida nella progettualità politica, ma sicuramente migliore del quisling precedente B. Tadic, che comunque molto probabilmente, formerà con il suo partito i Democratici e i Socialisti del SPS, il nuovo governo.
Perlomeno Nikolic, rappresenta, in una forma certamente moderata ma definita, un retroterra culturale e politico che ha nella difesa dell’identità, dell’interesse e sovranità nazionali i suoi cardini; ciò che, nel panorama politico deficitario delle forze politiche serbe oggi, non è poco.
Probabilmente su questo si è basato l’elettorato serbo, di sicuro disilluso e non fiducioso in chissà che cosa, ma se almeno mantenesse anche solo alcuni punti della sua campagna elettorale, come freno alle politiche liberiste interne devastanti ed alle aggressioni economiche e di rapina della UE e del FMI, come un freno all’arroganza NATO e, di riflesso, nuove attenzioni al ruolo che una Russia, forte e solida con Putin, potrebbe giocare nei Balcani al fianco di una Serbia meno sottomessa e ricattata dai diktat delle lobby occidentali. Senza dimenticare il nodo dell’entrata nella UE e la questione NATO (nelle scorse settimane un sondaggio ufficiale ha rivelato che oltre il 60% dei serbi è contrario all’alleanza militare atlantica).
In una fase come questa basterebbe solo un freno: se Nikolic mantenesse pure solo questo orientamento, anche per la questione Kosovo e per i serbi e le minoranze non albanesi della provincia kosovara, si potrebbe riaprire un barlume di speranza in un futuro meno cupo di quello che stanno vivendo e…meno solitudine. Una cosa è certa: il Kosovo resta una spina nel fianco dei politici “mercanti” di Belgrado, ma anche una spina nell’anima del popolo serbo intero.
Kosovo tredici anni dopo…
ma piange ancora, seppure senza più lacrime, il Kosovo Methoija assassinato, massacrato, violentato dall’arroganza NATOccidentale. Con esso piangono i 250.000 esiliati e profughi, i familiari dei 1300 rapiti, le vedove di guerra con i loro bambini oggi ragazzi.
Piange il Kosovo Methoija davanti alle tombe scoperchiate ed ai resti umani dati in pasto alle bestie che pascolano; davanti ai monasteri e alle chiese ortodosse bruciate e distrutte, dove oltre ai muri, la volontà era di sradicare memorie ed identità storiche antiche.
Piange il Kosovo Methoija e la NATO veglia ma tace con indifferenza…davanti alle macerie materiali e quelle nelle anime del popolo serbo.
Piange il Kosovo Methoija e noi con esso, uomini e donne alla ricerca della pace, della verità, della giustizia.
Piange il Kosovo Methoija ma non si è ancora arreso, seppure vessato e circondato nelle enclavi assediate da odio e ostilità; e noi con esso, nel resistere e perseverare al suo fianco nella limitatezza delle possibilità e forze, ma con coerenza e tenacia.
Piange il Kosovo Methoija ma dalle barricate continua indomito a urlare e chiedere GIUSTIZIA.”