Steppe in fiamme: rivoluzione colorata in Kazakistan
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Kazakistan, 8 gennaio 2022 - Un'altra rivoluzione coloratastavolta in Kazakistan? E' qualosa di più complicato, ma i soliti sospetti (l'Ambasciata USA e della Gran Bretagna) sono in piena attività... (nella foto, una scena della rivolta)
Strategic Culture, 6 gennaio 2022 (trad.ossin)
Steppe in fiamme: rivoluzione colorata in Kazakistan
Pepe Escobar
Maidan ad Almaty? O sì. Ma è complicato
Quindi tanta paura e tanta rabbia sono solo per il gas? Non proprio.
Il Kazakistan è piombato nel caos praticamente da un giorno all'altro, all’inizio a causa del raddoppio dei prezzi del gas liquefatto, che aveva raggiunto l'equivalente (russo) di 20 rubli al litro (rispetto a una media di 30 rubli nella stessa Russia).
Questa è stata la scintilla che ha infiammato le proteste a livello nazionale, e che si sono estese ad ogni latitudine, dal principale centro commerciale Almaty, ai porti del Mar Caspio di Aktau e Atyrau, e persino alla capitale Nur-Sultan, ex Astana.
Il governo centrale è stato costretto a ridurre il prezzo del gas all'equivalente di 8 rubli al litro. Questo però non ha prodotto altro risultato se non di alimentare la fase successiva delle proteste, con l’ulteriore richiesta di abbassare i prezzi dei generi alimentari, di porre termine alla campagna di vaccinazione, un'età pensionabile più bassa per le madri con molti figli e, ultimo ma non meno importante, un cambio di regime, con tanto di slogan: Shal, che! ("Abbasso il vecchio.")
Il "vecchio" non è altri che il leader nazionale Nursultan Nazarbayev, 81 anni, che anche dopo essersi dimesso dalla presidenza dopo 29 anni al potere, nel 2019, rimane a tutti gli effetti l'eminenza grigia kazaka come capo del Consiglio di sicurezza e l'arbitro della politica interna ed estera.
Viene inevitabilmente da pensare a un'altra rivoluzione di colore: forse Turchese-Giallo, come i colori della bandiera nazionale kazaka. Soprattutto perché al momento giusto, attenti osservatori hanno scoperto che i soliti sospetti - l'ambasciata statunitense - già dal 16 dicembre 2021 mettevano “in guardia” in vista di previste proteste di massa.
Maidan ad Almaty? O si. Ma è complicato.
Almaty nel caos
Per il mondo esterno, è difficile capire perché una grande potenza esportatrice di energia come il Kazakistan debba aumentare i prezzi del gas nel proprio mercato interno.
La ragione è - cos'altro? - il neoliberismo sfrenato e gli inevitabili imbrogli del libero mercato. Dal 2019 il gas liquefatto viene scambiato in Kazakistan elettronicamente. Quindi mantenere tetti di prezzo – che hanno funzionato per decenni – è diventato presto impossibile, perché i produttori avrebbero dovuto vendere sottocosto mentre il consumo aumentava alle stelle.
Tutti in Kazakistan si aspettavano un aumento dei prezzi, così come tutti in Kazakistan usano gas liquefatto, specialmente nelle loro auto convertite. E tutti in Kazakistan hanno un'auto, come mi è stato detto, mestamente, durante la mia ultima visita ad Almaty, alla fine del 2019, mentre cercavo invano di trovare un taxi per andare in centro.
È piuttosto indicativo che le proteste siano iniziate nella città di Zhanaozen, nel centro petrolifero/gasiero di Mangystau. Ed è anche significativo che il centro delle proteste sia immediatamente diventata Almaty, dipendente dalle automobili, il vero centro degli affari della nazione, e non la capitale isolata e ricca di infrastrutture governative nel mezzo delle steppe.
In un primo momento il presidente Kassym-Jomart Tokayev sembrava un cervo ipnotizzato dalla luce dei fari. Ha promesso il ripristino del tetto dei prezzi, ha istituito lo stato di emergenza/coprifuoco sia ad Almaty che a Mangystau (infine in tutto il paese), accettando in blocco le dimissioni dell'attuale governo e nominando un vice primo ministro senza volto, Alikhan Smailov, primo ministro ad interim fino alla formazione del un nuovo gabinetto.
Ma non è riuscito a contenere i disordini. In fulminea successione ci sono stati: assalto all'Almaty Akimat (l'ufficio del sindaco); manifestanti che sparano contro l'esercito; un monumento a Nazarbayev demolito a Taldykorgan; l’occupazione della sua precedente residenza ad Almaty; Kazakhtelecom che disconnette l'intero paese da Internet; diversi membri della Guardia Nazionale – veicoli blindati compresi – che si uniscono ai manifestanti ad Aktau; I bancomat che non funzionano più.
E poi Almaty, sprofondata nel caos più completo, è stata praticamente sequestrata dai manifestanti, compreso il suo aeroporto internazionale, che mercoledì mattina è stato sottoposto a misure di sicurezza rafforzate, e la sera era diventato territorio occupato.
Lo spazio aereo kazako, nel frattempo, ha dovuto fare i conti con un lungo ingorgo di jet privati in partenza per Mosca e l'Europa occidentale. Anche se il Cremlino ha notato che Nur-Sultan non aveva chiesto alcun aiuto russo, una "delegazione speciale" è presto partita da Mosca. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha sottolineato con cautela: "siamo convinti che i nostri amici kazaki possano risolvere autonomamente i loro problemi interni", aggiungendo, "è importante che nessuno interferisca dall'esterno".
Colloqui geostrategici
Come ha potuto tutto degenerare così rapidamente?
Finora, il gioco della successione in Kazakistan era stato considerato un esempio di successo in tutta l'Eurasia settentrionale. Gli honchos locali, gli oligarchi e le élite compradore hanno tutti conservato i loro feudi e le loro fonti di reddito. Eppure, ufficiosamente, mi è stato detto a Nur-Sultan alla fine del 2019 che ci sarebbero stati seri problemi se alcuni clan regionali si fossero alleati per affrontare "il vecchio" Nazarbayev e il sistema che aveva messo in atto.
Tokayev ha lanciato il proverbiale appello “a non cedere alle provocazioni interne ed esterne” – il che ha senso – ma ha anche assicurato che il governo “non cadrà”. Ebbene, stava già cadendo, anche dopo una riunione di emergenza che cercava di affrontare l'intricata rete di problemi socioeconomici con la promessa che tutte le "legittime richieste" dei manifestanti sarebbero state soddisfatte.
Almeno all’inizio, lo scenario non era quello classico di un regime change. Si trattava piuttosto di uno stato di caos fluido e amorfo, perché le – fragili – istituzioni di potere kazake erano semplicemente incapaci di comprendere il più ampio malessere sociale. Non c'è alternanza politica. La società civile non ha canali per esprimersi.
Quindi sì: c'è una rivolta in corso, per citare il rhythm'n blues statunitense. E tutti sono destinati a perdere. Quello che non è ancora del tutto chiaro è quali clan in conflitto stiano fomentando le proteste e quale sia il loro programma nel caso in cui riuscissero a prendere il potere. Dopotutto, nessuna protesta "spontanea" potrebbe manifestarsi simultaneamente in tutta questa vasta nazione, praticamente da un giorno all'altro.
Il Kazakistan è stata l'ultima repubblica a rendersi autonoma dall'URSS al collasso più di tre decenni fa, nel dicembre 1991. Con Nazarbayev, si è subito impegnata in una politica estera autodefinita "multi-vettoriale". Finora Nur-Sultan si è rivelato un mediatore diplomatico di primo piano – dalle discussioni sul programma nucleare iraniano già nel 2013 alla guerra in/contro la Siria del 2016. Obiettivo: consolidarsi come ponte per eccellenza tra l'Europa e Asia.
Le Nuove Vie della Seta, o BRI, guidate dalla Cina, sono state lanciate ufficialmente da Xi Jinping all'Università di Nazarbayev nel settembre 2013. E si è subito manifestata una naturale convergenza col concetto kazako di integrazione economica eurasiatica, delineato nel progetto di interventi statali di Nazarbayev, Nurly Zhol (" Bright Path”), ideato per dare una spinta all'economia dopo la crisi finanziaria del 2008-9.
Nel settembre 2015, a Pechino, Nazarbayev ha schierato Nurly Zhol con la BRI, spingendo di fatto il Kazakistan nel cuore del nuovo ordine di integrazione eurasiatica. Geostrategicamente, la più grande nazione senza sbocco sul mare del pianeta è diventata il principale territorio di interazione delle visioni cinese e russa, della BRI e dell'Unione economica eurasiatica (EAEU).
Una tattica diversiva
Per la Russia, il Kazakistan è ancora più strategico che per la Cina. Nur-Sultan ha firmato il trattato CSTO nel 2003. È un membro chiave dell'EAEU. Entrambe le nazioni hanno enormi legami tecnico-militari e conducono una cooperazione spaziale strategica a Baikonur. Il russo ha lo status di lingua ufficiale, parlata dal 51% dei cittadini della Repubblica.
Almeno 3,5 milioni di Russi vivono in Kazakistan. È ancora presto per ipotizzare una possibile “rivoluzione” tinta con i colori della liberazione nazionale se il vecchio sistema alla fine crollasse. E anche se ciò accadesse, Mosca non perderà mai tutta la sua notevole influenza politica.
Quindi il problema immediato è assicurare la stabilità del Kazakistan. Le proteste devono essere fermate. Non mancheranno le concessioni economiche. Il caos permanente e destabilizzante semplicemente non può essere tollerato – e Mosca lo sa a memoria. Un altro – roboante – Maidan è fuori questione.
La Bielorussia ha dimostrato come il pugno di ferro possa fare miracoli. Tuttavia, gli accordi CSTO non coprono l'assistenza in caso di crisi politiche interne e Tokayev non sembrava propenso a fare una richiesta del genere.
Fino a quando non l'ha fatta. Ha chiesto l'intervento della CSTO per ristabilire l'ordine. Ci sarà un coprifuoco imposto dai militari. E Nur-Sultan potrebbe anche confiscare i beni di società statunitensi e britanniche che presumibilmente stanno sponsorizzando le proteste.
Così lo ha spiegato Nikol Pashinyan, presidente del Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO e primo ministro dell'Armenia: Tokayev ha invocato una "minaccia alla sicurezza nazionale" e alla "sovranità" del Kazakistan, "provocata, tra l'altro, da interferenze esterne". Così la CSTO “ha deciso di inviare forze di pace” per normalizzare la situazione, “per un periodo di tempo limitato”.
I soliti sospetti destabilizzatori sono ben noti. Potrebbero non avere l’estensione, l'influenza politica e la quantità necessaria di cavalli di Troia per mantenere il Kazakistan in fiamme a tempo indeterminato.
Almeno gli stessi cavalli di Troia sono molto espliciti. Vogliono il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici; un cambio di regime; un governo provvisorio di cittadini “rispettabili”; e – che altro… – il “ritiro da ogni alleanza con la Russia”.
E poi tutto si riduce al livello di una ridicola farsa, quando l'UE inizia a chiedere alle autorità kazake di "rispettare il diritto alle proteste pacifiche". Permettendo dunque l'anarchia totale, le rapine, i saccheggi, centinaia di veicoli distrutti, attacchi con fucili d'assalto, bancomat e persino il Duty Free dell'aeroporto di Almaty totalmente saccheggiati.
Questa analisi (in russo) tratta alcuni punti chiave, in particolare: "Internet è piena di manifesti di propaganda preparati in precedenza e promemoria per i ribelli" e il fatto che "le autorità non stanno sistemando le cose, come ha fatto Lukashenko in Bielorussia. "
Gli slogan finora sembrano di matrici diverse, toccando un po’ di tutto, dalla "alleanza con l’occidente" del Kazakistan, alla rivendicazione della poligamia e della sharia: "Non esiste ancora un unico obiettivo, non è stato individuato. I risultati verranno poi. Sono sempre i soliti. L'eliminazione della sovranità, la dipendenza dall’estero e, infine, di regola, la formazione di un partito politico antirusso".
Putin, Lukashenko e Tokayev hanno trascorso molto tempo al telefono, su iniziativa di Lukashenko. I leader di tutti i membri CSTO sono in stretto contatto. Un piano di gioco magistrale – come in una massiccia “operazione antiterroristica” – è già stato escogitato. Il Gen. Gerasimov lo supervisionerà personalmente.
Mettiamolo a confronto con quanto ho saputo da due diverse fonti di informazioni di alto livello.
La prima fonte era esplicita: l'intera avventura kazaka è sponsorizzata dall'MI6 britannico per creare un nuovo Maidan proprio prima dei colloqui Russia/Usa-Nato a Ginevra e a Bruxelles la prossima settimana, per impedire qualsiasi tipo di accordo. È significativo che i "ribelli" siano riusciti a mantenere il loro coordinamento nazionale anche dopo la disconnessione di Internet.
La seconda fonte è più sfumata: i soliti sospetti stanno cercando di costringere la Russia a fare marcia indietro contro l'Occidente collettivo, creando una grande azione di distrazione sul loro fronte orientale, come parte di una strategia di caos lungo i confini della Russia. Potrebbe essere una tattica diversiva intelligente, ma gli apparati di intelligence russi stanno con gli occhi aperti. Molto aperti. E per il bene dei soliti sospetti, tutto questo meglio non potrebbe essere interpretato – minacciosamente – se non come una provocazione di guerra.
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