Libia: io mi rifiuto di ululare coi lupi
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Le Grand Soir – 13 marzo 2011
Libia: io mi rifiuto di ululare coi lupi
di Ginette Hess Skandrani
Io mi rifiuto di urlare scioccamente coi lupi. L’Occidente si è trovato un nuovo diavolo e accusa Gheddafi di tutti i mali del pianeta. E’ il peggiore dei dittatori, un nuovo Hitler, un macellaio, un sanguinario.
E’ vero che non si tratta certamente di un democratico, ma è meno peggio dei Bush padre e figlio che sono responsabili di centinaia di migliaia di morti iracheni, o di Netanyahu, Sharon o altri criminali israeliani che hanno massacrato migliaia di Palestinesi.
Io conosco bene la Libia, essendovi stata spesso. Ho amato questo paese, così diverso dagli altri paesi del Maghreb più o meno occidentalizzati. Andare in Libia era come disintossicare lo spirito, si aveva l’impressione di arrivare su un altro pianeta. Niente McDonalds, niente coca cola, niente ipermercati, niente banche, niente pubblicità, a parte degli slogan antimperialisti e qualche manifesto della Guida. Ma assai poco a paragone della Tunisia, dove la foto di Ben Ali troneggiava dappertutto.
Ho partecipato a diverse conferenze: sull’ecologia, la pace e il disarmo, sul Mediterraneo, la democrazia diretta, il colonialismo, la condizione della donna, il sionismo, ecc. Sono stata anche invitata alle assegnazioni del premio Gheddafi a qualche popolo oppresso: i Kanak , gli Amerindiani, i bambini bosniaci, ecc.
Ho assistito a dei congressi di base nei quartieri di Tripoli o sotto una tenda nel deserto. Ho visitato molti angoli ricchi di storia e di vestigia del passato. Sebratha e i suoi scavi, romani, fenici, il magnifico sito di Leptis Magna.
Raramente ho incontrato dei turisti. La Libia è un paese che ossessiona da molti anni la coscienza delle popolazioni occidentali e il nome di Gheddafi ha sempre suscitato, al di là dell’ammirazione che hanno provato per lui tutti i rivoluzionari del pianeta, le reazioni ostili di tutti gli altri.
Poche società e dirigenti politici hanno tanto occupato la scena mediatica e nello stesso tempo sono così poco conosciuti.
A parte il nome di Gheddafi, la maggior parte della gente ignora tutto della storia di questo paese, della sua popolazione, delle sue strutture socio-economiche, del posto occupato dall’islam e del reale ruolo politico di questo paese che gode nel Maghreb di una importante posizione geostrategica, di un’apertura su tutta l’Africa e che è al crocevia delle relazioni arabo-africane. Gli interventi mediatici, le denunce, le analisi degli uni e degli altri lo mostrano bene.
Io ho dato una mano a organizzare alcuni incontri della gioventù, e delle donne, di cinque continenti. Ho incrociato un mucchio di personalità: Nelson Mandela, Ben Bellah, Laurent Désiré Kabila (prima che arrivasse al potere), Chavez (non ancora presidente), Museveni ecc. che certamente non avrei potuto incontrare in alcun altro luogo.
Vi sono stata soprattutto quando la Libia era sotto embargo a partire dal 1990 ed era una vera avventura arrivarci. Bisognava prendere un aereo per la Tunisia, arrivare a Gerba e continuare in auto passando per Ben Gardane, attraversare la frontiera e risalire attraverso il deserto fino a Tripoli. Ma quando Ben Ali mi ha vietato il passaggio per la Tunisia, perché aveva denunciato le torture che praticava, ho dovuto passare per Malta ed effettuare la traversata di notte su navi mal tenute fino alla costa libica. Bisognava veramente amare questo paese e questo popolo per accettare di affrontare tutti questi ostacoli.
L’embargo era altrettanto terribile per tutti i giovani libici che vedevano attraverso le parabole tutti gli altri giovani del mondo divertirsi, viaggiare, mentre loro erano prigionieri sulla loro terra a causa dell’embargo. Essi ce l’avevano terribilmente con l’Occidente che li penalizzava, mentre essi non c’entravano nulla con gli attentati che erano attribuiti ad alcuni loro dirigenti.
Quando Muammar Gheddafi ha cominciato a fare dei compromessi con gli USA per liberarsi di questo embargo che opprimeva il suo popolo, io ho capito il suo comportamento, ma non ho approvato il fatto che si sia inginocchiato davanti agli imperialisti, mentre passava il tempo a denunciare il sionismo, il colonialismo e la schiavitù. Egli ha aiutato tanti movimenti rivoluzionari: i Kanak, i Baschi, gli Irlandesi, gli Amerindiani e molti Africani. Ha sostenuto Nelson Mandela e l’ANC per tutta la durata dell’apartheid.
Aveva capito che i giovani erano sul punto di ribellarsi, e alcuni l’hanno anche fatto, sapeva che bisognava togliere l’embargo, perché nuoceva allo sviluppo dell’economia e all’importazione di nuove tecnologie, confinando i Libici sulla loro terra.
Io ho molto amato il laboratorio di sperimentazione della democrazia diretta in tutte le regioni. Era qualcosa di innovativo che avrebbe potuto funzionare. Tutti gli abitanti di un quartiere, di una località, di una regione partecipavano alle riunioni che dovevano decidere di un progetto. Ho assistito ad alcuni dibattiti che spesso erano piuttosto burrascosi e lunghissimi. Potevano durare due giorni, fino a quando non si trovava un accordo su cui decidere. I segretari della seduta trasmettevano il testo ai congressi secondari che lo trasmettevano al congresso generale.
Ciò che ho amato di meno era il controllo esercitato dai comitati rivoluzionari che erano dei superpoliziotti che dipendevano direttamente da Gheddafi e non dovevano rendere conto a nessun altro.
Ho smesso di andarci quando l’embargo è stato tolto e il congresso generale si è precipitato nelle braccia degli USA. Peccato per noi, abbiamo perso un interlocutore e un grande sostegno per i popoli oppressi.
Gheddafi ha sempre sostenuto i Palestinesi. E’ stato uno dei promotori dell’associazione “Un unico Stato democratico in Israele Palestina”. Ha d’altronde concorso a finanziare la conferenza di Losanna.
Ha anche contribuito alla costruzione dell’Unità africana ed era impegnato a preparare gli Stati Uniti dell’Africa, per fare in modo che le risorse africane restino in Africa.
Continuo a provare grande ammirazione per il popolo libico.
Penso sinceramente che Gheddafi abbia fatto il suo tempo e che debba fare posto ad altri membri del congresso generale che governa il paese. Visto quanto è accaduto ultimamente, occorrerà organizzare una riunione del congresso generale, aperto agli insorgenti e agli oppositori.
Ma non devono essere la NATO, né gli Stati Uniti, né gli Europei, né la Lega Araba a decidere chi deve o non deve governare la Libia.
Che Sarkozy, che ha ricevuto in pompa magna Muammar Gheddafi perché voleva rifilargli delle armi e una centrale nucleare, ma soprattutto per trascinarlo nell’Union Pour La Méditerranée e fargli accettare la presenza di Israele che i paesi arabi non volevano, si permetta all’improvviso di predicare un intervento militare, mi sembra aberrante e soprattutto stupido a breve scadenza.
Tutti quelli che invocano un intervento aereo che chiamano umanitario o chiedono l’intervento USA per sloggiare la Guida, dovrebbero ricordarsi di che cosa è stato l’intervento USA in Iraq. Il popolo iracheno è regredito di dieci anni e ancora sta pagando l’invasione del suo paese mentre altri gli pompano il suo petrolio. Non dimentichiamo che anche la Libia attira tutti i rapaci dell’oro nero.
Noi non dobbiamo ingerirci nella politica libica, è assai probabile che un intervento armato non porterebbe affatto la pace. Infatti la particolarità del paese è la sua struttura tribale. Tre regioni si disputano il controllo del paese. La Tripolitania, con 2 milioni di abitanti su più di 6 milioni; la Cirenaica, attualmente insorta, forte anche lei di 2 milioni di abitanti e con tendenze islamiste e secessioniste. Infine il sud, spopolato, desertico, la provincia di Fezzan che attualmente presta man forte alla Cirenaica.
Se ci si attiene all’interesse immediato dell’Occidente, la prosecuzione del regime di Gheddafi costituisce una garanzia di stabilità del prezzo del petrolio e del controllo dell’emigrazione. Ogni intervento favorirebbe invece la balcanizzazione del paese, l’instabilità e la radicalizzazione. All’inizio gli USA contavano di assumere rapidamente il controllo di tutto il paese, approfittando di un rovesciamento del potere come in Egitto. E sembra che, nell’ambito di questo piano, abbiano cominciato ad armare gli oppositori, mentre i mercenari di Blackwater (Compagnia militare privata)si infiltravano sul terreno per organizzare dei massacri che i media avrebbero potuto presentare come iniziative sanguinarie di Gheddafi.
Ma era nata come un’operazione fallita, nel realizzare la quale gli USA hanno mostrato il grado di disinformazione che caratterizza la classe dirigente. Ed è reale il rischio per loro che si costituisca un fronte della gioventù contro Israele e gli USA. Gli USA potranno riprendere il controllo della Libia per farne una base di riconquista tanto dei paesi arabi che dell’Africa nera? Per il momento l’insurrezione è in fase di ripiegamento, e si duole amaramente di non aver ricevuto il sostegno a suo tempo promesso per resistere. Muammar Gheddafi non si è piegato e continua a resistere, malgrado tutte le pressioni e le minacce.
Attualmente solo il macchiavellismo israeliano ha interesse ad un chiaro intervento degli USA attraverso la NATO, nella convinzione che ogni situazione caotica le convenga di più di un regime istruito dall’esperienza, e che potrebbe rilanciare la costituzione di un grande fronte regionale contro Israele.
Bisogna sottolineare l’attuale abilità della Guida della Jamrhiya, che insiste sui trattati conclusi con ciascuno dei paesi della NATO e con Israele, utilizzando il ricatto dell’invasione migratoria, dell’islamizzazione, e dell’aumento del prezzo del petrolio. Interviene continuamente alla televisione per ricordare all’Occidente le diverse minacce cui può ricorrere, ed è bene ricordare che egli assunse il potere sotto le bandiere degli ideali di Nasser, ed aveva nazionalizzato il petrolio (la Libia è il paese che ricava i più alti benefici pro capite dalle risorse petrolifere).
Speriamo che, se riesce a riprendere in mano la situazione, sia capace di favorire l’emergere di un successore capace di riconquistare la gioventù con delle reali aperture democratiche, rompendo certe alleanze funeste e riprendendo i temi dell’antimperialismo, panarabo e panafricano.
E’ sconcertante constatare che i nostri analisti sono incapaci di andare oltre una lettura neocoloniale dello stile retorico di Gheddafi, così tipicamente africano, che a loro sembra semplicemente “grottesco”. La loro cecità impedisce loro di supporre che dietro quella facciata che a loro non piace non c’è solo vuoto: disprezzo grossolano, nel quale non cadono per esempio i latino-americani, dei quali pure l’arrogante Europa si è fatta beffe.