Test anali nelle caserme di polizia in Libano
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Demain online, 10 giugno 2012 (trad.Ossin)
Gli “esami” della vergogna
Laure Stephan (Le Monde)
Nell’ambiente austero delle caserme di polizia, dopo aver loro intimato di spogliarsi e poi di piegarsi in avanti o di accovacciarsi, essi sono costretti a sottomettersi al controllo anale da parte di un medico, per determinare il loro orientamento sessuale. Essi? Persone sospette di omosessualità, punita dalla legge in Libano, che pure viene considerato più tollerante di altri paesi arabi.
Questa pratica umiliante, conosciuta negli ambienti omosessuali ma ignorata dal grande pubblico, viene ora denunciata da diverse associazioni libanesi. “Abbiamo rotto il silenzio”, dice Nizar Saghieh, avvocato impegnato in molte lotte della società civile e fondatore della ONG “L’Agenda giuridica”, che ha organizzato la conferenza che si è tenuta alla fine di maggio a Beirut su questi “esami della vergogna”.
Tutto è cominciato, racconta l’avvocato, dal calvario di tre giovani fermati in aprile nella casa di Beirut di un leader politico libanese. Spie, complottardi, militanti politici? Niente di tutto questo, rivela l’interrogatorio. La vicenda avrebbe dovuto chiudersi lì. Solo che uno dei sospetti viene considerato effeminato dalle forze di sicurezza. I tre vengono dunque condotti in un altro posto di polizia della capitale, specializzato nella buoncostume, e sottoposti ad un test anale per stabilire la loro omosessualità – dopo una notte di fermo di polizia. “Questi ragazzi non avevano fatto niente di sospetto, e questo aggrava il carattere aberrante di questi metodi”, rileva Saghieh.
Tanto più che i test, che in teoria potrebbero essere effettuati solo con l’autorizzazione del procuratore, non hanno alcun valore scientifico. “I medici legali riconoscono che la forma dell’ano non costituisce una prova determinante (di omosessualità). Secondo loro, solo la presenza di sperma può dimostrare l’atto (sessuale); e ciò presuppone una penetrazione non protetta. In concreto, i medici si contentano di prendere delle foto dell’ano, e questo rende i risultati della loro perizia assolutamente incerti, costituendo quindi un oltraggio tanto inutile quanto immorale”, prosegue l’avvocato.
Allora perché insistere con questi test se, oltre al carattere degradante, non hanno neppure alcun valore? “C’è in questo qualcosa di perverso, il piacere malsano di sottomettere presunti omosessuali ad esami di tal genere”, ritiene Alexandre Paulikevitch, artista e attivista della società civile. Secondo lui, l’impegno a denunciare le pratiche correnti nelle caserme di polizia deve “andare più in là. Altre tecniche di umiliazione vengono utilizzate per colpire gli omosessuali, non solo i test anali”.
Si cerca di avvilire, ma anche di intimidire: è l’accusa sostenuta dalle diverse associazioni che hanno partecipato alla conferenza sugli “esami della vergogna”. Per Human Rights Watch, che ha documentato pratiche simili adottate in Egitto dopo una ondata di arresti in un locale gay nel 2001, i test anali equivalgono ad “atti di tortura”. Saghieh evidenzia le pressioni esercitate: “La polizia vuol dare l’impressione che ha i mezzi per sapere. La perizia medica serve soprattutto ad intimidire il sospetto e spingerlo a confessare, facendogli credere che, se l’omosessualità sarà scoperta dopo l’esame, la sanzione sarà più severa”.
Secondo L’Agenda giuridica, la campagna di mobilitazione non deve fermarsi qui. A fine giugno la ONG si prepara a denunciare i test di verginità. Le vittime principali? Le donne sospettate di prostituzione. Vengono anche realizzati a seguito di denuncia, quando un uomo viene accusato di avere avuto una relazione sessuale con una ragazza non sposata, “la maggior parte dei casi ad iniziativa della sua stessa famiglia, per poi denunciare l’uomo di promessa di matrimonio non mantenuta, spiega Nizar Saghieh. In entrambi i casi, test di verginità e test per determinare l’omosessualità, vi è una grave lesione della intimità e della integrità fisica della persona e… nessuna prova legale”.
Se l’omofobia resta diffusa in Libano, le rivelazioni sugli “esami della vergogna” hanno suscitato molte reazioni di indignazione, soprattutto nei social network. Le autorità, dal canto loro, sono restate in silenzio. Questa levata di scudi consentirà di aprire il dibattito sulla validità dell’art. 534 relativo all’omosessualità, che punisce le “relazioni sessuali contro natura”? “Sarebbe tempo, considera Alexandre Paulikeviich. Gli altri paesi della regione fanno la rivoluzione e noi, in Libano, continuiamo a discutere sul mantenimento in vigore dell’articolo 534”.