Legalizzare per combattere i clan
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Antiproibizionismo, gennaio 2014 - Un intervento sulle pagine di "Repubblica Napoli" apre il dibattito nella città sulla legalizzazione delle droghe leggere
La Repubblica, 4 gennaio 2014
Legalizzare per combattere i clan
Nicola Quatrano
Nei vicoli e nell’affollata banlieue napoletana, i primi giorni del 2014 non hanno portato grandi novità. Come ogni giorno dell’anno precedente, e di quelli ancora precedenti, migliaia di persone continuano a venire da tutta la regione e non solo, mettersi in fila davanti alle “case dei puffi” o avventurarsi tra i caseggiati popolari di Scampia, Sant’Antimo, San Giorgio e altre poco amene località, per comprare coca, crack o fumo al miglior prezzo di mercato.
L’imprenditoria illegale napoletana, almeno lei, ha da tempo sbaragliato la concorrenza.
Come ogni giorno degli anni precedenti, qualche venditore al dettaglio è stato arrestato (come pure qualche consumatore, perché alle volte non si va tanto per il sottile) e i giornali hanno scritto che un’ennesima gang è stata “sbaragliata” (se si dà retta ai giornali, da secoli non dovrebbero esserci più gang in giro). La verità è che il commercio non si ferma mai (irresistibile legge della domanda e dell’offerta) e che non bastano migliaia di arresti perché si chiudano le piazze di spaccio. La verità è che ogni arresto produce, come unico risultato, il reclutamento di altri soggetti “puliti” per rimpiazzare quelli “sporchi” messi in galera, in una escalation senza fine di contagio dell’illegalità.
Come ogni giorno dell’anno precedente, e di quelli ancora precedenti, i ragazzi delle periferie napoletane sono costretti, dal bisogno o dai condizionamenti ambientali, o dalla voglia di facili guadagni, a entrare nel Sistema. Come sempre, per loro, l’alternativa resta tra due tipi non troppo diversi di emarginazione: quella della disoccupazione e della miseria, o quella del denaro facile guadagnato con la droga.
Molto lontano da Napoli, in Colorado, il nuovo anno ha portato invece importanti novità: anche qui file di consumatori, ma alla luce del sole e davanti ai Cannabis Center di Denver, dopo che un referendum ha liberalizzato il consumo di marijuana per fini “ricreativi”. Entro la primavera anche nello Stato di Washington sarà lo stesso, e in altri 17 Stati nordamericani sono da vario tempo legali la vendita e il consumo di marijuana per scopi terapeutici. Le cronache ci parlano delle potenzialità del nuovo business e dello straordinario indotto che alimenta (hotel, ristorazione, avvocati e commercialisti specializzati), ma almeno questo indotto a Napoli lo abbiamo già, quello che ci manca sono gli introiti fiscali del fiorente commercio di erba.
Un po’ più a sud, in Uruguay, il mitico presidente José Mujica (l’ex guerrigliero che la spending review la fa davvero: vive in una modesta fattoria alla periferia di Montevideo con solo 1/10 dell’appannaggio presidenziale, devolvendo il resto in beneficenza) ha promulgato la legge che regolamenta l’uso della marijuana per fini ricreativi. Se i liberalizzatori degli Stati uniti privilegiano soprattutto il tema dei “diritti civili”, molto più concretamente l’obiettivo del governo uruguayano è piuttosto quello di contrastare la criminalità organizzata, particolarmente sanguinaria in quelle latitudini, in ossequio all’elementare principio che la riduzione dei divieti riduce anche l’ambito dei commerci illegali (e della violenza). Che è quello, poi, che vanno predicando da tempo un gruppo di venti leader mondiali (Cardoso, Laviria, Lagos e altri) e la Commissione sud-americana sulle droghe e la democrazia.
Napoli è il posto giusto per cominciare questo discorso anche in Italia (e in Europa), perché è forse la città che paga il prezzo più alto alle contraddizioni del proibizionismo, soprattutto in termini di capitale umano sprecato e “costretto” all’illegalità. Discorso davvero non facile, perché richiede prima di tutto una messa in discussione delle convenzioni internazionali sul tema della “lotta alla droga” varate in un diverso contesto geopolitico. Però vale la pena di iniziarlo, i tempi sembrano maturi e, come si è visto, non saremmo affatto soli nel mondo. Un primo passo potrebbe essere quello di chiedere una vasta e concreta depenalizzazione dell’uso di droghe leggere, peraltro più facile da varare (e tanto più efficace per la riduzione della popolazione detenuta) della tanto propagandata amnistia.
Piccolo-grande voto per il 2014: sarebbe bello che società civile, partiti (quello che ne resta), sindacati, associazioni degli avvocati e dei magistrati, e Sindaco se ne facessero carico.