L’assassinio di JF Kennedy e la bomba atomica israeliana
- Dettagli
- Categoria: Inchieste
- Visite: 6108
Inchieste, 28 aprile 2019 - Se i fratelli Kennedy non fossero stati uccisi, in circostanze oscure, non ci sarebbe stata quasi sicuramente la bomba atomica israeliana... (nella foto, il complesso militare nucleare israeliano di Dimona)
strategika51, 27 aprile 2019 (trad.ossin)
L’assassinio di JF Kennedy e la bomba atomica israeliana
Laurent Guyénot
Kennedy e l’AIPAC
Nel maggio 1963, il Foreign Relations Committee del Senato degli Stati Uniti avviava un’inchiesta sulle operazioni clandestine di agenti stranieri sul suolo statunitense, con particolare attenzione a quelle dell’American Zionist Council e della Jewish Agency for Israel [1] . L’inchiesta nasceva da un rapporto del presidente di questa commissione permanente, William Fulbright, scritto nel marzo del 1961 (declassificato nel 2010), che diceva: «Negli ultimi anni si è registrato un numero crescente di tentativi effettuati da governi stranieri, o da loro agenti, di influenzare la politica estera statunitensi con metodi che esulano dai normali canali diplomatici». Parlando di questi metodi che comprendevano anche «attività segrete negli Stati Uniti e altrove», Fulbright alludeva al «Caso Lavon [2]» del 1953, quando alcuni ebrei egiziani, addestrati in Israele, realizzarono, contro obiettivi britannici, diversi attentati con bombe che dovevano essere attribuiti ai Fratelli Musulmani, per screditare Nasser agli occhi dei Britannici e degli Stati Uniti. L’inchiesta del Senato rivelò anche un’attività di riciclaggio realizzata dalla Jewish Agency (organismo indissociabile dallo Stato di Israele, di cui era stato precursore) trasferendo decine di milioni di dollari all’American Zionist Council, la più importante lobby israeliana degli Stati Uniti. Conseguenza di questa inchiesta fu che il Dipartimento della Giustizia, guidato dall’Attorney General Robert Kennedy, stabilì che – a causa del fatto che era finanziato dallo Stato di Israele - l’American Zionist Council dovesse essere registrato come «agente straniero», e sottoposto agli obblighi del Foreign Agents Registration Act del 1938, che comportavano una stretta sorveglianza delle sue attività.
Questo tentativo di contrastare la crescente ingerenza nella politica statunitense da parte di Israele era ovviamente approvata dal presidente. Quando era solo un giovane giornalista che seguiva la conferenza inaugurale delle Nazioni Unite, John Kennedy era rimasto turbato dalla capacità dimostrata da Israele di corrompere i politici, fino allo stesso presidente. Riconoscendo lo Stato di Israele il 15 maggio 1948 (dieci minuti dopo la sua proclamazione ufficiale), contro il parere unanime del suo governo, il presidente Harry Truman non si guadagnò solo un posto nella storia biblica («L’atto storico del riconoscimento di Truman resterà impresso per sempre a lettere d’oro nei quattromila anni del popolo ebraico [3]», proclamò l’ambasciatore israeliano); Truman intascò pure due milioni di dollari per la sua campagna elettorale. «Fu per questo che riconoscemmo Israele tanto rapidamente», confidò Kennedy all’amico romanziere e saggista Gore Vidal [4]. Nel 1960, anche John Kennedy ebbe un’offerta di aiuto finanziario dalla lobby israeliana per la sua campagna presidenziale. Così raccontò al suo amico giornalista Charles Bartlett la proposta pervenutagli dal mecenate Abraham Feinberg: «Sappiamo che la sua campagna elettorale incontra difficoltà. Noi siamo pronti a pagare i suoi conti se ci lascerà il controllo della sua politica in Medio Oriente». Bartlett ricorda che Kennedy si ripromise che, «se mai fosse diventato presidente, avrebbe fatto qualcosa per cambiare tutto questo [5]». Tra il 1962 e il 1963, presentò sette progetti di legge per riformare il sistema di finanziamento delle campagne elettorali del Congresso; furono tutte contrastate con successo da quegli stessi gruppi di influenza che intendevano colpire.
Tutti i tentativi posti in essere per limitare la corruzione della democrazia statunitense da parte degli agenti israeliani vennero stoppati dall’assassinio di Kennedy e la sostituzione di suo fratello al ministero della Giustizia con Nicholas Katzenbach. L’American Zionist Council evitò di essere registrato come agente straniero, sciogliendosi e ri-battezzandosi American Israel Public Affairs Committee (AIPAC). Dieci anni dopo (il 15 aprile 1973), Fullbright disse alla CBS: «Israele controlla il Senato statunitense. […] La grande maggioranza del Senato USA — circa l’80 % — appoggia incondizionatamente Israele; Israele ottiene tutto ciò che vuole [6]». L’AIPAC ha proseguito con le stesse pratiche, riuscendo anche ad evitare qualsiasi sanzione quando i suoi uomini sono stati colti in flagranza di spionaggio e di alto tradimento: nel 2005, due responsabili dell’AIPAC, Steven Rosen e Keith Weissman, furono assolti dopo aver ricevuto da un dipendente dell’Office of Special Plans del Pentagono, Larry Franklin, documenti classificati secret-défense e averli trasmessi allo Stato di Israele. Nel 2007, John Mearsheimer e Stephen Walt dimostrarono, nel loro libro sulla Lobby israeliana e la politica estera statunitense, che l’AIPAC e altre lobby filo israeliane di minore importanza erano state la causa principale della guerra in Iraq e, in linea più generale, erano il fattore determinante della politica estera statunitense in Medio Oriente. Dato che nulla è cambiato da allora, non c’è alcuna ragione perché il governo di Benjamin Netanyahu non debba riuscire a ottenere oggi dagli Stati Uniti anche la distruzione dell’Iran che non cessa di reclamare.
«Noi, il popolo ebraico, controlliamo gli Stati Uniti, e gli Statunitensi lo sanno [7]», avrebbe detto il Primo Ministro Ariel Sharon al suo ministro degli Affari esteri Shimon Peres il 3 ottobre 2001, secondo la radio israeliana Kol Yisrael. Il suo successore, Benjamin Netanyahu, ce ne ha dato una dimostrazione il 24 maggio 2011 davanti al Congresso USA, dove ha ricevuto 29 ovazioni dalla sala in piedi, soprattutto quando ha pronunciato le seguenti frasi: «In Giudea e in Samaria, gli ebrei non sono occupanti stranieri»; «Nessuna distorsione della storia può negare il legame antico di 4000 anni tra il popolo ebraico e la terra ebraica»; «Israele non tornerà alle frontiere indifendibili del 1967»; «Gerusalemme non dovrà mai più essere divisa. Gerusalemme deve restare la capitale unita di Israele [8]».
Kennedy, la bomba e Dimona
Se Kennedy fosse vissuto, l’influenza di Israele sarebbe stata contenuta anche su di un altro fronte, quello degli armamenti nucleari. Fin dall’inizio degli anni 1950, David Ben Gourion, che cumulava le funzioni di Primo Ministro e di ministro della Difesa, aveva impegnato il suo paese nella fabbricazione segreta di bombe atomiche, aggirando gli obiettivi del programma di cooperazione pacifica Atom for Peace, ingenuamente avviato da Eisenhower. Informato dalla CIA, fin dal suo ingresso alla Casa Bianca, delle vere finalità del complesso di Dimona, Kennedy fece tutto quanto gli era possibile per costringere Israele a rinunciarvi. Pretese da Ben Gourion che accettasse ispezioni di Dimona, dapprima a viva voce, a New York nel 1961, poi con lettere ufficiali sempre più insistenti. Nell’ultima, datata 15 giugno 1963, Kennedy pretendeva una prima ispezione immediata seguita da controlli regolari ogni sei mesi, senza i quali «l’impegno e l’appoggio del nostro governo a Israele rischiano di essere seriamente compromessi [9]». La reazione a questo messaggio fu sorprendente: Ben Gourion si dimise il 16 giugno, evitando in tal modo di ricevere la lettera. Quando il nuovo primo ministro Levi Eshkol assunse le funzioni, Kennedy gli indirizzò una lettera identica, datata 5 luglio 1963.
Kennedy non intendeva sottrarre a Israele facoltà da riservare solo agli Stati Uniti e ai suoi alleati della NATO. L’iniziativa del presidente si iscriveva in un progetto molto più ambizioso, che aveva annunciato il 25 settembre 1961, nove mesi dopo la sua investitura, dinanzi all’Assemblea Generale dell’ONU: «Attualmente, ogni abitante di questo pianeta deve fare i conti col fatto che un giorno questo pianeta non sarà forse più abitabile. Ogni uomo, donna e bambino vive sotto una spada di Damocle nucleare appesa a un fragile filo che potrebbe in qualsiasi momento essere reciso per caso, per errore, o per follia. Queste armi di guerra devono essere abolite prima che siano loro ad abolire noi. […] E’ dunque nostra intenzione lanciare una sfida all’unione Sovietica, non per una corsa agli armamenti, ma per una corsa alla pace — per avanzare insieme, passo dopo passo, tappa dopo tappa, fino ad un disarmo generale e completo [10]». Il messaggio venne accolto positivamente da Nikita Kruscev, che rispose favorevolmente con una lettera confidenziale di 26 pagine datata 29 settembre 1961, trasmessa attraverso un canale segreto. Dopo la crisi dei missili cubani dell’ottobre 1962, la guerra nucleare che evitarono per un pelo col loro sangue freddo avvicinò ulteriormente i due capi di Stato nella consapevolezza della responsabilità condivisa di liberare l’umanità dalla minaccia atomica. Kruscev inviò allora a Kennedy una seconda lettera privata nella quale esprimeva la speranza che, in otto anni di presidenza di Kennedy, «saremo in grado di creare delle buone condizioni per una coesistenza pacifica sulla terra, e ciò sarà grandemente apprezzato dai popoli dei nostri paesi e da tutti gli altri popoli [11]». Senza altre crisi, Kennedy e Kruscev proseguirono questa corrispondenza segreta, oggi declassificata, che comprende in tutto 21 lettere, nelle quali ha un grande posto il progetto di abolire l’arma atomica.
Nel 1963, i negoziati portarono al primo trattato di limitazione degli esperimenti nucleari, che vietava i test nell’atmosfera e nei mari e che venne firmato il 5 agosto 1963 dall’Unione Sovietica, dagli Stati Uniti e dal Regno Unito. Sei settimane dopo, il 20 settembre 1963, Kennedy esprimeva il suo giubilo e le sue speranze alle Nazioni Unite: «Due anni fa, ho dichiarato a questa assemblea che gli Stati Uniti avevano proposto ed erano pronti a firmare un trattato limitato di proibizione dei test. Oggi questo trattato è stato firmato. Non porrà fine alla guerra. Non sopprimerà i conflitti fondamentali. Non assicurerà a tutti la libertà. Ma può essere una leva e si dice che Archimede, spiegando il principio della leva, disse ai suoi amici: ‘Datemi un posto dove collocarla e vi solleverò il mondo’. Miei cari coabitanti di questo pianeta, prendiamo posizione qui in questa assemblea delle nazioni. E vediamo se, in questo tempo, siamo capaci di spostare il mondo verso una pace giusta e durevole [12]». Nella sua ultima lettera a Kennedy, consegnata all’ambasciatore statunitense Roy Kohler ma mai consegnata al destinatario, Kruscev si mostrava fiero anche lui di quel primo storico trattato, che «ha iniettato uno spirito fresco nell’atmosfera internazionale». Avanzava anche altre proposte, riprendendo le espressioni usate da Kennedy: «la loro implementazione aprirebbe la strada verso un disarmo generale e completo e, di conseguenza, verso la liberazione dei popoli dalla minaccia di guerra [13]».
Per Kennedy, l’arma nucleare costituiva la negazione di tutti i tentativi storici di rendere la guerra più civile risparmiando i civili. «Continuo a pensare ai bambini; non solo ai miei piccoli o ai tuoi, ma a tutti i bambini del mondo», diceva al suo amico e assistente Kenneth O’Donnell durante la sua campagna in favore del Test Ban Treaty. Lo ripeterà nel suo discorso televisivo del 26 luglio 1963: «Questo trattato è per tutti noi, e specialmente per i nostri figli e nipoti, che non hanno lobby qui a Washington [14]».
Negli anni 1960, il disarmo nucleare era un obiettivo realista. Solo quattro paesi disponevano di armi nucleari. Era un’occasione storica da cogliere, e Kennedy era determinato a farlo. «Mi spaventa l’idea che, nel 1970, se non ci riusciamo, ci saranno forse dieci potenze nucleari invece di quattro e, nel 1975, quindici o venti [15],» disse in una conferenza stampa il 21 marzo 1963, in modo visionario. Mentre, dietro agli USA e all’URSS, tutti i paesi della NATO e del blocco comunista facevano un primo passo verso il disarmo nucleare, Israele faceva segretamente gruppo a parte, e Kennedy era deciso ad impedirlo.
La morte di Kennedy qualche mese dopo allentò la pressione su Israele. Johnson preferì chiudere gli occhi sulle attività del complesso di Dimona. John McCone, il direttore della CIA nominato da Kennedy, si dimise nel 1965 lamentandosi dello scarso interesse dimostrato da Johnson su questo tema. Israele costruì la sua prima bomba verso il 1967, senza mai ammetterlo. Nixon non se ne preoccuperà molto più di Johnson, mentre il suo Consigliere per la Sicurezza Nazionale Henry Kissinger esprimeva in privato la sua soddisfazione all’idea di avere in Israele una potenza nucleare alleata. Nixon, col quale lo Stato profondo entra per così dire alla Casa Bianca, faceva il doppio gioco: mentre sosteneva pubblicamente il Trattato di non proliferazione del 1968 (che non era un’iniziativa statunitense), indirizzò un messaggio di segno contrario alla sua burocrazia, con un National Security Decision Memorandum top-secret (NSDM-6) che diceva: «Non deve esservi alcun tentativo da parte degli Stati Uniti di costringere altri paesi […] ad applicare [il trattato]. Questo governo, nelle sue prese di posizione pubbliche, deve dirsi ottimista sul fatto che altri paesi lo firmeranno o ratificheranno, astenendosi nel contempo da qualsiasi pressione su questi stessi paesi perché lo firmino o lo ratifichino [16]».
Secondo i dati del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) per il 2011, ci sono oggi nel mondo circa 20 000 bombe nucleari con una potenza che, in media, è 30 volte superiore a quella di Hiroshima, in tutto dunque equivalente a 600 000 volte Hiroshima. Tra di esse, 1 800 sono in stato di allerta, vale a dire pronte per essere lanciate in pochi minuti. Con meno di 8 milioni di abitanti, Israele è la sesta potenza nucleare mondiale.
«Se lasciassimo fare al Presidente, avremmo una guerra nucleare a settimana [17]», diceva Kissinger. Fin dagli anni 1950, Nixon aveva consigliato ad Eisenhower il ricorso alla bomba atomica in Indocina e in Corea.
Bisognerà attendere il 1986, con la pubblicazione sul Sunday Times delle fotografie scattate dal tecnico israeliano Mordechai Vanunu all’interno del complesso di Dimona, perché il mondo scoprisse che Israele si era dotata in segreto della bomba atomica. Dopo il suo rapimento da parte dei servizi segreti israeliani, Vanunu venne condannato per «tradimento di segreto di Stato». Ha passato 18 anni in prigione, 11 dei quali in completo isolamento. Quando è stato liberato nel 2004, gli venne vietato di uscire dal territorio e di comunicare con l’estero.
Johnson e la USS Liberty
Kennedy non ha lasciato a Tel Aviv il ricordo di un amico di Israele. Oltre ai suoi attacchi contro l’invadente lobby israeliana e contro le ambizioni da potenza nucleare di Israele, Kennedy si era impegnato in favore del diritto al ritorno degli 800 000 rifugiati palestinesi espulsi dai loro quartieri e villaggi nel 1947-48. Il 20 novembre 1963, la sua delegazione alle Nazioni Unite chiedeva l’attuazione a tal fine della Risoluzione 194. Kennedy non ebbe certamente il tempo di leggere le reazioni scandalizzate di Israele nei giornali: due giorni dopo era morto. L’arrivo al potere di Johnson venne salutata con sollievo in Israele: «Non c’è alcun dubbio che, con la presidenza di Lyndon Johnson, avremo maggiori opportunità di discreti contatti diretti col Presidente, se ci sembrerà che la politica statunitense vada contro i nostri interessi vitali [18]», scriveva il giornale israeliano Yedio Ahoronot. Lungi dal ricordare a Israele la pulizia etnica che stava attuando, Johnson sposò pienamente il mito della «terra senza popolo per un popolo senza terra», giungendo perfino a paragonare un giorno, dinanzi a un uditorio ebraico, «i pionieri ebrei che si costruiscono una casa nel deserto [19]» ai propri antenati che colonizzavano il Nuovo Mondo — cosa che in fondo sottolineava involontariamente l’equivalenza tra la negazione da parte di Israele della sua pulizia etnica alla negazione da parte degli Stati Uniti della propria storia genocida.
Mentre Kennedy aveva ridotto l’aiuto ad Israele, Johnson lo portò da 40 milioni a 71 milioni, poi a 130 milioni l’anno dopo. Mentre l’amministrazione Kennedy aveva autorizzato solo la vendita di qualche batteria di missili da difesa a Israele, con Johnson più del 70 % dell’aiuto finanziò l’acquisto di materiale militare, compresi 250 tank e 48 aerei offensivi Skyhawk. L’aiuto militare a Israele toccò i 92 milioni nel 1966, più del totale di tutti gli anni precedenti messi insieme. Al contrario, privandoli dell’aiuto USA, Johnson costrinse l’Egitto e l’Algeria a rivolgersi all’URSS per mantenere un livello adeguato di difesa militare. Nel giugno 1967, Johnson diede a Israele un «semaforo giallo» per la sua guerra sedicente «preventiva» contro l’Egitto, con una lettera del 3 giugno nella quale assicurava al primo ministro israeliano Levi Eshkol di essere intenzionato a «proteggere l’integrità territoriale di Israele e […] fornire il sostegno statunitense più efficace possibile al mantenimento della pace e della libertà nella sua nazione e nella regione [20]».
Alla morte di Kennedy, il lutto fu profondo nel mondo arabo, dove il suo ritratto era presente in molte case. «Oramai De Gaulle è l’unico capo di Stato occidentale sulla cui amicizia gli Arabi possono contare», disse Abdul Gamal Nasser. Oltre a ridurre l’aiuto a Israele, Kennedy aveva generosamente fornito grano all’Egitto, nell’ambito del programma Food for Peace. La breve presidenza di Kennedy resterà per l’Egitto solo una parentesi incantata, un sogno svanito troppo presto. Durante la presidenza Eisenhower, nel 1954, l’Egitto era stato oggetto di atti terroristi sotto falsa bandiera perpetrati da Israele, nell’intento di «distruggere la fiducia dell’Occidente verso il regime egiziano [e] far cessare l’aiuto economico e militare dell’Occidente verso l’Egitto [21]», stando alle parole dello stesso capo dei Servizi Segreti Militari (Aman) Benjamin Givli, in un telegramma segreto oggi declassificato. L’esplosione accidentale di uno degli ordigni esplosivi permise di smascherare il complotto, dando luogo allo scandalo del «Caso Lavon» (dal nome del ministro della Difesa Pinhas Lavon ritenuto responsabile), scandalo presto soffocato in Israele e negli Stati Uniti. Il Primo Ministro Moshe Sharett, esponente di un sionismo moderato rispettoso delle regole internazionali, constatò in questo periodo (ma in privato) la crescita irresistibile degli estremisti, tra i quali includeva il futuro presidente Shimon Peres, che «vuole terrorizzare l’Occidente per spingerlo a sostenere gli obiettivi di Israele» e che «eleva il terrorismo al rango di un principio sacro [22]».
La morte di Kennedy disinibì nuovamente questo terrorismo machiavellico, diventato una specialità israeliana. Due giorni prima della fine della Guerra dei Sei Giorni, l’esercito israeliano lanciò contro la nave USS Liberty la più famosa e sanguinosa delle sue aggressioni sotto falsa bandiera. Nella soleggiata giornata dell’8 giugno 1967, tre bombardieri civetta Mirage e tre torpediniere battenti bandiera israeliana bombardarono, mitragliarono e silurarono per 75 minuti questa nave della NSA (National Security Agency) disarmata, che stazionava in acque internazionali ed era facilmente riconoscibile, con l’evidente intenzione di non lasciare alcun sopravvissuto, mitragliando anche i canotti di salvataggio. Si fermarono solo all’avvicinarsi di una nave sovietica, dopo avere ucciso 34 membri dell’equipaggio, per lo più ingegneri, tecnici e traduttori. Si suppone che, se fossero riusciti a colare a picco la nave senza testimoni, gli Israeliani ne avrebbero attribuito la responsabilità all’Egitto, in modo da trascinare gli Stati Uniti nella guerra al fianco di Israele. Secondo Peter Hounam, autore di “Operation Cyanide : Why the Bombing of the USS Liberty Nearly Caused World War III” (2003), l’attacco del Liberty sarebbe stato segretamente autorizzato dalla Casa Bianca, nel quadro del progetto Frontlet 615, «un accordo politico segreto del 1966, col quale Israele e gli USA si impegnavano a distruggere Nasser». Gli ordini diramati dalla Casa Bianca quel giorno, che ritardarono di diverse ore i soccorsi, suggeriscono che Johnson non abbia solo coperto gli Israeliani a cose fatte, ma avesse anche complottato con loro. Oliver Kirby, all’epoca Deputy Director for Operations della NSA, ha detto al giornalista John Crewdson del Chicago Tribune (2 ottobre 2007) che le trascrizioni delle comunicazioni israeliane intercettate dalla NSA e immediatamente trasmesse a Washington, non lasciavano alcun dubbio sull’identità degli attaccanti, e sul fatto che questi ultimi avevano identificato il loro obiettivo come statunitense già prima di attaccarlo: «Sono pronto a giurare su una pila di Bibbie che noi sapevano che loro sapevano [che la nave era statunitense] [23]». Smascherata, Israele parlò di un errore di bersaglio e presentò le sue scuse, delle quali Lyndon Johnson si accontentò limitandosi a dire «Non bacerò il nostro alleato» [24]. Ma, quando a gennaio 1968, Johnson ricevette il primo ministro israeliano Levi Eshkol a Washington e poi lo invitò nel suo ranch in Texas, i rapporti furono calorosi. Israele ne trarrà una lezione di impunità, che influenzerà i suoi comportamenti futuri e che non deve essere sottostimato: il prezzo da pagare in caso di fallimento in una operazione sotto falsa bandiera contro gli Stati uniti è nullo. Il fallimento, di fatto, è impossibile perché ci penseranno gli stessi Stati Uniti a coprire il crimine di Israele. Ancor meglio, Johnson ricompensò Israele abolendo tutte le restrizioni sul materiale militare: armi e aerei USA affluiranno presto verso Israele, facendo presto di Israele il primo cliente dell’industria militare statunitense.
Leggi anche:
Note:
[1] The Senate Foreign Relations Committee Investigates the Israel Lobby.
[2] « In recent years there has been an increasing number of incidents involving attempts by foreign governments, or their agents, to influence the conduct of American foreign policy by techniques outside normal diplomatic channels. (…) there have been occasions when representatives of other governments have been privately accused of engaging in covert activities within the United States and elsewhere, for the purpose of influencing United States Policy (the Lavon Affair). »
[3] « Truman’s historic act of recognition will remain forever inscribed in golden letters in the 4000-year history of the Jewish people. »
[4] « That’s why our recognition of Israel was rushed through so fast » (cité par Gore Vidal, préface à Israel Shahak, Jewish History, Jewish Religion, 1994).
[5] « We know your campaign is in trouble. We’re willing to pay your bills if you’ll let us have control of your Middle East policy » ; « if he ever did get to be President, he was going to do something about it » (cité dans Seymour Hersh, The Samson option).
[6] « Israel controls the U.S. Senate. […] The great majority of the Senate of the U.S. — somewhere around 80 percent — are completely in support of Israel ; anything Israel wants, Israel gets. »
[7] « We, the Jewish people control America, and the Americans know it, »
[8] « in Judea and Samaria, the Jewish people are not foreign occupiers » ; « No distortion of history could deny the 4,000-year-old bond between the Jewish people and the Jewish land » ; « Israel will not return to the indefensible boundaries of 1967 » ; « Jerusalem must never again be divided. Jerusalem must remain the united capital of Israel. »
[9] « This Government’s commitment to and support of Israel could be seriously jeopardized » (cité dans Seymour Hersh, The Samson option).
[10] « Today, every inhabitant of this planet must contemplate the day when this planet may no longer be habitable. Every man, woman and child lives under a nuclear sword of Damocles, hanging by the slenderest of threads, capable of being cut at any moment by accident or miscalculation or by madness. The weapons of war must be abolished before they abolish us. […] It is therefore our intention to challenge the Soviet Union, not to an arms race, but to a peace race — to advance together step by step, stage by stage, until general and complete disarmament has been achieved » (cité dans James Douglass, JFK and the Unspeakable).
[11] « We could create good conditions for peaceful coexistence on earth and this would be highly appreciated by the peoples of our countries as well as by all other peoples » (cité dans James Douglass, JFK and the Unspeakable).
[12] « Two years ago I told this body that the United States had proposed and was willing to sign, a limited test ban treaty. Today that treaty has been signed. It will not put an end to war. It will not remove basic conflicts. It will not secure freedom for all. But it can be a lever, and Archimedes, in explaining the principles of the lever, was said to have declared to his friends : ‘Give me a place where I can stand – and I shall move the world.’ My fellow inhabitants of this planet, let us take our stand here in this Assembly of nations. And let us see if we, in our own time, can move the world to a just and lasting peace » (cité dans James Douglass, JFK and the Unspeakable).
[13] « Has injected a fresh spirit into the international atmosphere » ; « Their implementation would clear the road to general and complete disarmament, and, consequently, to the delivering of peoples from the threat of war » (cité dans James Douglass, JFK and the Unspeakable).
[14] « I keep thinking of the children, not my kids or yours, but the children all over the world. » / « This treaty is for all of us. It is particularly for our children and our grandchildren, and they have no lobby here in Washington » (cité dans James Douglass, JFK and the Unspeakable).
[15] « I am haunted by the feeling that by 1970, unless we are successful, there may be ten nuclear powers instead of four, and by 1975, fifteen or twenty » (cité dans James Douglass, JFK and the Unspeakable).
[16] « There should be no efforts by the United States government to pressure other nations […] to follow suit. The government, in its public posture, should reflect a tone of optimism that other countries will sign or ratify, while clearly disassociating itself from any plan to bring pressure on these countries to sign or ratify » (cite par Seymour Hersh, The Samson Option).
[17] « If the President had his way, there would be a nuclear war each week » (cite dans Anthony Summers, The Arrogance of Power).
[18] « There is no doubt that, with the accession of Lyndon Johnson, we shall have more opportunity to approach the President directly if we should feel that U.S. policy militates against our vital interests. »
[19] « The Jewish pioneers building a home in the desert. »
[20] « I want to protect the territorial integrity of Israel […] and will provide as effective American support as possible to preserve the peace and freedom of your nation and of the area. »
[21] « [Our goal] is to break the West’s confidence in the existing [Egyptian] regime. The actions should cause arrests, demonstrations, and expressions of revenge. The Israeli origin should be totally covered while attention should be shifted to any other possible factor. The purpose is to prevent economic and military aid from the West to Egypt » (cite dans Livia Rokach,Israel’s Sacred Terrorism, 1980).
[22] « He wants to frighten the West into supporting Israel’s aims » ; « raises terrorism to the level of a sacred principle » (cité dans Livia Rokach, Israel’s Sacred Terrorism, 1980).
[23] « I’m willing to swear on a stack of Bibles that we knew they knew. »
[24] « I will not embarrass our ally. »